Presentazione
del libro di Remo Bodei
Generazioni.
Età della vita, età delle cose.
Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Prima
parte: Le tre età della vita.
La
vita dell’uomo viene tradizionalmente divisa in tre fasi:
giovinezza, maturità, vecchiaia. Tale tripartizione “deriva dalla
ripetuta esperienza quotidiana del corso del sole: ascesa, zenit,
declino. Al suo interno, la preferenza viene di norma assegnata alla
maturità, simbolo di pienezza, di glorioso mezzogiorno (…)
Secondo le parole di Shakespeare , essa “è tutto”,
anche se, a dare ascolto a Oscar Wilde, “essere immaturi significa
essere perfetti”, non rinunciare mai a ulteriori cambiamenti”
(pp. 5-6).
Eppure
J. Hillman da vecchio ha scritto: “I fatti dimostrano che,
invecchiando, io rivelo più carattere, non più morte”.
Leggere
i libri di Remo Bodei significa imparare idèe nuove e ricordare
quelle che avevamo dimenticato. Impariamo e ripassiamo ancora dunque.
Bodei
cita, tra altri autori (p. 7), Aristotele che, nella Retorica,
divide la vita in tre età: “hJlikivai
dev eisi neovth~ kai; ajkmh; kai; gh`ra~”
(1388b), le età sono la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Si
vede che la seconda è considerata il culmine (ajkmhv)
della vita.
I
giovani secondo Aristotele
Nei
giovani prevale la speranza e vivono per lo più in essa (kai;
zw`si ta; plei`sta elpivdi,
1389a), infatti la speranza riguarda il futuro, il ricordo invece il
passato.
Aristotele
mette in luce diversi aspetti caratteristici, prima della giovinezza,
poi della vecchiaia: i giovani sono inclini ai desideri
(ejpiqumhtikoiv,
Retorica,
1389a), a partire da quello sessuale che non sanno dominare. Sono
incostanti, passionali, impulsivi e facili alla collera. Amano
inoltre gi onori e le vittorie ( la gioventù infatti desidera la
supremazia e la vittoria è una forma di supremazia “uJperoch`~
ga;r ejpiqumei` hJ neovth~, hJ de; nivkh uJperochv ti~”).
I giovani sono di indole buona (ejuhvqei~)
poiché non hanno ancora assistito a molte malvagità. Sono fiduciosi
(eu[pistoi)
per non essere ancora stati ingannati molte volte e sono pieni di
speranze (eujevlpide~)
poiché, come
gli ubriachi, sono di temperamento caldo e non hanno ancora subito
molti insuccessi.
Farei
una critica all’antico saggio obiettando che nella vita non tutti
accumulano solo insuccessi, e che raggiungendo questi si acquista la
sicurezza che i giovani non possono avere proprio in quanto ancora
digiuni di quelle mete raggiunte che garantiscono un’identità
contenta di sé.
Poi,
continua Aristotele, i giovani sono facili da ingannare, sono più
coraggiosi, sono portati a vergognarsi, sono magnanimi (megalovyucoi)
poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, e sono inesperti
delle necessità. Magnanimità è ritenere se stesso degno di cose
grandi (kai;
to; ajxiou`n auJto;n mevgavlwn megaloyucivva),
ed è una caratteristica di chi ha buone speranze
Poi
i giovani sono socievoli, sono portati all’eccesso: “pavnta
ga;r a[gan pravttousin”
(1389b) fanno tutto in eccesso: “filou`si
ga;r a[gan kai; misou`sin a[gan kai; ta\lla pavnta oJmoivw~”
amano infatti troppo e odiano troppo e tutto il resto nello stesso
modo.
Si
ricorderà che il precetto Mhde;n
a[gan, nulla
di troppo,
era inciso sul tempio di Delfi con Gnw`qi
sautovn, conosci
te stesso
(cfr. Platone, Protagora,
343b).
I
giovani inoltre compiono ingiustizie per dismisura non per
cattiveria, sono portati alla compassione e alla facezia che è una
forma educata di dismisura (hj
ga;r eujtrapeliva pepaideumevnh u[bri~ ejstivn,
1389b).
Vediamo
ora i vecchi secondo Aristotele.
