domenica 19 gennaio 2025

Alessandro Magno e Cesare

Excursus

 Alessandro Magno e Cesare

 

“Tra Cesare e Alessandro Magno c’è una differenza, che è anche un segno dei tempi. A differenza del giovane Alessandro, questo maturo eroe romano dagli occhi neri, epilettico e indomito tuttavia, non prendeva le mosse da una concezione mitica della vita; si rifaceva ad un’idea razionale dell’uomo e della storia: distingueva, come Tucidide, tra la calcolata deliberazione e lo scrupolo religioso, che secondo Tucidide rovinò Nicia.

Ma (…) non poteva contentarsi di opporre ragione a superstizione: doveva opporre una sua religione, quella del monarca dio, alle mordenti critiche della classe degli ottimati, contro cui aveva combattuto sempre.

 

 

Cesare accusato di sacrilegio

 

Cesare In Gallia fana templaque deum donis referta expilavit (Svetonio, 54) e durante il primo consolato (59) rubò tre mila libbre d’oro dal Campidoglio, e sostenne le guerre civili evidentissimis rapinis ac sacrilegis.

Risale ad Ecateo il problema se sia lecito toccare i tesori dei templi.

 

 

Processo alle intenzioni dei memici

 

Nel De bello civili Cesare ritorce lìaccusa di sacrilegio sui nemici interni facendo il processo alle loro intenzioni : “egli costruisce la storia della Ephesia pecunia “il denaro di Efeso” che i suoi avversari, Scipione e Ampio Balbo (III, 33; 105, 1) avrebbero avuto in animo di rubare”[1].

 Ma l’arrivo di Cesare, o addirittura, nel primo caso, l’annuncio del suo arrivo lo impedirono: “In duobus temporibus Ephesiae pecuniae Caesar auxilium tulit ” (De Bello civili, III, 105).

“Quanto a Roma, Cesare insiste sulla volontà dei pompeiani, di procurarsi, nel 49 a. C., al momento della fuga (18 gennaio), il denaro custodito nell’”erario santo” …in tutti questi casi, Cesare vuole mostrare che i suoi avversari hanno tentato il “sacrilegio”; in realtà, in nessuno di essi il “sacrilegio” fu precisamente compiuto”[2].

 Anche questa volta fu la notizia dell’arrivo di Cesare a fermare il gesto sacrilego del console Lentulo che voleva dare la pecunia a Pompeo ex senatusconsulto (D. B. C. I, 14)

 Ma a Roma si sparse un tale panico ut…Lentulus…protinus, aperto sanctiore aerario, ex urbe profugeret.

“Al contrario, proprio l’”erario santo” fu violato da Cesare in quello stesso 49 a. C., in aprile; Cesare sorvola su questo suo atto di forza, mentre insiste sulle non realizzate analoghe intenzioni dei suoi nemici”[3].

Anche Floro e Appiano accusano Cesare di avere saccheggiato l’erario.

 E’ la deformazione storica dei Commentarii che hanno intenti apologetici verso se stesso, mentre vi ricorrono formule polemiche contro i nemici: all’inizio del D. B. C. Cesare afferma: “pecuniae, a municipiis exiguntur, e fanis tolluntur, omnia divina humanaque iura permiscentur” (I, 6). Questo avviene contra omnia vetustatis exempla. Ma i suoi avversari chiamavano sacrilego proprio lui: “Postea vero evidentissimis rapinis ac sacrilegis et onera bellorum civilium et triumphorum ac munerum sustinuit impendia” (Svetonio, I, 54).

 

Irreligiosità di Cesare

 Dunque il prendere denaro dai templi sarebbe stato tabù. Cesare non nega apertamente tale tabù, ma a volte si mostra spregiudicato: i pompeiani divennero troppo baldanzosi dopo la vittoria di Durazzo poiché dimenticavano come portano grandi danni  piccole cause fatte di ipotesi false, o di improvviso terrore, o di religione posta contro (parvulae saepe causae…obiectae religionis, D. B. C. III, 72) .

Cesare arrivò a dire, con un’immagine di sapore catilinario”[4]. “Nihil esse rem publicam, appellationem modo sine corpore ac specie”, solo una denominazione (Svetonio, Vita, 77). “Eoque arrogantiae progressus est, ut, haruspice tristia et sine corda exta quondam nuntiante, futura diceret laetiora, cum vellet; nec pro ostento ducendum, si pecŭdi cor defuisset”(77), e giunse a tal punto di arroganza che, dicendogli una volta un aruspice che le viscere apparivano infauste e mancava il cuore, replicò che sarebbero stati propizi quando avesse voluto, e che non doveva considerare un prodigio la mancanza di cuore di una bestia.

