Dopo il tramonto salimmo, per cenare, al ristorante Silvanus alto cinquecento metri
sui colli che sorgono sul gomito dell’Istro, il grande fiume verde di foglie e
biondo di sabbie ancora memori della luce del sole.
Il Danubio incurvato tra i monti, da lassù sembra il lago di Como visto dalla Madonna del Ghisallo. Avrei voluto dare sfogo alla gioia scalando anche quella salita ungherese con la bicicletta. Una pendenza non erta: varia dal 3 al 7 per cento.
A occidente indugiava ancora la luce della giornata bella, ma la temperatura si era abbassata di non pochi gradi.
L’estate tremava sulle soglie dell’autunno che l’avrebbe calpestata [1] e annientata poco prima di venire a sua volta intorpidito e paralizzato dalla bruma invernale, quella che fa zittire gli uccelli [2], o li uccide [3].
D’altra parte, se l’autunno già bussava alle porte battendo con soffi di aria non calda, la primavera non poteva essere troppo lontana [4].
Un vento già settembrino, muoveva gli aghi dei pini che profumando e sussurrando, mi suggerivano ancora sensazioni e pensieri buoni. I lunghi capelli di Päivi, mossi e sollevati dall’aria, sembravano fili purpurei protesi verso una realtà ultraterrena: il paradiso sperato del nostro amore.
Poco più tardi, mentre mangiavamo con moderazione, al nostro tavolo venne Josiane, l’ex ragazzina francese che una sera oramai già allora lontana [5] aveva ingelosito Elena, la bella finnica incinta del 1971. Ero stato incerto tra la pulzella e la quasi maritata.
In quel tempo la graziosa diciottenne mi sorrideva senza uno scopo preciso, come fanno spesso le adolescenti, e io la contraccambiavo con un sorriso da satiro invecchiato, già quasi un sileno [6], sebbene non avessi ancora compiuto ventisette anni. Il fatto è che avevo giurato il mio amore e l’avevo fatto con una donna che si era appena scoperta pregna di un altro uomo. Eppure la deliziosa ragazza di Strasburgo mi attirava assai.
Passati tre anni, tutto era diventato più chiaro e diritto. C’era più verità, c’era più stile in entrambi.
Sempre carina e gentile, e un poco più matura, come me d’altra parte, dopo cena, la madamigella mi porse una rosa bianca dicendo: “Magister, tibi”. Presi il fiore e la ringraziai, contraccambiando la sua simpatia.
Le dissi, citando Thomas Mann: “une fois déjà, je t’ai demandé ton crayon, pour faire enfin ta conaissance mondaine”[7]. Poi mi alzai e la baciai sulla fronte. Josiane capì che la congedavo e se ne andò, questa volta forse per sempre. Dico forse e aggiungo “purtroppo” perché mi piacerebbe che leggesse queste righe e mi cercasse. Dovrebbe essere una matura signora, una donna attraente immagino sulla settantina. Spero che non abbia smentito il bell’aspetto e lo stile che aveva e le faceva onore.
Noi, due graziosa adolescente del 1971, abbiamo vissuto nello spirito ciò che quasi sicuramente non vivremo mai nella carne.
Una omissione non peccaminosa in quel tempo. Non ti corteggiai nemmeno questa seconda volta. Ero di nuovo con una compagna incinta e non volevo dare un dispiacere nemmeno a questa che oltretutto aspettatava una bambina da me.
Ma ora? Io non ho più alcuna remora. Fatti viva creatura come quando arrivasti inopinata e misteriosa quale Tersicore ragazzina nella sera di quel giorno di festa e insieme danzammo ammirati dai nostri compagni dell’età più bella.
La matita rimase inutilizzata e non ci scambiammo gli indirizzi: non volli rompere l’equilibrio che avevo trovato con me stesso, con il mondo e con la donna che aspettava un figlio. Lei diceva di sentire che era una bambina, forse per compiacermi. Oh sì: se nella vita mi manca qualcuno oltre i defunti più cari, è una figlia. Nient’altro mi manca.
La sera del 1971 quando conobbi Josiane e ne restai affascinato, la giovinetta francese mi domandò se cercavo una figlia e io risposi: “non ancora”.
Questa seconda volta volevo trovare la bellezza coniugata con la giustizia dentro tutti gli aspetti del mondo e credevo che avrei educato a tale connubio: Josiane mi aveva chiamato magister e mi sentivo davvero maestro, un artista educatore che nella nostra breve, travagliosa esistenza mortale, discerne la santa armonia e sa indicarla ai suoi discepoli, perfino a un popolo intero.
Voi lettori avete superato un milione e 700 mila presenze. Siete un popolo eletto.
Infatti mi leggete senza alcuna pubblicità né alcuna mia visibilità televisiva, e senza che io ripeta i luoghi comuni della volgarità. Sono un a[topo~, un fuori luogo, eppure mi leggete.
Di questo scritto e degli altri miei vi attirano la bellezza e la bontà di una vita vissuta pienamente nell’amore, nella cultura e nell’arte.
Note
1 Cfr. Orazio, Odi IV, 7, 10 ver proterit aestas, l’estate calpesta la primavera.
2 Cfr. Lucano Pharsalia, I, 259 volucres cum bruma coercet (259) quando l’inverno chiude la gola agli uccelli.
3 Cfr. Eschilo, Agamennone: “ceimw'na dj eij levgoi ti" oijwnoktovnon (563), e se qualcuno dicesse dell’inverno che uccide gli uccelli.
4 Cfr. Shelley, Ode to the West Wind: “If Winter comes, can Spring be far behind?”
5 Cfr. La storia di Elena. Vi chiedo: qual è la più bella della trilogia?
6 Cfr. Lorenzo de’ Medici, Canzona di Bacco
Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
7 T. Mann, La montagna incantata, quinto capitolo, Notte di Valpurga, quinto capito. Già una volta, ai tempi del liceo, ti ho chiesto una matita per fare finalmente la tua conoscenza ufficiale
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Bologna 16 marzo 2025 ore 16, 16 giovanni ghiselli
p. s.
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