venerdì 6 aprile 2018

Lucrezio, "De rerum natura". V libro. parte 3


Il Coro delle Troiane di Seneca esclude la sopravvivenza dopo la vita: tempus nos avidum devǒrat et Chaos (400).
Shakespeare in Pericle, principe di Tiro (1608) scrive “Time ‘s the king of men;/He’s both their parent and he is their grave,/And gives them what he will, not what they crave” (II, 3), il Tempo è il re degli uomini, è insieme il loro padre e la loro tomba, e dà loro ciò che vuole, non quello che essi chiedono.
Nella prima scena di Love’s Labour’ s lost[1], Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.

Ogni cosa scema, nutrendo di sé altri corpi.

Questo mondo non c’è stato sempre e finirà. Le storie più antiche sono il bellum thebanum e i funera Troiae (326) i lutti di Troia. Perché non risalgono più indietro? La terra è ancora recente
 recens natura mundi (331, ma più avanti dirà il contrario).
Anche questa ratio reperta est nuper (335) dottrina della natura- e io sono il primo primus/ nunc ego sum in patrias qui possim vertere voces (337) .
Vertere è un tradurre liberamente. Verbum de verbo exprimere, letteralmente.

Per non finire, per essere eterni, non si deve risentire degli urti. Immortali infatti sono gli atomi e il vuoto sicut inane est- quod manet intactum neque ab ictu fungitur hilum (357-358) né subisce i colpi. Anche l’universo è eterno perché è infinito non c’è un fuori luogo quo dissiliant (362) dove gli atomi possano saltare né ci sono corpi che possano gettarsi su di loro e dissolverli con un urto abbastanza forte
Sicut summarum summa est aeterna, neque extra
Qui locus est quo dissiliant neque corpora sunt quae
Possint incidere et valida dissolvere plaga (361-363)
Dunque la leti ianua , la porta della morte, non è chiusa al cielo né alla terra né al sole sed patet immani et vasto respectat hiatu (375) ma è aperta e li osserva con una enorme, mostruosa spalancatura.
Cose mortali che hanno avuto un principio avranno una fine.
Le immense membra del mondo lottano tra loro (380), l’acqua il fuoco in particolare. Il mito di Fetonte, pur lontano da una corretta ragione, racconta un assalto del fuoco, la storia di Deucalione e Pirra, un tentativo dell’acqua.

Per Fetonte cfr. Ovidio met. 2, 1-400; per Deucalione e Pirra Ovidio met. 1, 313-415. In Igino come in Lucrezio le due favole sono correlate e giustapposte. Deucalione era figlio di Prometeo, Pirra di Epimeteo e Pandora.

All’inizio c’era il caos poi un ordo ma non disposto sagaci mente (420).
Prima c’era tempestas e moles, una congerie di semi di ogni specie e confuse battaglie. Poi le particelle simili cominciarono a congiungersi con le simili coepēre paresque cum paribus iungi (444), e dunque a separarsi il cielo dalla terra, dal mare. Allora l’etere si levò sopra la terra. Il sole e la luna stanno a mezz’aria, meno pesanti della terra, più dell’etere.
La terra si avvallò dove i corpi celesti si ritirarono e subentrò il mare.
L’etere è la parte più alta e leggera del cielo e non ha perturbazioni.

Lucrezio ritiene, come Epicuro che la terra sia ferma al centro del mondo e i corpi celesti in movimento (geocentrismo).

L’eliocentrismo di Copernico (1473-1543) era stato già sostenuto da Eraclide Pontico del IV e Aristarco di Samo del III sec. a. C.

Eraclide Pontico (‛Ηρακλεδης Ποντικς). Filosofo e scienziato greco di Eraclea Pontica (sec. 4º a. C.); scolaro di Platone e di Speusippo, scrisse opere etiche, fisiche, grammaticali, retoriche, storiche, letterarie e anche un trattato di musica. Molte di esse erano scritte in forma di dialogo, sul modello di Platone. Ma il nome di E. resta soprattutto legato alle sue geniali idee astronomiche. Nel Περ τν ν οραν ("sulle cose [che sono] in cielo") E. suppose infatti che i corpi celesti non fossero "incastonati" in sfere cristalline, secondo l'ipotesi generalmente accettata nell'antichità, ma si "librassero" nell'etere; spiegò il moto apparente delle "stelle fisse" con un moto rotatorio compiuto dalla Terra in circa 24 ore attorno al proprio asse da occidente a oriente; infine (ed è forse la cosa più importante) sostenne che Mercurio e Venere ruotassero intorno al Sole, mentre la Terra sarebbe stata al centro della rotazione degli altri pianeti: tale sistema, conosciuto nel Medioevo tramite Calcidio e Macrobio ma raramente accolto, fu ripreso nel sec. 16º da T. Brahe (1546-1601) . È discussa l'influenza che la dottrina di E. può aver esercitato nella formazione della teoria copernicana.

Cfr. “maledetto sia Copernico” di Pirandello (Il fu Mattia Pascal)
“Io dico che quando la terra non girava, e l’uomo, vestito da greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, come voi m’avete insegnato, che la storia doveva essere fatta per raccontare e non per provare?
La terra “Per tanti anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? Ch’era una buona scusa per ubriachi (…) Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente (…) storie di vermucci ormai, le nostre” (Premessa)

Cfr. Don Ferrante il quale pensava che la peste dipendesse da “quella fatale congiunzione di Saturno con Giove” Mentre i signori medici dicono con faccia tosta “non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri…E tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! Brucerete Giove? Brucerete Saturno?
His fretus, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle” (Manzoni, I pronessi sposi, XXXVII).

C’è un aria che muove le stelle le quali sparse per il cielo pascono i loro corpi ignei (525).
Il sole. La luna e le stelle, data l’ejnavrgeia, l’evidenza dell’ai[sqhsiς, della sensazione, non sono molto diverse nelle dimensioni da come ci appaiono.

 Pitagora confortato dalla matematica e perfino Democrito attento alla geometria non affermava questo.

Sentiamo Cicerone: “Sol - il sole - Democrito magnus videtur quippe homini erudito in geometriaque perfecto, huic a costui (Epicuro) pedalis fortasse, forse della misura di un piede; tantum enim esse censet, quantus videtur, vel paulo aut maiorem aut minorem. Ita quae mutat ea corrumpit quae sequitur sunt tota Democriti, atomi, inane, imagines quae ei[dwla nominant (De finibus, I, 20).


CONTINUA



[1] Del 1594-1595.

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