J Iketivde~, le Supplici eponime e protagoniste del dramma, formano il Coro secondo il modulo arcaico. Questa è l’unica tragedia con un protagonista collettivo.
Esse sono le cinquanta figlie di Danao le quali, aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8), per connaturata avversione all'uomo, fuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono. Le fanciulle, giunte ad Argo, invocano la protezione del re del luogo Pelasgo, siccome sono di origine argiva: discendono infatti da quella Io, figlia del re di Argo Inaco, che era stata resa pazza e trasfigurata in una mucca[1] assillata da un tafano in conseguenza dell'amore di Zeus e della gelosia di Era. Una storia raccontata nel Prometeo incatenato. Tali fanciulle hanno nel sangue la mostruosità caratteristica dei primordi e della loro antenata. "Nella mitologia greca la figura ibrida è, in generale, un contrassegno di appartenenza a un mondo primitivo"[2].
Queste odiatrici delle nozze vedono nei cugini pretendenti uno sciame violento, denso di maschi ( ajrsenoplhqh' d j-eJsmo;n uJbristhvn, vv. 30-31) lanciato al loro inseguimento.
Le cinquanta femmine costituiscono una folla impaurita, giunta ad Argo con rami avvolti in bende di lana[3] (ejriostevptoisi klavdoisin, v. 23)- e[rion- stevfw-
Le Danaidi chiedono l'aiuto dell’ antenato, Epafo, il divino torello oltremarino (Supplici, vv.43-44) nato in Egitto dal tocco[4] di Zeus alla giovenca. Un semidio teriomorfo, identificabile, forse, con il dio-toro egiziano Api.
Il matrimonio per queste ragazze è sinonimo di orrori [5]: le fanciulle in preda al terrore assimilano la loro voce a quella di Procne, la sposa di Tereo (v. 61) trasformata in usignolo dopo che ebbe ucciso il figlio Iti per punire il marito il quale le aveva violentato la sorella Filomela. Tereo fu a sua volta mutato in upupa, e la cognata, così barbaramente stuprata, in rondine. Questo mito raccapricciante, raccontato o richiamato da diversi autori in varie altre versioni[6] è emblematico per significare l'orrore di un matrimonio andato a male.
Sono ricorrenti i paragoni con gli uccelli: nel primo episodio Danao assimila i maschi inseguitori a falchi, "stirpi di nemici consanguinei e profanatori" (vv. 225), mentre le ragazze fuggiasche sembrano colombe atterrite. Viene ripetuto il motivo dell'inimicizia mortale tra gli uomini e le donne che pure appartengono alla stessa specie.
Un odio empio, nota subito Eschilo:"come può restare puro l'uccello che divora l'uccello?" (v. 226).
In un’altra tragedia (probabilmente) di Eschilo l'aborrimento delle Danaidi per gli sposi è profetizzato da Prometeo incatenato che prevede alla loro antenata, la ragazza-giovenca demente, l'assassinio di quarantanove dei mariti da parte di quarantanove sorelle e la lodevole eccezione di Ipermestra la quale risparmierà Linceo:"una delle fanciulle il desiderio sedurrà a non ammazzare lo sposo, e le si smusserà il proposito[7], tra i due mali preferirà avere fama di debole che di assassina"( Prometeo Incatenato [8] vv. 865-868).
Le Supplici di Eschilo[9] hanno pure una parte politica che attualizza il mito facendovi entrare la democrazia
Nel primo episodio entra in scena Pelasgo che si presenta come "capo di quella terra" (v. 251) e avverte che la città non ama i discorsi lunghi ( makravn ge me;n dh; rh'sin ouj stevrgei povli", v. 273). E' l'affermazione della giusta misura che non può essere ipertrofica. Le Danaidi quindi raccontano in breve la loro storia e chiedono al sovrano protezione dai tracotanti cugini che vorrebbero ghermirle. A questo punto Eschilo adatta il mito alla Costituzione ateniese, pur se il dramma è ambientato ad Argo, e Pelasgo, sebbene re, rende omaggio alla democrazia affermando solennemente:"io non posso fare promesse prima- di avere reso questo problema comune a tutti i cittadini"(vv. 368-369).
