lunedì 14 settembre 2015

Introduzione alla tragedia greca. Parte III

Richard Wagner

Torniamo alla Poetica di Aristotele
Per quanto riguarda la grandezza (to; mevgeqo~), da racconti brevi e un linguaggio scherzoso, per il fatto che subì una trasformazione dal satiresco, la tragedia assunse tardi una forma solenne, e il metro da tetrametro divenne giambico (1449a, 21). All’inizio si usava il tetrametro per il fatto che la poesia era satiresca e piuttosto adatta alla danza, poi, sviluppatosi il dialogo, la stessa natura del parlato trovò il metro appropriato: mavlista ga; r lektiko; n tw'n mevtrwn to; ijambei'on ejstin (1449a, 25), infatti il giambo è il verso più adatto al parlato; un segno di questo è che noi nella conversazione diciamo moltissimi giambi, mentre gli esametri li usiamo raramente e solo quando usciamo dal tono della conversazione (1449a, 31).
 La tragedia consta di sei parti qualitative (mevrh ei\nai e{x, kaq j o{ poiav ti~ ejsti; n hJ tragw/diva, 1450a, 10) : racconto (mu'qo~), caratteri, linguaggio, pensiero, spettacolo visivo, musica.

Il dramma dunque è un'opera complessa. Wagner, nello scritto L'arte e la rivoluzione (1849), la definisce "arte complessiva dove l'elemento maschile e intellettuale, la parola, feconda quello femminile, la musica che ha la risonanza dei tempi primordiali". La tragedia greca era una forma d’arte connessa a una “religione inviscerata nelle leggi e ne’ costumi d’un popolo”[1], quello ateniese. Cito ancora Wagner: “L’opera d’arte è la rappresentazione vivente della religione; ma la religione non l’inventa l’artista: essa deve le sue origini al popolo”[2].

La tragedia complessa presenta peripezia e riconoscimento. Infine c’è la catastrofe
Aristotele delle sei parti considera importantissimo il racconto, ossia l'intreccio dei fatti che è quasi l'anima della tragedia. I racconti possono essere semplici (aJploi', 1452a, 10) o complessi (peplegmevnoi). E’ semplice l’azione dove il cambiamento (hJ metavbasi~, 1452 a, 16) accade senza peripezia o riconoscimento, complessa quella dove il cambiamento avviene meta; ajnagnwrismou' h] peripeteiva~ h] ajmfoi'n (Poetica, 1452a, 17), con riconoscimento o peripezia, o entrambi. Vediamo di che si tratta.
 "Peripezia (peripevteia) è il cambiamento repentino di ciò che accade nel suo opposto, cosa che deve avvenire in maniera verosimile e necessaria" (1452a, 11).
Viene fatto l'esempio dell'Edipo re di Sofocle, quando giunge un messo da Corinto per tranquillizzare il protagonista (vv. 924 e sgg.) e invece dà l'avvio alla parte dell'indagine che porta al pavqo~, l’evento doloroso e catastrofico, che, dopo la peripezia e il riconoscimento, è la terza parte del racconto (trivton de; pavqo~, 1452b, 10), pravxi~ fqartikh; h] ojdunhrav (Poetica, 1452b, 11), un’azione rovinosa o dolorosa.
 Questo capovolgimento che inganna le attese ottimistiche è tipica dei drammi di Sofocle: "In quattro tragedie, e cioè Antigone, Aiace, Edipo re, Trachinie, poco prima della catastrofe, il Coro, convinto o illuso che le cose stiano cambiando in meglio, si abbandona a una danza allegra, l'iporchema. Teatralmente è una trovata geniale. Il pubblico che è, per così dire, preveggente in quanto conosce la trama della vicenda, soffre per la cecità del Coro, per la sua incapacità di prepararsi al peggio…La tragedia di Sofocle è il resoconto di un assedio a cui il protagonista è sottoposto, per lo più in modo terribile, e che si conclude con l'espugnazione del suo mondo. Si può individuare una linea che ora ascende e ora discende, c'è un momento in cui l'eroe sembra spuntarla sul male e sui nemici. Almeno così ritiene il Coro in quattro tragedie su sette. Il suo comportamento sottolinea l'inadeguatezza della ragione umana nel cogliere i movimenti profondi del divenire"[3]. “Forse è un decreto della provvidenza che ci colga l’euforia quando stiamo davanti all’abisso”[4].
Tw/' pavqei mavqo"
Vero è pure che il pavqo~ può essere valorizzato e redento dal mavqo~, secondo quanto afferma il coro di vecchi argivi nella Parodo dell’Agamennone di Eschilo: tw/' pavqei mavqo" [5], attraverso la sofferenza si giunge alla comprensione[6]. Una sentenza topica che ha avuto un lungo seguito nella letteratura europea: da Euripide, a Menandro, a Proust, a Hermann Hesse.

Vediamone alcune espressioni.
Un tovpo" etico e psicologico diffuso è quello del tw/' pavqei mavqo" [7], attraverso la sofferenza si giunge alla comprensione[8]. Voglio darne un ampio quadro.


continua



[1] Cfr. U. Foscolo, Ultime lettere di Iacopo Ortis, 17 marzo 1798.
[2] R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, p. 133.
[3] U. Albini, Nel nome di Dioniso, p. 51 e p. 251.
[4] C. Wolf, Medea, p. 181
[5] Eschilo, Agamennone, 177.
[6] Si veda la massima beethoveniana "Durch Leiden Freude", attraverso la sofferenza la gioia. Ricavo il suggerimento da E. Morin, La testa ben fatta, p. 43 n. 7.
[7] Eschilo, Agamennone, 177. E, poco più avanti: "goccia invece del sonno davanti al cuore/il penoso rimorso, memore delle pene inflitte; e anche/sui recalcitranti arriva il momento della saggezza" (kai; par j a[ - konta" h\lqe swfronei'n, Agamennone, vv. 179 - 181).
[8] Si veda la massima beethoveniana "Durch Leiden Freude", attraverso la sofferenza la gioia. Ricavo il suggerimento da E. Morin, La testa ben fatta, p. 43 n. 7. 

4 commenti:

  1. Bellissimo e interessante...non sono del tutto convinta che attraverso la sofferenza si giunca alla comprensione....magari. Spesso la sofferenza ottunde anche la comprensione e per la stupidità non esiste rimedio. Giovanna Tocco

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Ifigenia CLI. La pioggia catartica poi la corsa.

  Domenica 5 agosto fu una giornata piena di meditazioni pullulate da stati d’animo in contrasto tra loro. Alle 11, come al solito, no...