NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 13 gennaio 2017

"Storia linguistica dell’Italia Repubblicana" di Tullio De Mauro. III parte


Il dittatore è ostile allo sviluppo delle intelligenze come raccontano Erodoto e Tito Livio
La mania della distruzione delle teste migliori fa parte del carattere tirannico: sappiamo da Erodoto che la scuola dei despoti insegna a uccidere gli oppositori in generale, e prima di tutti chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza.
Periandro di Corinto, quando era ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era scatenata, accolse il suggerimento di Trasibulo di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte i cittadini che si distinguevano (Storie, V, 92 h) . Il despota esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano. Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").
Tito Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza parole:" rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "(I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei papaveri[1]

“Programmi e strutture concepiti da Gentile e Lombardo Radice, raccogliendo per verità le istanze di gruppi liberali e socialisti dell’anteguerra, furono smantellati. Fu cassato in particolare il programma di Lombardo Radice per le elementari, che delineava un’educazione linguistica volta ad assumere a suo carico lo sviluppo di tutte le capacità espressive dei bambini muovendo da quelle realtà idiomatiche e culturali locali, municipali, che erano la vita loro e del loro ambiente, e portandoli per mano, progressivamente, alla conquista delle forme scritte e italiane di linguaggio”.  Ci fu una fioritura di “manualetti” che portavano nella scuola un confronto sistematico tra i dialetti e la lingua, “ma alla fine degli anni Venti furono messi da parte e sostituiti dal libro di testo unico, con cui si pretendeva di insegnare l’italiano allo stesso modo in centri grandi e piccoli, al Nord e al Sud, a Milano e a Licata, a Napoli e a Nichelino” (p. 23).

Mi viene in mente, per analogia, il modo più usuale di insegnare la lingua latina nei licei classici da parte della maggioranza dei miei colleghi fino a poco tempo fa, che io sappia, cioè fino a quando, nel 2010, sono andato in pensione: si facevano imparare a memoria morfologia e sintassi tratte quasi esclusivamente da Cicerone e si leggevano pochissimi testi.
Cito a questo proposito alcune parole, che condivido, di don Lorenzo Milani: "Qualcuno, chissà chi, v'ha scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così"[2].
Ricordo che nel 1959, quando facevo la quarta  ginnasio al Terenzio Mamiani  di Pesaro, venne in classe il preside e mi domandò, con aria severa, come si dicesse "fato" in latino. Voleva sapere, disse, se meritavo il nove  che aveva appena letto nella mia pagella.
 Risposi "fatus".  Quel brav'uomo disse  che l'avevo deluso, che con i miei voti avrei dovuto sapere che si dice fatum. Ci restai molto male, pensando di avere fatto un errore gravissimo, del tutto indegno di me e del mio curriculum. In effetti se fossi stato più bravo, avrei replicato che nel Satyricon  si trova  fatus[3].
Credo che le cosiddette regole grammaticali e sintattiche andrebbero mostrate attraverso i testi più belli degli autori più bravi siccome la bellezza e la bravura colpiscono la sfera emotiva e questa potenzia la memoria favorendo il ricordo.

Ma torniamo alla Storia linguistica dell'Italia repubblicana.
"Rimossi  i due non ortodossi, le spese per l'istruzione restarono bloccate ai livelli del periodo bellico per tutto il ventennio della dittatura" (p. 23).
Inoltre il fascismo teneva nascosti i dati sull'analfabetismo "perché ammettere l'esistenza di analfabeti non era compatibile con la retorica fascista, e impose che "nelle aree rurali" si potesse fare a meno della licenza elementare e si fosse prosciolti dall'obbligo scolastico dopo solo tre anni di scuola". Di fatto gran parte della popolazione viveva nelle aree rurali , e, anzi, "il 27% del totale, vivevano fuori da ogni centro abitato, in case sparse tra monti e campagne".
Per giunta, a chi andava a scuola si imponeva una lingua sterotipata, piena dei luoghi comuni e della retorica del regime.

Molto di questa scuola era rimasto  nella  elementare dei primi anni Cinquanta da me frequentata. 

Il regime fascista oltretutto discriminava le minoranze linguistiche e relegava gli zingari nei campi di concentramento.
"Nel 1951 il primo censimento dell'Italia repubblicana rivelò crudamente quale era il lascito scolastico del passato regime, ma anche, occorre dire, il lascito della lunga incuria dello Stato unitario per l'istruzione di base, un'incuria non sufficientemente corretta nel breve periodo giolittiano" (p. 24).
Seguono i risultati del censimento: alla licenza elementare era arrivato il 30, 6% della popolazione; il 5, 9 aveva raggiunto un diploma di scuola media inferiore, il 3, 3%  di scuola superiore, l'1% era arrivato all'università "e solo meno di uno ogni cento laureati, dunque meno di uno ogni mille abitanti, aveva una laurea scientifica" (p. 24).

Aggiungo di mio che negli anni precedenti non c'era stata  un'arte diretta a educare e istruire il popolo come, per fare un'esempio, la tragedia nell'Atene del V secolo a. C. La mancanza di libertà di parola e l'opportunismo suggerivano a chi parlava e scriveva di raccomandare il  consenso con il regime o di rifugiarsi nel culto dei propri sentimenti privati, come sempre accade quando c'è la tirannide.

De Mauro nota che "già allora gli altri paesi europei avevano indici complessivi superiori, talora di molto".

In Italia è tuttora molto difficile prendere l'ascensore sociale. Questo è un motivo per cui molti giovani vanno all'estero a cercare lavoro e riconoscimento delle loro capacità, e forse anche del fatto che pochi si impegnano nello studio. La piaga delle raccomandazioni, che risale al clentelismo dell'antica Roma, annienta o riduce di molto il riconoscimento del merito. Questa riflessione è relativa a quanto ho potuto vedere negli anni universitari e nei successivi.

Vediamo la conclusione di questo paragrafo relativo alla bassa scolarità
"La dichiarata totale assenza di ogni capacità alfabetica del 13% almeno della popolazione, spinta fino all'incapacità di tracciare la propria firma all'atto del matrimonio, la mancata scolarità elementare del 60%, l'esiguità della pattuglia avventuratasi oltre le elementari (10%), la povertà di lauree, e in particolare di lauree in materie scientifiche, erano deficienze gravide anche di altri effetti negativi, di cui poi si dirà. Ma certo avevano un peso determinane sulle complessive condizioni linguistiche del paese, nel senso di contribuire in modo rilevante a non modificare gli assetti più antichi, le più remote differenziazioni tra aree e classi sociali" (Storia linguistica dell'Italia repubblicana,  p. 25).


Continua      





[1] Il tiranno è invidioso. Infatti L'Invidia personificata da Ovidio "exurit herbas et summa papavera carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei papaveri.
[2] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 116.
[3] Dopo avere mostrato qualche  trovata stupefacente,  Trimalchione affranca i servi e nomina erede Fortunata. Gli schiavi sono uomini, proclama l'anfitrione rimasticando dottrine stoiche:"et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit. tamen me salvo cito aquam liberam gustabunt. ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto " (71), pure gli schiavi sono esseri umani e hanno bevuto lo stesso latte, anche se un destino cattivo li ha schiacciati. Comunque, mi venisse un colpo, presto assaggeranno l'acqua libera. Insomma tutti quelli li affranco nel mio testamento. Si noti che fatus   invece di fatum. Non è l'unico caso del genere: troviamo balneus (41) per il neutro balneum, bagno, vinus (12) per vinum, caelus (45, 3) per caelum, lasanus (47, 5) per lasanum, vaso da notte, e altri ancora

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