E quando le barbare Danaidi ribattono:"tu sei la città, tu incarni il potere del popolo,- signore che non subisce giudizi"(vv. 370-371), il monarca ribadisce:"te l'ho detto anche prima: senza il popolo- a[neu dhvmou- non posso agire neppure con il potere che ho"(vv. 398-399).
I mito dunque viene attualizzato, come, vedremo, anche nelle Eumenidi.
Poi Pelasgo aggiunge che occorre di sicuro un pensiero profondo, in grado di dare salvezza (dei' toi baqeiva" frontivdo" swthrivou), e capace di scendere nell'abisso, simile a un palombaro, con occhio vigile e non ebbro (vv. 407-409). E’ la prima volta che la mente viene paragonata a un abisso. L'ebbrezza peggiore, da sempre, è quella dei luoghi comuni che offuscano e restringono la visione mentale. Le metafore, di cui Eschilo fa ampio uso, allargano la mente incitata a cogliere somiglianze e relazioni tra cose lontane.
Carattere distintivo del potere tirannico è, viceversa, il fatto di tagliare le teste o per lo meno di chiudere la mente dei sudditi non tollerando alcuna critica e non accettando di subire controlli da nessuno.
Anticipiamone qualche aspetto.
Nei Persiani di Eschilo la regina madre Atossa racconta una sua visione notturna: le appariva in sogno il figlio Serse, il grande re, che, ponendo le cinghie sotto il collo a due donne (vv. 190-191), le aggiogava al carro: di queste una era vestita con pepli dorici, l'altra abbigliata alla persiana. Simboleggino la Grecia e la Persia. La seconda si sottomette, mentre la prima recalcitra, spezza il giogo e sconvolge il carro. Serse, anche se sconfitto, comunque non è "uJpeuvquno" povlei" (Persiani, v. 213), tenuto a rendere conto alla città, come uno stratego eletto dal popolo. Eschilo contrappone al potere assoluto, cui sottostanno i Persiani, il sistema democratico di Atene, quando la regina Atossa, dopo avere raccontato il sogno, domanda ai vecchi dignitari chi sia il pastore e il padrone dell'armata di Salamina. Allora il corifeo risponde che i Greci:"ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi" (Persiani, v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi né sudditi.
“L’opposizione tra Europa e Asia è rappresentata da Eschilo nei Persiani (472a. C.) con l’immagine delle due sorelle nemiche, la Dorica e la Persiana. Questa visione sarà proiettata sulla guerra di Troia, facendo apparire retrospettivamente i Troiani come “Barbari”[10].
Per molto tempo la nozione di Europa concise con l’autodefinizione che i Greci davano di se stessi. Nella Grecia delle città una equivalenza è profondamente radicata: Grecia=Europa=libertà/democrazia; Persia=Asia=schiavitù.
Ma i Greci erano veramente d’accordo su questo punto? In un passo delle sue Storie, Erodoto sostiene molto chiaramente che prima di Clistene la democrazia politica era stata “inventata” in Persia da uno dei dignitari persiani implicati nella congiura che aveva abbattuto l’usurpatore, il falso Smerdis. Erodoto si lamenta del fatto che i Greci, durante le sue letture pubbliche, non avevano accettato questa affermazione molto netta e dettagliata (III, 80)”[11]. Il dignitario persiano in questione è Otane, l’inventore, o per lo meno l’elogiatore dell’isonomia.
Torniamo alle Supplici di Eschilo.
Ad Argo, e in Grecia, dunque, spiega il re democratico : “la gente tende ad accusare (filaivtio~ lewv~) il potere[12]" ( Supplici, v.485), e la moltitudine probabilmente commisererà le Danaidi supplici:"e infatti qualcuno vedendo questi rami, e provando compassione, potrebbe sentire avversione per la prepotenza del maschio stuolo, e il popolo sarebbe più benevolo verso di voi: infatti ciascuno ha simpatia per i più deboli"(vv. 486-489).