“Cesare dunque non osservava rigorosamente l’aruspicina: ciò che per Ampio Balbo era uno scandalo”[5]. Ampio Balbo aveva scritto una biografia di Cesare utilizzata da Svetonio (77=T. Ampius Balbus, frg. 1 Pet). “Tanusio Gemino …nella sua opera storica (che andava, forse, dal 78 ad almeno il 55 a. C.)…illustrò la proposta di Catone nel 55, di consegnare Cesare ai Germani per la sua azione “sacrilega” contro Usipĕti e Tenctĕri”[6]. Sono tribù germaniche del basso Reno. Secondo Catone Uticense, quello di Cesare era un bellum iniustum.

 

 

Il passaggio del Rubicone

(…) Un’altra e più profonda differenza tra Cesare pensatore e Cesare uomo politico. Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio del 49: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.

Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”[7].

Caesar apud milites contionatur . Si lamenta del fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi.  Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse.    

“Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[8].

 

Un altro momento decisivo è il discorso di Vesonzio del 58 che mostra una continuità fra Cimbri, Spartachisti e Ariovisto, rex Germanorum.

I Romani temevano i Germani per la ingenti magnitudine corporum (De bello gallico, I, 39). Il timore è sine causa poiché la constantia prevale sul furore barbarico e servile. Un’altra arma vincente è l’officium imperatoris, il senso del dovere del comandante. Inoltre la sua innocentia e la sua felicitas, il disinteresse e la buona fortuna. Se gli altri non lo seguiranno andrà con la sua coorte pretoria: la decima legione, la preferita.

“Cesare era nobile, Asinio d’origine “borghese”; ma proprio la vittoria di Cesare sugli ottimati aprì la via, definitivamente, ad una svolta “borghese” nella storia del mondo romano”[9]. 

 

  Cesare, sbarcando in Africa, scivolò e cadde a terra: creando panico fra i soldati per il malum omen di quella caduta in un momento così cruciale. Ma riuscì a salvare la situazione, e con grande prontezza, perché "verso ad melius omine 'teneo te' inquit Africa! [10]"(volto a suo favore il presagio disse:"ti tengo, Africa!".

 

Mentre, secondo Cassio Dione (160-235)  egli afferrò e baciò la terra, gridando poi:"Ti tengo, Africa!"[11]. Ci sembra francamente di leggere cose note. Una caduta in un momento cruciale, poi, subito un "tenere" la terra: per non parlare della terra "madre" , o del "bacio" dato alla terra. Al fine di neutralizzare il cattivo omen, Cesare si comporta da Bruto. Applica lo schema di chi, cadendo, e quindi producendo un cattivo augurio, stabilisce in realtà un rapporto privilegiato con la madre di tutti gli uomini[12]. Ecco dunque un esempio concreto di come può agire, sotto forma di ripetizione, un paradigma offerto dal mito"[13].

 

In Cassio Dione (II-III sec. d. C. Storia di Roma dalle origini al 229 d. C.) Cesare, appena toccò terra, inciampò, e i soldati, avendolo visto cadere bocconi, si scoraggiarono e, turbati, rumoreggiarono, ma Cesare non restò imbarazzato, anzi wJ" kai; eJkw;n dh; peswvn, anzi, come se fosse caduto apposta, afferrò la terra, la baciò e gridando  disse: e[cw se,  jAfrikhv” , ti tengo, Africa (42, 58, 3).

Bruto Maggiore addirittura simulò una caduta: quando l'oracolo delfico infatti preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che per primo avesse baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet  quod ea communis mater omnium mortalium esset " (Livio,  I, 56, 12) come se fosse caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente poiché quella era la madre comune di tutti.

 

 

Anche Alessandro veramente piegava i segni e i presagi alla propria volontà come abbiamo  visto. Alessandro però tendeva a circondare le sue imprese di un alone sacro e poetico e non senza sapere che tale automitopoiesi lo favoriva.

Bologna 19 gennaio 2025 ore 17, 39 giovanni ghiselli

 

p. s.

Presenterò in estrema sintesi anche questa parte comparativa nella prima conferenza su Alessandro Magno martedì  prossimo 21 gennaioalla Primo Levi.

 

 

 

 

 



[1] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 195.

[2] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 195

[3] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 196.

[4] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 198

[5] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 198.

[6] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 183.

[7] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 199-200.

[8] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.

[9] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.

[10] Svetonio, Divus Iulius, 59.

[11] Cassio Dione, 42, 58, 3.

[12] Che si tratti di uno schema topico, appare molto probabile. Cfr. Frontino, Stratagemmata, I, 21, 1, dove un aneddoto solo leggermente variato (terram opprimere stavolta, non tenere) è attribuito a Scipione.

[13] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi Torino, 2000, p. 104.

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