domenica 13 marzo 2016

Le leggi scritte e quelle naturali. I parte

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Nell’Antigone di Sofocle, la protagonista figliola di Edipo si rifiuta di obbedire a Creonte, suo re e  zio, che ha decretato con un bando il divieto di seppellire Polinice, il figlio di Edipo morto combattendo contro la patria. Dopo che la ragazza ha compiuto il gesto di ribellione, il despota le domanda
Kai; dh`t j  ejtovlmaς touvsd  j uJperbaivnein novmouς;” e allora osavi trasgredire queste leggi?" v. 449.
E Antigone risponde: “"Sì, infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto/né Giustizia che convive con gli dei di sotterra/determinò tali leggi tra gli uomini,/né pensavo che i tuoi bandi avessero tanta/forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti[1] (a[grapta kajsfalh` qew`n novmima.)/Infatti non solo oggi né ieri, ma sempre/ sono vivi questi, e nessuno sa da quando apparvero (vv. 450-457)".

I versi 455-457 sono citati da Aristotele, quando nella Retorica distingue la legge particolare di ciascun popolo da quella comune secondo natura levgwkoino;n de; to;n kata; fuvsin (1373b). Tra queste c’è l’abitudine e la norma di seppellire i morti, poi quanto dice Empedocle a proposito di non uccidere i viventi (peri; tou` mh; kteivnein to; e[myucon), e quanto scrive Alcidamante nel Messeniaco:” ejleuqevrou~ ajfh`ke pavnta~ qeov~, oujdevna dou`lon hJ fuvsin pepoivhken”, dio ci lasciò tutti liberi, la natura nessuno fece schiavo. 

All'opposto dell’ u{bri~ tirannica, Antigone  afferma il suo amore per l'umanità :" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore. "Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone  di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo"[2].

Le leggi che contano per Sofocle sono quelle provenienti dagli dèi. Lo stesso pensa il coro dell'Edipo re  che nella prima strofe del secondo Stasimo, "punto nodale della tragedia"[3], canta:"Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare/ la sacra purezza delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi/sublimi (novmoi uJyivpode"), procreate/attraverso l'aria celeste di cui Olimpo è padre da solo né le /generava natura mortale di uomini/né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia (“mevgaς ejn touvtoiς qeovς, oujde; ghravskei", vv. 863-872).

"Da questi versi risuona chiaro ad ognuno l'addolorato avvertimento del poeta:"la religione è in pericolo", la religione che per lui coincide con le leggi non scritte, eterne e divine che rappresentano il fondamento morale della vita sociale. Con tutta la forza della sua convinzione egli scende in campo per essa nel luogo sacro, per umiliare con la rappresentazione della storia sacra la superbia dell'intelletto, per fugare il dubbio e per sostenere la fede vacillante"[4].

Cfr. e[rrei de; ta; qei`a, Edipo re, 910, tramonta il divino.

 

