martedì 10 aprile 2018

Il pathos come elemento educativo. parte 3

Calipso e Odisseo


Il pathos con lacrime può dipendere anche dalla carenza di desiderio amoroso
Nel V canto dell’Odissea, Ermes va da Calipso per dirle che è volontà di Zeus che lasci partire Odisseo tenuto prigioniero da lei. La ninfa andò in cerca del magnanimo Ulisse.
Quindi “lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa" (ejpei; oujkevti h{ndane nuvmfh V, 151-153).
Quattro parole per spiegare un fatto naturale colto nella sua essenzialità.
Non c’è bisogno di chiacchiere per spiegare il calo o la mancanza del desiderio.
Calipso dice a Odisseo che lo lascia partire, che, anzi, lo aiuterà a partire dandogli il viatico di pane, acqua, vino rosso (si`ton kai; u{dwr kai; oi\non ejruqrovn, v. 265) e vesti (ei{mata, v. 167). Odisseo è, come sempre, diffidente, ma Calipso giura sulla terra, sul cielo e sullo Stige, il giuramento più grande e terribile, che lo aiuterà con lo stesso impegno con il quale provvederebbe a se stessa poiché, dice, sono giusta e nel mio petto non c’è un cuore di ferro ma compassionevole (oujde; moi aujth`/qumo;~ ejni; sthvqessi sidhvreo~, ajll j ejlehvmwn, vv. 190-191)

La sofferenza educativa in Virgilio
Per non limitarci alla letteratura greca e ai suoi interpreti, aggiungo autori successivi. Nell'Eneide di Virgilio Didone incoraggia i Troiani giunti naufraghi sulle coste della Libia ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente, ma pure compassionevole verso i disgraziati:"non ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati. Tanta humanitas non verrà contraccambiata da Enea. Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei nostri autori e dovrebbe esserlo nella scuola: "E infine, possiamo imparare la lezione fondamentale della vita, la compassione per le sofferenze di tutti gli umiliati, e la comprensione autentica"[1].
“Virgilio insiste, com’è ben noto, sull’umanità del personaggio, che, avendo sofferto, è particolarmente sensibile al dolore degli altri”[2].
E’ l’umanesimo che ritroviamo in quanto dice Teseo nell’ Edipo a Colono e l’Antigone di Sofocle.
Un'alta espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono: "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so bene di essere un uomo. Per questo motivo dà aiuto a Edipo giunto ad Atene povero, cieco e malfamato.
L’Antigone di Sofocle, determinata a disobbedire al decreto disumano che ordina di lascire insepolto Polinice, dice a Creonte che la minaccia: “ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfilei'n e[fun (523), non sono nata per condividere l’odio ma l’amore

F. Dostoevskij in Ricordi del sottosuolo (del 1864) scrive:" io sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera, autentica sofferenza, e cioè alla distruzione e al caos. Giacché la sofferenza è la vera origine della coscienza… In realtà io continuo a pormi una domanda oziosa: che cos'è meglio, una felicità da quattro soldi o delle sublimi sofferenze? Dite su, che cos'è meglio?" (p. 234 e p. 320).
 H. Hesse, in Siddharta (p.135) esprime con altre parole l'antica legge eschilea del tw/' pavqei mavqo":"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce".

Dalla donna che ci fa soffrire si impara anche.
Su questo possiamo sentire Proust: "Perché solo la felicità è salutare al corpo, ma è il dolore a sviluppare le energie dello spirito… Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere...Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col riuscire ben spossante!"[3].
La sofferenza si confà alla chiarezza della visione e pure all'arte: "Spesso solo per mancanza d'ingegno creativo non ci spingiamo abbastanza oltre nella sofferenza. E la realtà più atroce suol dare, insieme con la sofferenza, la gioia d'una bella scoperta, perché non fa che dare una forma nuova e chiara a quello che andavamo rimuginando da un pezzo senza rendercene conto"[4].
“La sofferenza, per quanto ti possa apparire strano, è il nostro modo di esistere, poiché è l’unico modo a nostra disposizione per diventare consapevoli della vita; il ricordo di quanto abbiamo sofferto nel passato ci è necessario come la garanzia, la testimonianza della nostra identità”[5].
Sentiamo ancora qualche testimonianza.
Lo stariez Zossima dice le sue ultime volontà ad Alioscia: “Avrai molto da fare. Ma non dubito di te, e perciò ti mando nel mondo. Cristo sarà sempre con te. ConservaLo nel tuo cuore, ed anche Lui ti conserverà. Conoscerai grandi sofferenze, e nel dolore troverai la felicità. Eccoti il mio testamento: nelle sofferenze cerca la felicità. E lavora, lavora senza tregua”[6].
D'Annunzio invece attribuisce al piacere maggiore efficacia pedagogica che al dolore: "Ella[7] ci persuade ogni giorno l'atto che è la genesi stessa di nostra specie[8]: lo sforzo di sorpassar sé medesimo, senza tregua; ella ci mostra la possibilità di un dolore trasmutato nella più efficace energia stimolatrice; ella c'insegna che il piacere è il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla Natura e che colui il quale molto ha sofferto è men sapiente di colui il quale molto ha gioito"[9].
Sentiamo il vecchio Malavoglia di Verga: “Hanno imparato presto perché hanno visti guai assai! - diceva padron jNtoni - il giudizio viene colle disgrazie”[10].
Passiamo a C. Pavese: "la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente"[11].
“Soffrire non serve a niente (26 novembre ‘37).
Soffrire limita l’efficienza spirituale (17 giugno ‘ 38).
Soffrire è sempre colpa nostra (29 settembre ’38)
Soffrire è una debolezza (13 ottobre ’38)
Almeno un’obiezione c’è: se non avessi sofferto non avrei scritto queste belle sentenze”[12].
“Qualunque sofferenza che non sia anche conoscenza è inutile[13].


CONTINUA


[1] E. Morin, La testa ben fatta, p. 49.
[2] A. La Penna, Prima lezione di letteratura latina, p. 150.
[3]M. Proust, Il tempo ritrovato, pp 238, 239 e 242.
[4] M. Proust, Sodoma e Gomorra, p. 549.
[5] O. Wilde, De Profundis, in Oscar Wilde Opere, p. 653.
[6] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 123.
[7] La vita.
[8] " Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì" (C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 dicembre, 1937). Ndr.
[9] Il fuoco (del 1900) p. 95.
[10] G. Verga, I Malavoglia, p. 221.
[11] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 novembre 1937.
[12] Il mestiere di vivere, 27 ottobre 1938.
[13] Il mestiere di vivere, 19 gennaio 1939.

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