giovedì 17 marzo 2016

Il matrimonio infelice o problematico. Parte II

Orfeo

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Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (295 ca. 215 a. C.) Orfeo inaugura il viaggio cantando la nascita dell'universo e affascinando i compagni di viaggio con la malia del suo poetare. Qui risulta essere una figura seduttiva per i compagni di viaggio: dopo avere ascoltato il suo canto, ancora gli eroi allungavano il collo rimanendo zitti e con le orecchie tese per il fascino subito (I, 513-515).
Nella IV Georgica  il cantore va in rovina nella maniera più dolorosa, eppure il protagonista dell'Eneide   cita quella di Orfeo come una catabasi di successo:"si potuit manes arcessere coniugis Orpheus/Threicia fretus cithara fidibusque canoris " ( VI, 119-120),  se Orfeo poté richiamare l'anima della consorte/fidando nella cetra Tracia e nelle corde canore; se ce l'hanno fatta Polluce, Teseo ed Eracle, continua il pio eroe, perché io non dovrei?
 C'è però da notare che Orfeo imparadisato nel VI canto dell'Eneide  non ha nulla a che vedere con Euridice ma è un "longa cum veste sacerdos "(v. 645), un sacerdote con lunga veste il quale fa risuonare ritmicamente i sette toni delle sue corde e le fa vibrare ora con le dita, ora con il plettro d'avorio.

Comunque Orfeo, al pari di Eracle, si presta a essere utilizzato nella poesia con funzioni varie, a volta addirittura opposte. E' un'idea che mi viene precisata dal saggio in inglese di G. B. Conte. Egli nota che ogni mito (con le sue varianti) possiede una pluralità di significati che si aggregano intorno a una funzione tematica fondamentale. Ma quando un poeta utilizza un mito o un carattere mitico, egli opera attraverso una selezione, riorientando la storia nella direzione del suo testo. Viene fatto  l'esempio di Eracle che è stato impiegato dai poeti come eroe civilizzatore, come maschio esuberante nelle faccende sessuali (fino al punto di diventare lo schiavo di Onfale) ma è anche un insaziabile mangiatore e un intemperante bevitore di vino[1]; una figura tragica che impazzisce poi ammazza i figli e la moglie[2]; il mitico progenitore dei re spartani e così via. Lo studioso procede in quella che chiama enumeratio chaotica , poi chiede: vi sareste aspettato che il sofista Prodico (come Senofonte riferisce nei suoi Memorabili  II. 1. 21-34) avrebbe un giorno inventato una favola[3] il cui protagonista era Eracle, ma questa volta come esempio di saggezza e autocontrollo, come paradigma di virtù morale?  Prodico evidentemente ha fatto una scelta tra i vari aspetti di Eracle. Così Virgilio ha attivato alcuni lineamenti del mito a spese di altri e li ha adattati al suo testo. Sentiamo alcune parole del testo inglese di Conte:"For poets, myth is like a word contained in a dictionary: when it leaves the dictionary and enters their text, it retains only one of its possible meanings "[4], per i poeti il mito è come una parola contenuta in un dizionario: quando essa lascia il dizionario ed entra nel testo, mantiene soltanto uno dei suoi possibili significati. Il Mito, continua il professore di Pisa[5],  come una parola, deve essere modificato da declinazioni e coniugazioni per conformarsi al significato globale del discorso: la sua funzione è determinata dal contesto. Ogni poeta greco (e, a fortiori , ogni poeta latino, che inevitabilmente ha trovato se stesso confrontando una serie riccamente stratificata di varianti e adattamenti) si è sentito autorizzato a intervenire nella tradizione e ha "coniugato" liberamente il paradigma mitico. Conte ricorda che Werner Jaeger, in termini tipicamente idealistici ma nondimeno accettabili, ha rammentato che il mito è come un organismo la cui anima è stata costantemente rinnovata e cambiata. La persona che produce tali cambiamenti è il poeta; ma, nel farlo, egli non obbedisce semplicemente al suo capriccio. Il poeta è il creatore di una nuova norma di vita per la sua età ed egli interpreta il mito sulla base della sua norma. Il mito può rimanere vivo grazie alle incessanti metamorfosi della sua idea, ma l'idea nuova si posa sopra il sicuro veicolo del mito. Parlando del mito in Platone, qualche pagina prima (46)  lo studioso scrive:"The mythos completes the logos but is not opposed to it: it completes it per imaginem (by representation)  ",  il mito completa il logos ma non gli è contrapposto: lo completa attraverso l'immagine.
L' Orfeo dell'Eneide dunque è simile al buon poeta ricordato da Eschilo nelle Rane  di Aristofane:" jOrfeu;" me;n ga;r teletav" q j hJmi'n katevdeixe fovnwn t& ajpevcesqai " (v. 1032), Orfeo ci ha insegnato le cerimonie sacre e ad astenerci dal sangue.
Poco più avanti nelle sedi beate del poema di Virgilio si trovano, tra gli altri, sacerdotes casti  (VI, 661)  in compagnia di quanti sono stati feriti combattendo per la patria e dei pii vates  (662). Sono più simpatici, o almeno si addicono più al nostro percorso, i santi sacerdoti di Shakespeare che benedicono Cleopatra nella sua lussuria:"the holy priests bless her when she is riggish " ( Antonio e Cleopatra , II, 2).
Del resto Orazio , pur augusteo , pur amico di Virgilio, sa bene che la castità e l'amicizia della dea casta non bastarono a salvare Ippolito dalla morte:"Infernis neque enim tenebris Diana pudicum/liberat Hippolytum " (Carm[6].  IV, 7, 25-26), infatti dalle tenebre sotterranee Diana non libera Ippolito casto.

