Ricordo un altro episodio.
Eravamo seduti a un tavolo sulla terrazza della casetta di fianco allo stadio. Alcuni ballavano, altri scherzavano, altri, come Danilo, seguitavano a bere.
Accanto a noi c’era Bruno con il quale facevo una discussione animata, quasi polemica, in italiano, pronunciato per giunta da me con la cantilena pesarese che allunga le vocali, mentre le parole della lingua nostra venivano apocopate alla romana dall’amico dell’Urbe. L’argomento non era importante, tanto che non lo ricordo. A ciascuno di noi due interessavo solo prevalere sull’altro. Con insensatezza giovanile.
A Päivi traducevo l’essenziale, ma la mia compagna rimaneva comunque esclusa dalla discussione concitata.
A un tratto venne a parlarle in finlandese e invitarla a ballare, il suo insegnante di ungherese, un uomo di qualche valore, mi aveva detto lei stessa, poiché la motivava a studiare una lingua che era sì imparentata con la sua, ma era pure inutilizzabile fuori dai confini delle loro terre.
Per mia fortuna, il professore ungherese bello non era. Ma nemmeno tanto brutto da fare schifo a una donna intelligente.
Päivi mi chiese il permesso di seguirlo. Io ovviamente glielo diedi.
Come potevo non darglielo? Dimmelo tu lettore, come avrei potuto?
I due ballarono a distanza rispettosa invero, dico rispettosa nei miei confronti, quindi sedettero a un tavolo non lontano e ben visibile dal nostro.
Ogni tanto lanciavo un’occhiata obliqua verso di loro, prima con curiosità, poi con una certa apprensione: mi sembrava che parlassero volentieri e non senza una certa intesa . Quasi come noi due la prima sera, povero me, disgraziato, infelice !
Di Päivi mi fidavo, poiché non mi dava l’idea dell’adultera: dopo tutto era la mia prima finnica di quattro che non commetteva adulterio facendo l’amore con me. Un valore che scarseggiava già allora, e forse da sempre nel mondo. La fedeltà dico.
Lei dunque non era tra le pregiudicate quali infedeli, seppur cristescamente perdonate, eppure la situazione che si stava creando, dal mio punto di vista non era simpatica: in fondo la compagna che amavo aveva lasciato il nostro tavolo dove stavamo uno accanto all’altra per andare a sedersi altrove, con uno che non le dispiaceva e quasi sicuramente le faceva la corte. Del resto non potevo chiederle di tornare seduta dove io e Bruno discutevamo in italiano e con una certa foga.
Päivi però si accorse che la sua assenza mi metteva in ansia, mi faceva soffrire, e dopo pochi minuti tornò. Disse che preferiva guardarmi mentre parlavo nella mia lingua, anche se non traducevo, piuttosto che dialogare nella sua con qualsiasi altra persona. Questa delicatezza, “poi che il sospecciar fu tutto spento” [1], mi motivò a fare del mio meglio per evitarle dispiaceri o apprensioni.
Io amo la delicatezza [2]. Ora c’è grande carenza di questa virtù, e mi manca.
Ricordo un’altra una sera di agosto, intorno al 10.
Stavamo cenando con tanti altri nella mensa dell’Università di Debrecen. A in certo momento passò una voce che divenne presto un grido di giubilo: Nixon resigned! Ci fu un applauso scrosciante da parte di tutti noi: Europei, Sovietici d’Asia, Vietnamiti e altri orientali.
Noi due ci alzammo come tutti. Ci abbracciammo, ci baciammo, e abbracciammo anche altri vicini a noi, ragazze e ragazzi di allora. Avevamo le lacrime agli occhi. Lacrime di gioia. E’ stata una delle sere belle di questa mia vita mortale.
Amore, politica, libertà e pace si sperava.
Il successivo abortimento della nostra bambina, le stragi di stato, l’egoismo, il capitalismo incontrollato e il conseguente virus globale con tutti gli altri orrori compresi nei 50 anni seguenti non potranno mai annientare la felicità di quella sera e di quel mese dell’estate del 1974, anche se già in ottobre vidi la fine delle mie gioie.
Quell’estate lontana fu come la bella stagione che si affaccia precoce in febbraio, oppure indugia tardiva in novembre, e poco dopo viene sepolta dalla neve.
Arrivato al 2025 mi domando: potrò esultare di nuovo per le dimissioni di politici odiosi? Di questi farabutti che spingono i giovani a fare la guerra, a morire e gettano popolazioni intere nella disperazione, nella miseria?
Con chi farò una festa degna, piena di gioia? Chi abbraccerò così degnamente come quella sera antica?
Dio solo lo sa.
Note
[1] Cfr. Dante, Inferno X, 57.
[2] "e[gw de; fivlhmm' ajbrosuvnan" Fa parte di un frammento di Saffo (58 Voigt) trasmesso dal Papiro di Ossirinco 1787
Bologna 15 marzo 2025-
giovanni ghiselli
p. s.
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