sabato 14 aprile 2018

Shakespeare, "Riccardo III". Parte ultima

re Numa


Il re Numa che decise di infondere il timore degli dèi (“deorum metum iniciendum ratus est” (Livio, I, 19, 4), cosa efficacissima per la massa ignorante e rozza di quei tempi.
L'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1517) di Machiavelli verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella... E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che "ricorrono a Dio" nomina Licurgo e Solone. Infine tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione".

A questo proposito cfr. Polibio sulla deisidaimoniva che è servita a tenere insieme lo stato romano.
In effetti uno dei grandi errori dei capi dell’Unione Sovietica è stato il tentativo di sopprimere la religione in un popolo tradizionalmente pio
Nell’ultimo atto il famoso grido che smonta il potere regale: a horse!a horse! My kingdom for a horse! (V, 5). (Probably a runner, cf. Lat currere sup. cursum)

Richmond, il vincitore, fa un discorso finale nel quale auspica una nuova età dell’oro: come abbiamo solennemente giurato
We will-velle- unite-unire, unitus, unus- the white rose-rJovdon, rosa- and the red-eJruqrov", ruber, uniremo la rosa bianca (York) e la rossa (Lancaster).
York e Lancaster furono divisi dall’odio e dal clima della totale peccaminosità: the brother- fravthr-frater- blindly shed-orig. to separate-scivzw scindo.- the brother’s blood;-the father pathvr-pater- rashly slaughter’d his own son-uiJovς-;/the son compelled-compello-spingo a forza- been butcher to the sire-is a variant of O. F. senre<L. senior” (24-26) il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello, il padre ha sconsideratamente macellato il proprio figlio, il figlio è stato costretto a farsi macellaio del padre.

Anche Lucrezio identifica l’età peggiore, quella della compiuta peccaminosità, con il tempo delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque" (De rerum natura, III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.

All this divided-divĭdo-divīsit York and Lancaster/ - in their dire-deinovς-dirus- division” tutto questo divise York e Lancaster nella loro crudele rivalità.
Richmond and Elisabeth dunque the true- succeeders-succēdo- of each- royal-regālis- House, autentici successori di ciascuna casa reale
By God’s fair ordinance conjoin-coniungo- together, si congiungano per fausto decreto di Dio. and their heirs-heres-ēdis, God, if Thy will-velle- be so- e il loro eredi, Dio, se tale è il tuo volere, enrich (unless the Teut. base rik- is merely borrowed from the Celtic rīg-cf L- rex )- the time to come, with smooth-fac’d peace, arricchiscano l’avvenire con la pace dal volto disteso, with smiling- meidiavw---- plenty- plenitas, plenus- -pivmmplhmi-plh'qoς- and fair prosperous- prosperus- days, con ridente abbondanza e radiosi giorni di prosperità.
Abate the edge-ajkivς-acies- of traitors-traditor postclassico in Tacito Hist 4, 24- cfr. proditor, gracious-gratia- lord, smussa la lama dei traditori, grazioso signore that would- reduce far tornare-redūco- these bloody days again-and make poor-pauper- England weep in streams-rJevein-rJeu'ma flusso- of blood- che vorrebbero ricondurre quei giorni sanguinosi, e fare piangere torrenti di sangue alla povera Inghilterra.
Si torna dall’età del ferro a quella dell’oro come nella IV Bucolica di Virgilio e nel Carmen saeculare di Orazio.
 Al contrario nelle Opere e i giorni di Esiodo e nel primo libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Il pericolo di una regressione c’è sempre nella storia come nella vita individuale.
Now civil-civilis- wounds are stopp’d-stupa e stuppa-stuvph,stuppei'on- stoppa-, peace lives again- that she may-mhcanhv- long live here. God say Amen, ora le ferite della guerra civile sono chiuse, torna a vivere la pace. Che possa vivere a lungo qui, Dio dica amen.

Nell'Eneide la decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi delle ricchezze:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor[1] aetas/et belli rabies et amor successit habendi " (VIII, 324-327 è Evandro che racconta), i secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[2]: così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette l'età scolorita e la furia di guerra, e l'amore del possesso.

L'età dell'oro ovviamente, secondo la profezia di Anchise, ritornerà con Augusto: “ Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata per arva/ Saturno quondam" (Eneide VI, vv. 792-794), Cesare Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui regnò nei campi arati un tempo Saturno.