Edipo con il suo impareggiabile vigore, la sua fede nell'azione, la volontà di rischiare pur di sapere, sarebbe un microcosmo della popolazione ateniese che in effetti, dovrà provare pure l'onta della sconfitta, al pari del re di Tebe il quale, insuperbitosi per la propria forza intellettuale, subisce un'umiliazione rimasta paradigmatica nella letteratura europea, come ci mostrano queste parole di Proust:" E meglio di un coro di Sofocle sull'umiliato orgoglio di Edipo, meglio della morte stessa e di qualsiasi orazione funebre, il saluto premuroso e umile del barone alla signora di Saint-Euverte proclamava quanto di fragile e perituro c'è nell'amore d'ogni terrena grandezza e d'ogni umana superbia"[5] .
tiv dei' me coreuvein vv.895-896."è detto assai più che dal Coro, da Sofocle", secondo Perrotta."Qui non parla più il Coro, ma il poeta che si lamenta dell'empietà del suo popolo"(Sofocle, p.239).
 La punizione divina non può mancare poiché, se gli dei non intervenissero a colpire gli empi, le stesse tragedie di Sofocle, sacre rappresentazioni di condanna dell'ateismo, perderebbero credibilità e valore. Un frammento (12) del sofocleo Aiace locrese  afferma che l'occhio aureo della giustizia vede e contraccambia l'ingiusto:"to; cruvseon de; ta'" Divka" devdorken o[mma to;n d& a[dikon ajmeivbetai".
Su questa domanda chiave sentiamo anche Dodds:“the meaning is surely ‘Why should I, an Athenian citizen, continue to serve in a Chorus? (il significato è certamente ‘Perché dovrei io, un cittadino ateniese, continuare a servire nel coro? )  
In speaking of themselves as a chorus they step out of the play into the contemporary world, as Aristophanes’ choruses do in the parabasis. And in effect the question they are asking seems to be this: ‘ If Athens loses faith in religion, if the views of the Enlightement prevail, what significance is there in tragic drama, which exists as part of the service of the gods? To that question the rapid decay of tragedy in the fourth century may be said to have provided an answer. In sayng this, I am not suggesting with Ehrenberg that the position of Oedipus reflects that of Pericles[6], or with Knox that is intended to be a symbol of Athens[7]: allegory of that sort seems to me wholly alien to Greek tragedy. I am only claiming that at one point in this play Sophocles took occasion to say to his fellow citizens something which he felt to be important. And it was important, particularly in the period of the Archidamian War, to which the Oedipus rex probably belongs. Delphi was known to be pro-Spartan: that is why Euripides was given a free hand to criticize Apollo.
But if Delphi could not be trusted, the whole fabric of traditional belief was threatened with collapse”[8],

Sofocle si inserisce nel dibattito acceso dalla sofistica: esso contrapponeva le leggi naturali a quelle artificiali o culturali. Delle une e delle altre vengono date interpretazioni differenti.
Il poeta di Colono non considera naturali e degne di obbedienza le regole che lasciano correre o addirittura convalidano l' u{bri", intesa come prepotenza, sia essa di un tiranno, suo parto mostruoso ( u{bri" futeuvei tuvrannon, Edipo re , v.873), sia di un popolo intero che per avidità di maggior avere (pleonexiva) scatena guerre aggressive foriere di stragi e lutti, tanto per gli aggrediti quanto per gli aggressori.

Difesa delle leggi scritte. Euripide Supplici e Ciclope. Cicerone De officiis
G. Ugolini sostiene che le leggi scritte sono anteposte a quelle non scritte dai sostenitori della democrazia e fa l'esempio delle Supplici  di Euripide dove "Teseo si produce in un'esaltazione del sistema democratico...replicando alle accuse dell'araldo, puntualizza un aspetto della democrazia che in questa sede ha grande rilevanza: mentre nella città governata da un tiranno la legge è del tutto arbitraria, in un regime democratico (Eur. Suppl. 433-437): le leggi sono scritte (gegrammevnwn tw'n novmwn), la giustizia è uguale per il debole e per il ricco” [9]...

gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t ’ ajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433-434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti
Nelle Supplici di Euripide, Teseo propugna la democrazia e dice all’araldo tebano mandato da Creonte  che quando c’è un tiranno, non c’è niente di più malevolo per la città, e  non esistono più leggi comuni (novmoi- koinoiv 430-431)

“Chi è più debole può fronteggiare chi sta meglio, qualora ne riceva offesa, e se ha ragione il piccolo prevale sul grande. Al di là dei topoi  democratici ricorrenti nel discorso di Teseo, che per molti aspetti hanno richiamato il parallelo con l'epitafio di Tucidide[10], è importante soffermarsi sul nesso che egli istituisce tra "leggi scritte" e democrazia: la pratica effettiva della giustizia e dell'uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dai loro rapporti di censo e di forza, è garantita dalla scrittura delle leggi, che tutela i diritti dei meno potenti[11].  La necessità e la difesa della scrittura delle leggi doveva essere percepita come un punto essenziale della propaganda democratica nell'ambito di quella tensione e contrapposizione che vi era ad Atene tra la legislazione scritta della polis e quella orale propugnata e gestita dalle casate aristocratiche"[12].

