mercoledì 29 gennaio 2025

Introduzione alla tragedia greca. Prima parte.


Sarà l’argomento della prossima conferenza che terrò nella biblioteca Ginzburg il 24 marzo dalle 17 alle 18, 30.

Quando avrò il link lo metterò nei miei Post.

Chi vuole l’intera introduzione può chiederla alla biblioteca che la invierà gratis telefono 051- 466307

 

 

Sommario.

La Poetica di Aristotele. La mimesi.  Differenza tra storia e poesia. Polibio  ripete formule tucididèe. Aristotele e la catarsi. Pietà e terrore. Il misfatto deve essere compiuto di j aJmartivan tinav,  per un errore. Origini del dramma. Le rappresentazioni. L’opera drammatica come atto religioso. Il dramma antico rispetto al melodramma è logocentrico. Struttura del teatro. La forma e la metrica della tragedia. Le sei parti qualitative: favola, caratteri, linguaggio, pensiero, spettacolo visivo, musica. Il racconto è parte la più importante. Peripezia e riconoscimento. Vari tipi di riconoscimento. Critiche di Euripide (Elettra)  al riconoscimento di Eschilo (Coefore). Le cosiddette unità aristoteliche. A. W. Schlegel e Manzoni. I caratteri. La verosimiglianza e la  coerenza. Critiche a Euripide. Condanna del mostruoso. La funzione del Coro. Hegel, Leopardi, Manzoni, Nietzsche, A. W. Schlegel, Schiller, Murray. Pregi del linguaggio poetico. La metafora. Idealismo di Sofocle e realismo di Euripide. Le parti quantitative della tragedia: prologo, parodo, episodi, stasimi, commo, esodo. Il ritardare è epico. L’Estetica di Hegel. Tragedia e Commedia. La critica di A. Schopenhauer. Ancora Nietzsche.  In L’uomo Mosè e la religione monoteistica  Freud spiega l’origine della tragedia attraverso la storia dell’umanità primitiva.

 

Per un’introduzione al dramma antico partiamo dalla Poetica di Aristotele. E’ un trattato di estetica  che nella parte a noi giunta si occupa prevalentemente di poesia tragica. Fu scritta intorno al 335, durante la piena maturità del filosofo[1], e constava di due libri, dei quali ci è arrivato il primo. Il secondo riguardava principalmente la commedia.

Secondo Aristotele l'arte è essenzialmente mimèsi, imitazione della realtà e proprio per questo il teatro ne costituisce la quintessenza. Il poeta però, diversamente dallo storico che racconta cose avvenute, deve volgersi a quello che potrebbe sempre avvenire secondo verosimiglianza e necessità: “dio; kai; filosofwvteron kai; spoudaiovteron poivhsi~ iJstoriva~ ejstivn” (1451b, 5), e perciò la poesia è più filosofica e più importante della storia. Infatti la poesia esprime piuttosto l’universale, la storia il particolare.

 

“ Deve necessariamente esservi una differenza tra la vera poesia e la vera parola non poetica: qual è questa differenza? Su questo punto molte cose sono state scritte specialmente dagli ultimi critici tedeschi…Essi dicono, per esempio, che il poeta ha in sé una infinitudine, comunica una Unendlichkeit, un certo carattere “d’infinitudine”, a tutto quanto descrive” T. Carlyle, Gli eroi (del 1841), p. 118.

 

 

Anche Polibio[2], ma da storico, distingue la tragedia dalla storia. Questa  non deve tragw/dei'n,  rappresentare tragedie. Lo scopo della storia e della tragedia non è lo stesso ma è opposto ("to; ga;r tevlo" iJstoriva" kai; tragw/diva" ouj taujtovn, ajlla; toujnantivon", Storie,  II, 56, 11) in quanto la tragedia deve impressionare e affascinare momentaneamente gli spettatori attraverso i discorsi più persuasivi ("dei' dia; tw'n piqanwtavtwn lovgwn ejkplh'xai kai; yucagwgh'sai kata; to; paro;n tou;" ajkouvonta"", II, 56, 11), mentre la storia deve istruire e convincere per sempre con fatti e discorsi veritieri coloro che vogliono imparare ("dia; tw'n ajlhqinw'n e[rgwn kai; lovgwn eij" to;n pavnta crovnon didavxai kai; pei'sai tou;" filomaqou'nta"" ). Questo  poiché nella tragedia prevale ciò che è persuasivo (hJgei'tai to; piqanovn), anche se falso, per creare illusione negli spettatori ("dia; th;n ajpavthn[3] tw'n qewmevnwn"), mentre nella storia ha la precedenza il vero, per l'utilità di quelli che vogliono imparare ("tajlhqe;" dia; th;n wjfevleian tw'n filomaqouvntwn", II, 56, 12). Quest’ultima affermazione è una delle tante leggi tucididee[4] presenti in Polibio.

 

Tucidide

 Lo storiografo della guerra del Peloponneso infatti aveva scritto: “ la  mancanza del favoloso di questi fatti (to; mh; mqw'de~ aujtw'n), verosimilmente, apparirà meno piacevole all'ascolto, ma sarà sufficiente che li giudichino utili (wjfevlima krivnein aujta; ajrkouvntw~ e[xei) quanti vorranno esaminare la chiarezza degli avvenimenti accaduti e di quelli che potranno verificarsi ancora una volta, siffatti o molto simili, secondo la natura umana” (Tucidide, Storie, I, 22, 4).

Bologna 29 gennaio 2024 ore 10, 46 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1668571

Oggi154

Ieri310

Questo mese11603

Il mese scorso10218

 

 



[1] Vissuto tra il 384 e il 322 a. C.

[2] 200ca-118 ca a. C

[3] Gorgia di Leontini (490 ca-385ca a. C.) aveva detto che la tragedia crea un inganno nel quale chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi è ingannato è più saggio di chi non è ingannato: “ o{  te ajpathvsa" dikaiovtero" tou' mh; ajpathvsanto" kai; oJ ajpathqei;" sofwvtero" tou' mh; ajpathqevnto"" ( in Plutarco, de glor. Ath. 5 p. 348 C.).

[4] Tucidide legiferò ("  oJ d  j ou\n Qoukidivdh"...ejnomoqevthse") afferma Luciano (Come si deve scrivere la storia, 42). La legge della verità divenne ineludibile per i suoi seguaci. Nell'ultimo capitolo del suo opuscolo  Luciano aggiunge che bisogna scrivere la storia con verità ("su;n tw'/ ajlhqei'") e con il pensiero rivolto alla speranza futura piuttosto  che con adulazione mirando a compiacere quelli elogiati al momento presente ("pro;" to; hJdu; toi'" nu'n ejpainoumevnoi"", 63).

Nessun commento:

Posta un commento