giovedì 1 marzo 2018

Lucrezio, "De rerum natura". V libro. Parte 1



Lucrezio
De rerum natura V libro

Inizia con un altro elogio di Epicuro il quale è il vero inventore della ratio che è la vera sapientia.
Si dice che Cerere abbia inventato le messi e Libero il vino-Nam Ceres fertur fruges Liberque liquoris-vitigeni laticem- abbia introdotto il succo del liquido della vite- mortalibus instituisse (14-15), ma la vita può durare senza questi doni, tanto che alcune popolazioni ne fanno a meno.
Ma non si può vivere bene sine puro pectore (18).
Le cosiddette imprese di Ercole fanno ridere. Quale danno potrebbero recarci magnus ille hiatus leonis, le grandi fauci del leone nemeo
et horrens Arcadis sus?, e l’irsuto cinghiale di Arcadia ? Oppure Cretae taurus, Lernaeque pestis hydra vallata venenatis colubris?, l’idra munita di serpi velenose? Quidve tripectora tergemini vis Geryonai? (28)
O gli uccelli di Stinfalo (lago e luogo dell’Arcadia) et Diomedis equi spirantes naribus ignem (29)[1] o l’asper immani corpore serpens acerba tuens, l’atroce serpente dallo sguardo truce che sorvegliava i fulgidi pomi d’oro delle Esperidi arboris amplexus stirpem, abbracciando il tronco dell’albero propter Atlanteum litus pelagique severa/, quo neque noster adit quisquam nec barbarus audet (35-36), presso il lido di Atlante e le difficoltà del mare mai solcato da marinaio?
 Ebbene tali mostri non impedirebbero la nostra vita poiché la terra tuttora brulica di tali creature et trepido terrore repleta est (40), ma in luoghi che possiamo evitare quae loca vitandi plerumque est nostra potestas (42)

E’ più importante per la salute avere purgatum pectus (43).
Nel petto non purificato girano acres curae cuppedinis e anche timores.
Quindi superbia, spurcitia, petulantia, luxus, desidiae, avaritia, ambitio.
Molti di questi vizi sono denunciati anche dagli Stoici e poi dai Cristiani. In alcune regioni del territorio etico le tre filosofie sono simili.
Ebbene Epicuro che ha cacciato questi mostri dictis, non armis (50) va annoverato tra gli dèi. Egli con le parole ha chiarito la compagine intera dell’universo. Io seguo le sue orme.
La fortuna gubernans (77) dirige il corso del sole e i moti della luna. Questi corpi celesti non sono liberi né mossi dal volere divino.
Gli dèi non c’entrano. Ogni cosa ha una finita potestas atque alte terminus haerens (90). Un giorno ruet moles et machina mundi (96), crollerà.C ci sarà un exitium caeli terraeque (98), la morte, l’uscita di scena (cfr. exeo)
Quello che udite da me non avrà la conferma della vista e del tatto, le due vie sicure. Sed tamen effabor (104).
La fortuna gubernans potrebbe far crollare il mondo-horrisono fragore- (107) con spaventoso rumore prima che io finisca quest’opera. Comunque le mie parole saranno rasserenanti.
Cfr. e contrario Platone Fedro (247c) dove Socrate dice che l’essere che realmente è oujsiva o[ntw" ou\sa, l’essere privo di colore, di figura e invisibile è contemplabile solo dalla mente che è guida dell’anima - yuch'" kubernhvth/ movnw/ qethv nw/' . Dunque gubernans è il nou'".
Come i pesci non possono vivere nei campi (ajduvnaton), “sic animi natura nequit sine corpore oriri –sola neque a nervis et sanguine longius esse” (132-133)
Così le sedi degli dei sono separate dalla nostra e sono tenues de corpore eorum (154) sottili secondo la loro natura.
Desipere est (165) è follia pensare che gli dèi abbiano creato il mondo hominum causa, per gli uomini e per sempre. Essi non hanno motivi di gratitudine verso di noi.
Seneca invece dice che dio ha creato il mondo perché è buono.