Della vasta produzione euripidea ci sono arrivate 18 drammi  di sicura attribuzione, tra i quali uno satiresco, il Ciclope , di cronologia incerta, ma probabilmente posteriore al 410. L’autore porta sulla scena il noto episodio omerico del IX canto dell’Odissea. “Attraverso Polifemo, Euripide critica apertamente l’estremismo degli intellettuali del suo tempo, che consideravano lo “stato di natura” un modello al quale ritornare ed esaltavano il ruolo dell’uomo come misura di tutte le cose, proclamando l’individualismo sfrenato, la supremazia assoluta del diritto del più forte, l’agnosticismo religioso[13]. Il valore di questa polemica risulta ancora più chiaro se si accetta di attribuire il Ciclope agli ultimi anni della vita del poeta, dopo la fallimentare spedizione militare degli ateniesi in Sicilia[14], in un momento delicato per il destino della democrazia ateniese” [15]
Polifemo, dopo che si è ingozzato dei compagni di  Odisseo e intende mangiare anche lui, fa una predica all’”ometto” dicendo che la ricchezza è l’unico dio per le persone sagge (oJ plou`to~, ajnqrwpivske, toi~ sofoi`~ qeov~, v.316). Più avanti, coerentemente con questa visione crassamente materialistica, il Ciclope aggiunge che sacrifica le greggi a se stesso kai; th`/ megivsth/ gastri; th`/de, daimovnwn (v. 335), e a questa pancia, la più grande tra le dèe.  Zeus per i saggi è mangiare e bere tutti i giorni e non prendersela per niente (lupei`n de; mhdevn, v. 338).
Devono invece piangere i legislatori che con le leggi hanno complicato la vita umana: “oi{ de; tou;~ novmou~ e[qento poikivllonte~ ajnqrwvpwn bivon” (v. 338-339).   
Cicerone bel De officiis ricorda che la causa della creazione delle leggi fu un bisogno di giustizia e di uguaglianza: “leges sunt inventae, quae cum omnibus semper unā atque eādem voce loquerentur” (II, 42), furono trovate le leggi perché parlassero a tutti con una sola e identica voce. 

Vediamo adesso alcune testimonianze di autori che, come Sofocle, criticano le leggi scritte.
Platone nella Lettera VIII  sostiene che mentre la servitù e la libertà smodate sono un gran male (pavgkakon), quelle moderate sono un gran bene, e moderata è la servitù a Dio, smodata agli uomini ("metriva de; hJ qew'/ douleiva, a[metro" de; hJ toi'" ajnqrwvpoi"", 354e).
Dunque  dio per gli uomini saggi  è  legge, per gli stolti il piacere (" qeo;" de; ajnqrwvpoi" swvfrosin novmo", a[frosin de; hJdonhv", 355a ).
Platone consiglia ai familiari e amici di Dione un accordo e la divisione del potere in tre re (Ipparino, figlio di Dioniso I e di Aristomache, Dioniso II, figlio di Dioniso I ( fu tiranno dal 405-367) e di Doride, e Dione II, il figlio di Dione (410-354) che era cognato e genero di Dioniso I poiché era fratello di Aristomache e  aveva sposato Arete, figlia di Dioniso I e Aristomache.
 Il modello, secondo Platone, può essere la  costituzione di Licurgo il quale come favrmakon contro la tirannide introdusse tre poteri:  i re, il consiglio degli anziani e il freno degli efori-kai; to;n tw`n ejfovrwn desmovn, 354b. Non viene nominata l’apella, l’assemblea popolare che del resto non aveva facoltà di iniziativa.
La legge deve essere signora degli uomini e non gli uomini tiranni della legge. Bisogna fuggire a gambe levate (feuvgein fugh`/)  la tirannide, ajplhvstw~ peinwvntwn eujdaimovnisma ajnqrwvpwn kai; ajnohvtwn (354c), presunta felicità di uomini insaziabilmente affamati e stupidi.
La tirannide è dunque universalmente biasimata