Questa di proteggere i supplici è una virtù che gli Ateniesi attribuivano a se stessi, ed Eschilo la riconosce pure agli Argivi dei quali in quegli anni intono al 465 il governo di Atene cercava l'alleanza in prospettiva antispartana.
Per quanto riguarda la difesa dei più deboli all’interno della povli~, il Pericle di Tucidide menziona le leggi che ad Atene, la scuola dell’Ellade[13], non vengono mai trasgredite : "o{soi te ejp j wjfeliva/ tw'n ajdikoumevnwn kei'ntai kai; o{soi a[grafoi[14] o[nte" aijscuvnhn oJmologoumevnhn fevrousin" (Storie, II, 37, 3) quante sono poste a tutela di chi subisce ingiustizia, e quante, sebbene non scritte, sanciscono un disonore riconosciuto da tutti.
In effetti, al momento della votazione, "tutto il popolo votò alzando la mano favorevole"(Eschilo, Supplici, v. 607) alla proposta presentata dallo stesso re Pelasgo di aiutare le ragazze vessate, non solo per pietà verso di loro, ma anche per schivare l'ira di "Zeus che protegge i supplici"(v. 616) ed evitare "la doppia contaminazione"( diplou'n mivasma, v.619) che sarebbe derivata dal respingere giovani donne bisognose di protezione , straniere, quindi ospiti, e, al tempo stesso, concittadine per la loro origine.
L'aiuto alle fanciulle raccomandato da Pelasgo con un breve discorso, venne dunque approvato dal popolo cersivn (v. 621), con alzata di mani, senza bisogno dell’araldo (a[neu klhth'ro~, v. 622) che chiamasse per nome.
“Nelle Supplici di Eschilo (463-461?)…è rappresentata un’assemblea dei cittadini di Argo, presieduta dal re Pelasgo, che decide all’unanimità, e con alzata di mano (della “dominante mano del popolo”, la démou kratoûsa cheίr), di concedere asilo alle Danaidi in fuga. Il poeta evita certo l’anacronismo di usare il termine formale di democratίa per epoca mitica, una procedura così caratteristica per la sua evidente quantificabilità e la valorizzazione del volere dell’uomo comune (una mano vale l’altra). E mentre fa spazio a una procedura tipica della sua città, Eschilo allude anche accortamente, e senza anacronismi troppo marcati, al regime al suo tempo vigente in Argo (forma democratica, con un vertice monarchico privo di particolari poteri)”[15].
Del resto fu Zeus stesso a portare a termine l’operazione (v.624).
Qui vediamo la fede nella democrazia, in Zeus, e la volontà di osservare le regole avite che prescrivevano di onorare e riverire i numi, i genitori, e gli stranieri non ostili.
Tale codice tripartito viene ricordato dal coro delle Danaidi: gli ospiti, gli dèi, il padre e la madre devono essere venerati o almeno rispettati:"infatti il rispetto dei genitori (tokevwn sevba~) è la terza tra le leggi scritte della Giustizia venerandissima"(vv. 707-709).
Nelle successive Eumenidi, le Erinni che incalzano il matricida, lo minacciano di trascinarlo tra i grandi peccatori: quanti si sono resi colpevoli verso un dio, o un ospite o hanno mancato di rispetto ai genitori[16] (vv. 269-271).
“Nell’ordine dei valori morali proposti dalla società greca arcaica e classica l’onore reso ai genitori viene subito dopo quello prestato agli dèi: ved. p. es. Pindaro, Pyth. 6-26-7 (e scolio ad. loc.); Euripide, Tr. GF V, fr. 853 Kannicht; Senofonte, Mem. IV 4, 19. Le colpe contro i genitori nella mentalità religiosa del tempo erano considerate inespiabili anche dopo la morte: Eschilo, Eum. 721; Platone, Phd. 114 a, Resp. 615 c…. Invece, nel comico “mondo alla rovescia” degli uccelli, battere il padre è considerato un atto onorevole (p. es. Aristofane, Au. 755-9)”[17]. Così pure nelle Nuvole il figlio Fidippide batte il padre Strepsiade.