 Riprende Platone il quale nel Timeo ha scritto che il mondo è bello e il suo artefice è a[risto" tw̃n aijtivwn (28a-29a), ottimo tra gli autori
Vediamo meglio: “eij me;n dh; kalov" ejstin o[de oJ kovsmo" o{ te dhmiourgo;" ajgaqov", dh'lon wJ" pro;" to; ajivdion e[blepen (29a), se è bello questo mondo e l’artefice è buono, è chiaro che guardò al modello eterno, se no, ma questo non è neppure lecito (qevmi") dirlo, egli guardò a un modello nato. Ma è chiaro che guardò a quello eterno, e siccome il cosmo è kavllisto" tw'n gegonovtwn, il più bello dei nati, il demiurgo è a[risto" tw'n aijtivwn, è il migliore degli autori. 29a
L’artefice dunque era buono ajgaqo;" h\n (29e) e in uno buono non nasce mai nessuna invidia oujdei;" fqovno" ajgaqw' ejggivgnetai.
Immune dall’invidia, l’artefice volle che tutte le cose diventassero simili a lui il più possibile (30 a).
 Poi, volendo che tutte le cose fossero buone (ajgaqa; pavnta) e nessuna priva di valore (flau'ron de; mhde;n ei\nai) per quanto possibile, prese tutto il visibile (pa'n oJratovn) che non stava quieto (oujc hJsucivan a[gon) ma si agitava senza regola e ordine (ajlla; kinouvnenon plhmmelw'" kai; ajtavktw"), e lo ridusse dal disordine all’ordine eij" tavxin aujto; h[gagen ejk th'" ajtaxiva".
Insomma non è lecito all’artefice ottimo fare altro che la cosa più bella.
In conclusione si deve dire dei' levgein, kata; lovgon, che questo cosmo è una creatura animata e intelligente tovnde to;n kovsmon zw'on e[myucon e[nnoun e davvero generato dalla provvidenza di Dio te th'/ ajlhqeiva/ dia; th;n tou' qeou' genevsqai provnoian (30b)
E’ Timeo che parla

Ora sentiamo Seneca.
L’epistola 65 Le opinioni dei filosofi sulle cause che operano nell’universo
Il giorno prima Seneca ebbe una discussione con gli amici.
Gli Stoici affermano che una materia iacet iners, res ad omnia parata, c’è una materia inerte pronta a ricevere qualsiasi forma, poi c’è una causa id est ratio: materiam format et quocumque vult versat, la gira ovunque vuole ex illa varia opera producit (2)
L’artista fa come la causa, la ratio che dà forma alla materia: “in statua materia aes fuit, causa opifex” (3). In tutte le cose c’è un elemento passivo quod fit, e uno attivo: quod facit.
 Aristotele vede tre cause: la materia, l’artefice, la forma che per esempio Policleto (V ec.) diede al dorufovro" armato di lancia e al diadouvmeno" che si cinge i capelli la forma che chiama idos (ei\do")
Poi c’è anche lo scopo dell’opera (propositum) che può essere il denaro, la gloria, la devozione (pecunia, gloria, religio)
Oltre queste cause Platone ne vede un’altra: exemplar quam ipse idean vocat (7). L’artista deve tenere gli occhi volti sull’exemplar per eseguire l’opera. Haec exemplaria rerum omnium deus intra se habet; plenus est his figuris quas Plato idĕas appellat immortales, immutabiles, infaticabiles (7).- Gli uomini passano ma l’umanità ipsa autem humanitas ad quam homo effingitur permanet, et hominibus laborantibus, intereuntibus, illa nihil patitur.
Anche Dio ha uno scopo nel creare. Quaeris quod sit propositum deo? Bonitas.
Almeno Platone dice così: Ita certe Plato ait: quae deo faciendi mundum fuit causa? Bonus est: bono nulla cuiusquam boni invidia est; fecit ita quam optimum potuit (10)
E ancora: “Quae causa est dis bene faciendi? Natura. Errat si quis illos putat nocere nolle: non possunt (Ep. 95. 49).

Anche Agostino ricorda Platone: habemus sententiam Platonis dicentis omnes deos bonos esse (civ. Dei, 8, 13).
Il Timeo viene riecheggiato ripetutamente da Agostino attraverso la traduzione ciceroniana. Per esempio: “hanc etiam Plato causam condendi mundi iustissimam dicit, ut a bono Deo bona opera fierent (civ. Dei, 11, 21), anche Platone afferma che la causa più giusta della creazione del mondo è che le opere buone sono fatte da un Dio buono.


CONTINUA


[1] Vedi Eracle nell’Alcesti di Euripide.

1 commento:

Ifigenia CLXXIII. Il cimitero di campagna.

  Mi venne in mente una delle ultime sere con Elena. Era l’estate del ’71, il 18 agosto, come questo del ’79: l’ anniversario.    So...