Dai testi che abbiamo menzionato dunque risulta che la felicità  nella vita matrimoniale è impossibile.
C'è invece la possibilità di una vita eroica, secondo il corpo o secondo la mente.
Ma questa è inconciliabile con il matrimonio.    
Mircea Eliade individua una riattualizzazione del modello eroico nello scrittore che non si sposa:"Un esempio fra mille: Achille e Soeren Kierkegaard. Achille, come molti altri eroi, non si sposa, quantunque gli sia stata predetta una vita felice e feconda purché si ammogli; senonché, in questo caso, avrebbe dovuto rinunciare a diventare un eroe, non avrebbe realizzato l'"unico", non avrebbe conquistato l'immortalità. Kierkegaard attraversa lo stessissimo dramma esistenziale rispetto a Regina Olsen; respinge il matrimonio per rimanere se stesso, l'"unico", per poter aspirare all'eterno, rifiutando la modalità di un'esistenza felice nel "generale". Lo confessa chiaramente in un frammento del suo Giornale intimo  (VIII, A 56) :"Sarei più felice, in senso finito, se potessi allontanare da me questa spina che sento nella mia carne; ma, in senso infinito, sarei perduto"[7].
Contro il matrimonio quale esperienza inconciliabile con ogni grandezza si esprime il principe Andrej di Guerra e pace  che dice all'amico Pierre:" Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro; questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, finché non avrai smesso di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza, altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando non sarai buono a nulla...Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze"[8] .
Il timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non eroica, certo meno insignificante di quella del marito borghese viene manifestato anche da Kafka nella Lettera al padre :"Perché, dunque, non mi sono sposato? L'impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v'è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi...ho già accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si ricollega ho fatto alcuni mediocri tentativi di indipendenza e di evasione, ottenendo scarsissimi risultati...Ciò nonostante è mio dovere, o piuttosto è la mia vita stessa a vegliare su essi, impedire per quanto sia in me che un pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo, li possa sfiorare. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo"[9].
Per contro nei Diari , in data 19 gennaio 1922, Kafka denuncia la fatica di vivere dello scapolo"Felicità infinita, calda, profonda, redentrice, di star vicino alla cesta del proprio bambino di fronte alla madre. C'è anche un pò del sentimento che dice: Tu non conti più, a meno che tu lo voglia. Per contro il sentimento di chi non ha figli dice: Tu conti sempre, volere o no, ogni istante sino alla fine, nello strazio dei nervi, sempre tu conti e senza risultato. Sisifo era scapolo"[10]
 Svevo, nel racconto Corto viaggio sentimentale , rappresenta un uomo anziano, il signor Aghios, che pensa alla libertà negata dal matrimonio:"Venticinque anni prima il signor Aghios s'era scelta la consorte. Quale gioia quando, vincendo ogni difficoltà, egli era arrivato a dirla sua, trovando naturale che, in compenso, egli appartenesse a lei. Egli era stato felicissimo. Oh! tanto! Nella grande libertà del viaggio egli tuttavia pensò che se venticinque anni prima, invece che sentire il bisogno di sposarsi, egli avesse sentito l'istinto del malfattore e l'avesse soddisfatto con un omicidio, certo a quest'ora, a forza di amnistie, egli sarebbe stato del tutto libero, magari di viaggiare"[11]
 Ricordo pure C. Pavese il quale nega ogni possibilità di benessere nello stare con la donna:"E' carino e consolante il pensiero che neanche l'ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di godersela ormai virtuoso e in pace, e succede che dopo un po' viene il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione soltanto a vederla. Ci si accorge allora che con la donna si sta male in ogni modo"[12]. E ancora:"Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie-torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. E' l'unico vero bene quotidiano"[13].
La gioia feroce della solitudine è quella del Misantropo di Menandro: Cnemone, come vede Sostrato davanti alla porta di casa sua  invoca il suo bene supremo: "ejrhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n " (v.169) non è possibile ottenere la solitudine da nessuna parte!


fine




[1]Funzione assunta nell'Alcesti  di Euripide.
[2]Nell'Eracle  di Euripide.
[3]Quella di Eracle al bivio che comparirà più avanti nel nostro percorso.
[4] Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press, p. 52.
[5] Lo riferisco tradotto spero non troppo male.
[6] I primi tre libri delle  Odi di Orazio furono composti fra il 30 e il 23 a. C.; il quarto uscì dopo il 13 a. C. Orazio muore nell'8 a. C.
[7]Trattato Di Storia Delle Religioni , trad. it. Boringhieri, Torino, 1976, pp. 440-450.
[8]L. Tolstoj, Guerra e pace , trad. it. Garzanti, Milano, 1974, p. 41.
[9]F. Kafka, Lettera al padre , trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1976, p. 144 e sgg.
[10]F. Kafka, Diari , p. 592.
[11]In Italo Svevo, I Racconti, Rizzoli, Milano, 1988, p.438.
[12] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 8 agosto 1944.
[13]C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 aprile, 1946. 

1 commento:

  1. Le parole di Svevo sono interessanti e il tuo commento bello e interessante fa riflettere,però la mia esperienza mi conduce a riflessioni completamente diverse. A me il matrimonio è congeniale.Giovanna Tocco

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