 Già nel primo libro Giove profetizza il rinnovamento dei tempi dovuto all’impero e senza fine e alla pace stabiliti da Augusto: “imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno (279)… consilia in melius referet mecumque fovebit/Romanos rerum dominos gentemque togatam (281-282)… “(291)Aspera tum positis mitescent saecula bellis,/cana Fides et Vesta, Remo cum fratre Quirinus[3]/iura dabunt; dirae ferro et compagibus artis/claudentur Belli portae; Furor impius intus/saeva sedens super arma et centum vinctus aënis/post tergum nodis fremet horridus ore cruento” (Eneide, I, 279 sgg.), ho assegnato un impero senza fine. Anzi la dura Giunone volgerà in meglio i propositi e con me favorirà i Romani signori del mondo e la gente vestita di toga[4]…allora, deposte le guerre, diventeranno miti le età feroci, e la Fede veneranda e Vesta, e, con il fratello Remo, Quirino daranno le leggi; le atroci porte della guerra verranno chiuse con stretti serrami di ferro; l'empio Furore dentro, seduto sopra le armi crudeli, e legato dietro la schiena con cento nodi di bronzo, fremerà orribile nel volto insanguinato.

Orazio nel Carmen saeculare[5] celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[6], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.


Aggiunta semiseria
La morte si annuncia con il freddo agli arti inferiori.
La via più breve per scendere nell’Ade, dice Eracle a Dioniso che vuole andare negli inferi a recuperare Euripide, è il suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la cicuta.
Dioniso: ma è gelata e intirizzisce gli stinchi (Rane, 125-126).
Cfr. il Fedone 118 quello che gli aveva dato il veleno, risalendo con la mano dal piede al ventre, faceva vedere come Socrate si raffreddava e irrigidiva: “ejpedeivknuto o{ti yuvcoitov te kai; phvgnuto”.
Cfr. Enrico V (1599) con la morte di Falstaff raccontata dall’ostessa: “So a’bade me lay more clothes on his feet - pouvς - pes: I put my hand-palma into the bed and felt them, and they were as cold-congeal-gelidus- as any stone - stiva - pietruzza; then I felt to his knees - govnu - genu -, and so upward, and upward, and all was as cold as any stone” (II, 3, 20-25).


FINE


[1] Nell’Oedipus di Seneca la Tebe ammorbata dagli scelera del re è colpita dall’aridità, dalla siccità e pure dallo scolorimento che significano sterilità e morte:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inǒpi nuda vix undā vada "(Oedipus, vv.41-43), l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi. La malattia toglie umore e colore alla vita prima di annientarla: "Il sole della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia" A. Camus, La peste, p. 87.
[2] Saturno (cfr. redeunt Saturnia regna di Bucolica IV, v. 6) che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium, "his quoniam latuisset tutus in oris " (Eneide, 8, v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste contrade.
[3] Il fratricidio è rimosso. Poco posteriore alla IV ecloga (scritta nel 40 a. C. anno della pace di Brindisi tra Ottaviano e Antonio e del consolato di Asinio Pollione) è l'Epodo 16 di Orazio composto probabilmente "dopo che Sesto Pompeo nel 38 ha ricominciato la sua guerra sul mare, minacciando di affamare l'Italia"[3]. Roma che i tanti nemici esterni non riuscirono a distruggere, prevede cupamente il poeta, "impia perdemus devoti sanguinis aetas "(v. 9), la distruggeremo noi, generazione empia nata da un sangue maledetto, con riferimento al fratricidio primigenio di Romolo. Anche la funzione della donna è ribaltata rispetto al messianico testo virgiliano dove la madre è rappresentata ridente: alle donne, con ricordo archilocheo che avrà un seguito in Tacito, si addice il luctus che il vir, cui si confà la virtus, deve evitare:"vos quibus est virtus, muliebrem tollite luctum " (v. 39), voi che avete coraggio virile togliete di mezzo il lamento da femmine. Si dovrà volare al di là dei lidi etruschi, verso le isole felici dell'Oceano. In quei luoghi la terra è generosa, gli animali produttivi, il clima mite, le donne pudiche poiché non hanno avuto il cattivo esempio di quella sporcacciona di Medea:"Non huc Argoo contendit remige pinus/neque impudica Colchis intulit pedem " (vv. 59-60), qua non ha diretto la rotta la nave con i rematori di Argo, né la svergognata donna di Colchide vi ha messo piede.
[4] La toga è la divisa del romano in pace, è "quell'indumento così fortemente marcato, dal punto di vista dell'identità e dell' "appartenenza" romana, da costituire una vera e propria "uniforme de la citoyennetè" (. F. Dupont, La vie quotidienne du citoyen romain sous la république, Hachette, Paris, 1989, p. 290) .La toga costruisce il corpo del cittadino alla maniera di una veste rituale…". (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 345).
[5] Del 17 a. C.
[6] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

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