Condanna della tirannide con elogio dell’uguaglianza in Euripide
Nelle Fenicie[16] di Euripide,  Giocasta è fautrice dell'uguaglianza. Chiede a Eteocle perché tenda all'ambizione (Filotimiva) che è la pessima tra le divinità, è anzi una dea ingiusta (a[diko" hj qeov" , v.531). E' per lei che Eteocle è impazzito. Molto meglio è onorare l'uguaglianza:"kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n" (vv. 535-536). L'uguaglianza infatti crea legami (sundei', v. 538). L'uguaglianza è stabile (to; ga;r i[son movnimon, v. 538), mentre il meno è sempre in guerra con il più e fomenta le inimicizie.
L' ijsovth"  è la legge  che ha stabilito le misure per gli uomini, le partizioni di pesi e ha dato ordine distinguendo i numeri;  essa per giunta è legge di natura, anzi è legge cosmica cui si sottopone perfino la luce del sole :"nukto;" t  j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole, uguale percorrono il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure, domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d  j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd  j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?
Il consiglio di seguire la natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte.


continua



[1] Mentre il tiranno è zoppo (cfr. Edipo re di Sofocle e Riccardo III di Shakespeare)
[2]E. Fromm, La disobbedienza e altri saggi , p. 63.
[3]W. Nestle, Storia della religiosità greca , p. 218.
[4]Nestle, op. cit., p. 219.
[5] Il tempo ritrovato, p. 190.
[6] V. Ehrenberg, Sophocles and Pericles (1954), 141 ff.
[7]B. M. W. knox, Oedipus at Thebes (1957), ch. ii
[8] Dodds, On Misunderstanding the Oedipus rex in The Ancient Concept Of Progress, p. 75.
[9]G. Ugolini, Sofocle e Atene , pp. 150-151.
[10]II, 35-46.
[11]“Anche in Eur. Hec  866 sgg. c'è un nesso tra scrittura delle leggi (novmwn grafaiv) e potere del popolo (plh'qo")”.
[12]G. Ugolini, Sofocle e Atene , pp. 150-151.
Veramene Ecuba dice che non esiste uomo libero in quanto il mortale è impedito di agire secondo il proprio carattere e il proprio giudizio dal denaro o dalla folla o dalle leggi scritte ( Ecuba, vv. 864-867)
[13] “Lo stesso argomento si individua in un passo di una quarantina di versi del dramma satiresco Sisifo di Crizia (il principale esponente della rivoluzione oligarchica che alla fine della guerra del Peloponneso rovesciò la democrazia per instaurare il cosiddetto governo dei Trenta): in esso si suppone che un antico saggio, per favorire lo sviluppo della società organizzata, avesse escogitato l’esistenza degli dei onniscienti, ai quali non sfuggono neppure gli atti che rimangono nascosti alla giustizia terrena”. Canfora scrive che “è ragionevole pensare” che il dramma satiresco Sisifo di Euripide, rappresentato nel 415 ad Atene con le Alessandro, Palamede,  Troiane, sia “il medesimo che una parte della tradizione antica conosceva come di Crizia” (“”Dioniso” 2011 I numero, nuova serie, p. 75.
[14] …alla spedizione ateniese in Sicilia fanno pensare le insistite allusioni all’ambientazione del dramma nell’isola.
[15] Orietta Pozzoli, traduzione e note di, Eschilo Sofocle Euripide, Drammi Satireschi, pp 124-125.
[16] Rappresentate tra il 410 e il 408

1 commento:

  1. Bisogna riflettere molto su questi argomenti,grazie per gli spunti . Giovanna Tocco

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