Il
quadro è del tutto negativo. Il declino nel quale vivono i vecchi li
rende caratterialmente cattivi (kakohvqei~).
Segue
una bella definizione del cattivo carattere: “e[sti
ga;r kakohvqeia to; ejpi; to; cei`ron uJpolambavnein pavnta”,
sta nel prendere tutto nel senso peggiore. Sono infatti sospettosi
(kacuvpoptoi),
e diffidenti (a[pistoi).
Non sono capaci di amare né di odiare senza riserve. Abbiamo visto
che i giovani invece sono magnanimi (megalovyucoi),
e lo sono perché non hanno subito umiliazioni. I vecchi, viceversa
sono mikrovyucoi
dia; to; tetapeinw`sqai uJpo; tou` bivou,
meschini, piccini d’animo, per essere stati umiliati dalla vita.
Non desiderano niente di grande e di straordinario, ma solo quello
che basta a vivere. Sono spilorci, sono vili (deiloiv)
e hanno timore in anticipo poiché al contrario dei giovani che sono
caldi (qermoiv),
i vecchi sono raggelati (kateyugmevnoi)
e la paura è un raggelamento (kai;
ga;r oJ fovbo~ katavyuxiv~ tiv~ ejstin).
Sono attaccati alla vita che sta fuggendo via da loro. Gli uomini
infatti desiderano soprattutto ciò che manca. Succede anche
nell’amore.
I
vecchi sono egoisti di quell’egoismo che è una forma di
meschinità.
Vivono
per l’utile (pro;~
to; sumfevron zw`sin)
e non per il bello (ajll
j ouj pro;~ kalovn)
in quanto egoisti: infatti l’utile è un bene per la singola
persona, il bello invece è un bene assoluto (to;
de; kalo;n ajplw`~).
Il
pragmatismo di Giasone nella Medea
di Euripide.
Ricavo
dalla Medea
di Euripide un’altra obiezione allo Stagirita: Giasone è un
giovane che prepone il sumfevron,
l’utile ad ogni altro valore. E’ portatore di una cultura
pragmatica, ossia priva di carità, scrisse Pasolini.
Sentiamo
cosa dice a Medea il figlio di Esone
“Riguardo
poi a quello che mi hai rinfacciato per le nozze regali,
in
questo ti mostrerò in primo luogo di essere sapiente,
poi
assennato, e pure un grande amico tuo
e
dei figlioli miei; ma stai calma. 550
Dopo
che mi trasferii qui dalla terra di Iolco
tirandomi
dietro molte disgrazie senza rimedio,
quale
trovata avrei potuto escogitare più fortunata di questa
che
sposare la figlia del re, una volta diventato esule?
Non
è, come tu ti rodi, che odiando il tuo letto 555
io
sia colpito dal desiderio di una nuova sposa,
né
che senta smania per una gara sul numero dei figli;
bastano
infatti quelli nati e non mi lamento; 558
ma
perché, la cosa che conta di più, vivessimo bene,
e
non nell'indigenza, sapendo che
il
povero ciascuno lo sfugge, e ne sta fuori dai piedi pure l'amico;
e
per allevare i figli in maniera degna della mia casata,
e,
avendo generato fratelli ai figli nati da te,
li
ponessi nella medesima condizione, e avendo stretto insieme la
stirpe,
fossi
felice: tu infatti che bisogno hai di figli?
Mi
giova dare vantaggi con i figli futuri
a
quelli viventi. Ho forse fatto calcoli sbagliati? (vv. 547-567).
In
maniera analoga a Giasone si comporta un altro giovane Carlo Grandet
quando scrive a sua cugina Eugenia che lo aveva atteso per sette
anni, amandolo, dopo che si erano giurati amore eterno:"L'amore,
nel matrimonio, è una chimera. Oggi la mia esperienza mi dice che
bisogna obbedire a tutte le leggi sociali e salvaguardare col
matrimonio tutte le convenienze volute dal mondo…Oggi io posseggo
ottantamila lire di rendita. Questo denaro mi consente di unirmi alla
famiglia d'Aubrion, la cui ereditiera, una giovane di diciannove
anni, mi porta col matrimonio il suo nome, un titolo, la carica di
gentiluomo onorario di camera di sua Maestà, e una posizione fra le
più brillanti. Vi confesserò, mia cara cugina, ch'io non amo
affatto la signorina d'Aubrion; ma, unendomi a lei, assicuro ai miei
figli una situazione sociale i cui vantaggi saranno in avvenire
incalcolabili".