Il coro delle Danaidi minaccia il suicidio per impiccagione prima che un uomo esecrato si avvicini al suo corpo (vv. 788-790). Pelasgo " è mosso anzitutto dal timore religioso di Zeus che protegge le Supplici"[18].
Infatti il re di Argo avverte l'araldo degli Egizi che potrà portare via le donne solo se un discorso pio riuscirà a persuaderle (ei[per eujsebh;" pivqoi lovgo" , v. 941). L'intelligenza e la moralità devono succedere alla violenza nel rapporto tra i sessi.
Nelle Supplici si tratta di evitare una sorta di endogamia, uno dei tabù della razza umana, ma la lotta tra maschi e femmine è un tema caro ad Eschilo: lo svilupperà compiutamente nell'Orestea dove vi prenderanno parte anche gli dèi facendo trionfare il patriarcato.
Bruno Snell sostiene che nella tragedia di Eschilo “l’uomo riconosce per la prima volta se stesso come autore delle sue decisioni”[19]. Infatti mentre “gli uomini omerici agiscono senza titubanza, con sicurezza, poiché nessuno scrupolo, nessun dubbio li tormenta, nessuna responsabilità di fronte alla giustizia e all’ingiustizia”, nelle tragedie di Eschilo invece “l’uomo, mentre acquista coscienza della propria libertà, assume il peso della responsabilità personale di fronte all’azione. Meglio di tutte lo dimostra l’ultima trilogia di Eschilo, l’Orestiade… Oreste ha il dovere di vendicare il padre, ma per vendicarlo dovrà uccidere la madre. Egli compirà quest’azione, ma soltanto dopo aver sentito tutta la gravità della sua decisione. Il contrasto fra libertà individuale e destino, fra colpa e fatto, si presenta così per la prima volta nel mondo, ed è questo contrasto che divide il mondo degli dèi da quello degli uomini. Oreste si trova preso tra i voleri contrastanti degli dèi, anzi l’ultima parte della trilogia finisce con la lotta fra le potenze nemiche, fra le Eumenidi cioè che vogliono vendicare il matricidio di Oreste, e Apollo che alla fine lo assolve”. Si tratta di una lotta tra matriarcato e patriarcato che prevale minimizzando il ruolo delle madri nella società e perfino nella generazione dei figli. Ma questo aspetto lo vedremo meglio più avanti.
Procediamo con il libro di Snell: “ Queste due divinità pongono all’uomo diverse esigenze, questi si trova, in un certo senso, abbandonato a se stesso. I valori univoci vengono messi in forse, l’uomo si arresta nello svolgimento naturale della sua azione e deve decidere da sé che cosa sia giustizia e che cosa ingiustizia. Un’umanità nuova e una nuova naturalezza si rivelano in lui: la consapevolezza della libertà e dell’azione autonoma. Così egli si scioglie necessariamente dai suoi antichi legami religiosi e sociali, e si giunge a quello stato di cose, per cui Aristofane rimprovera così aspramente Euripide”[20].
Lo vedremo studiando Euripide.
Il conflitto tra le divinità si trova anche nel tragediografo più giovane: “L’Ippolito di Euripide ha in comune con l’Orestiade di Eschilo il fatto che il conflitto del dramma trova riscontro nel conflitto fra due divinità. Una differenza essenziale è data però dal fatto che il conflitto fra gli dèi non sorge in Euripide per un determinato caso, ma è piuttosto una lotta di principî; e non si tratta qui di un’azione giudicata in modo diverso da due diverse divinità, che vengono a conflitto. Ancora: nella tragedia di Eschilo Apollo trionfa sulle Erinni, e una religione più serena prevale sulle antiche forme tenebrose del culto; la conclusione della tenebrosa vicenda acquista così un profondo significato.