Ma
torniamo ai vecchi mal vissuti di Aristotele: sono impudichi in
quanto incuranti del bello, ( Retorica,
1390 a); sono loquaci in quanto immersi nei ricordi dei quali
vogliono parlare. Vivono più secondo il calcolo che secondo il
carattere (kai;
ma`llon zw`si kata; logismo;n h] kata; to; h\qo~). Il
calcolo, naturalmente dell’utile (oJ
me;n ga;r logismo;~ tou` sumfevronto~).
Al
contrario dei giovani, questi vecchiacci compiono ingiustizia per
cattiveria.
Provano
compassione non per filantropia, come i giovani, ma per debolezza (di
j ajsqevneian).
Insomma le stesse persone, passando dalla giovinezza alla vecchiaia
rovesciano il loro carattere, o forse non ne hanno mai avuto uno
proprio. Al filosofo non viene in mente che i vecchi, come i giovani
non sono tutti uguali. Aristotele sta elencando dei luoghi comuni
suggeriti del senso comune, spesso più reazionario che buono.
“Aristotele
è, al contrario di Platone, un cultore del senso comune anche se,
come lui, è un tantino antidemocratico. Ed è forse proprio il suo
senso comune quello che più annebbia la sua visione”.
I
vecchi, al contrario dei giovani non sono spiritosi e non amano il
riso (oujk
eujtravpeloi oujde; filogevloioi ).
La loro natura infatti è incline a lamentarsi.
Bodei
e Machiavelli
Torniamo
a Bodei che procede (pp.8-9) citando il proemio del secondo libro dei
Discorsi
di Machiavelli.
Il
Fiorentino si domanda quando sia ragionevole celebrare il passato e
biasimare il presente.
Per
quanto riguarda le epoche storiche, l’autore ritiene che “chi
nasce in Italia e in Grecia (…) ha ragione di biasimare i tempi
suoi e laudare gli altri: perché in quelli vi sono assai cose che
gli fanno meravigliosi, in questi non è alcuna cosa che gli
ricomperi da ogni estrema miseria, infamia e vituperio, dove non è
osservanza di religione, non di leggi, non di milizia, ma sono
maculati d’ogni genere di bruttura. E tanto sono questi vizi più
detestabili, quanto ei sono più in coloro che seggono pro tribunali,
comandano a ciascuno e vogliono essere adorati”
Ma
per quanto concerne le età della vita il giudizio è diverso.
“ Come
ha acutamente osservato Machiavelli nei Discorsi, il giudizio sul
passato si modifica assieme a noi, varia con il variare dei nostri
appetiti e con il dipanarsi della nostra esperienza. Lo dimostra
l’esempio dei vecchi e di tutti i “ partigiani” delle cose
passate, abituati a “laudare” il tempo che fu e a “biasimare”
il presente”. Il loro atteggiamento, aggiunge Machiavelli, sarebbe
giustificabile solo se i vecchi conservassero le medesime passioni e
i medesimi interessi della loro giovinezza” (Generazioni,
p. 10)
Bodei
procede citando alcune righe di questo proemio, poi ricorda Il
principe: “”In
epoche normali e pacifiche, l’”uomo rispettivo”, ossia prudente
e maturo di giudizio e di età, può riuscire felicemente a governare
le sue differenti situazioni. Ma, in periodi travagliati o di veloce
mutamento, ha invece più successo l’ “impetuoso”, il giovane,
che è per natura aperto al nuovo, provvisto di maggiore ardimento e
di minore rispetto per il passato e per l’esistente. Di qui la
celebre conclusione di Machiavelli: “Io iudico bene questo, che sia
meglio essere impetuoso che rispettivo, perché la fortuna è donna;
et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarlaE si
vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che
freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de’
giovani, perché sono meno rispettivi, più feroci, e con più
audacia la comandano”
(Generazioni,
p. 11). Per oggi mi fermo qui ma proseguirò perché, mentre
invecchio non male, leggo Remo Bodei imparando molte cose.
giovanni
ghiselli
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