In Euripide invece tutti e due i protagonisti vengono annientati e il conflitto delle due divinità rimane inconciliabile”[21]. Nell’Orestea si conciliano anche le divinità in contrasto
Alla fine delle Supplici, le Danaidi pregano la casta Artemide di guardarle con compassione salvandole dalle nozze, ma le loro ancelle affermano e consigliano di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea venerata per le sue opere.
Del suo corteggio fanno parte Desiderio Povqo~, Persuasione Peiqwv e Armonia jArmoniva .
Il pensiero di Zeus è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie di Danao come di molte donne prima di loro (vv. 1049-1052).
La tragedia si conclude con le minacce dell'arrogante araldo egiziano contro gli Argivi difensori delle Danaidi le quali oppongono resistenza a ogni tentativo di moderarle.
Esse pregano Zeus "di liberarle da nozze rovinose con sposi malvagi"(v. 1064) e che "conceda la vittoria alle donne"( kai; kravto" nevmoi gunaixivn, v. 1069).
Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un vincitore assoluto. Alla fine della trilogia, Afrodite stessa compariva sulla scena celebrando la necessità cosmica di Eros. Non possiedo queste parole, tramandate dalla tradizione indiretta, e mi affido al già citato testo di Pohlenz:" Mia opera è quando il cielo e la terra si congiungono in un ardente amplesso, quando l'umore del cielo feconda la terra, sì ch'essa in pascoli, in campi, in selve, genera ciò di cui l'uomo abbisogna per vivere". L'eros , il desiderio d'amore non è solo un istinto individuale dell'uomo; è una potenza cosmica primigenia che suscita ogni vita. Questo pensiero, che Platone svilupperà nel Convito , vien qui già intuitivamente adombrato. Risparmiando il marito, anche Ipermestra ha reso omaggio alla dea dell'amore"[22] “omnia vincit Amor, et nos cedamus amori " Virgilio, Ecloga X, v. 69, tutto vince Amore e noi all'amore dobbiamo cedere.
Bologna 6 febbraio 2025 ore 17, 05 giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Io…iam satis obsita, iam bos (Eneide, VII; 789-790), Io già coperta di peli, già vacca.
[2]K. Kerényi, Miti e misteri , p. 45.
[3] Questo è il segno dei supplici anche nell’incipit dell’Edipo re che comincia con queste parole del figlio di Laio: “ O figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo/quali seggi mai sono questi dove state seduti/con i supplici rami incoronati?" (vv. 1-3).
[4] Cfr. ejfavptw, "metto la mano sopra".
[5] Cfr. la scheda Espressioni contrarie alle nozze successiva al v. 554 della Medea.
[6] Ne fa un lungo racconto in esametri Ovidio nelle Metamorfosi (VI, 426-674) cui allude Eliot per significare la decadenza del mito nella ricezione degli uomini moderni:"The change of Philomel, by the barbarous king/So rudely forced; yet there the nightingale/Filled all the desert with inviolable voice/And still she cried, and still the world pursues,/'Jug Jug' to dirty ears " (The Waste Land , vv. 99-103), la metamorfosi di Filomela, dal barbaro re così brutalmente forzata; eppure là l'usignolo riempiva tutto il deserto con voce inviolabile, e ancora ella piangeva e ancora il mondo continua 'Giag Giag' a orecchie sporche. Il canto della voce inviolabile di Filomela è degradato e dissacrato, poiché suona oramai solo naturalisticamente come un "giag giag" per le orecchie inquinate del mondo contemporaneo.
[7] Diversamente da Medea!
[8] Di data incerta. Non è sicura nemmeno la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.
[9] Le Supplici di Euripide contengono una parte politica più ampia, come vederemo nella scheda sul tiranno successiva al v. 120 della Medea.
[10] In particolare nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide (n.d. r).
[11] L. Canfora. La democrazia. Storia di un’ideologia, p. 17.
[12] Grazie alla parrhsiva.
[13] Cfr. Tucidide, Storie, II, 41.
[14] Corrispondono agli "a[grapta kajsfalh' qew'n-novmima", i diritti non scritti e non cancellabili degli dèi anteposti da Antigone agli editti di Creonte (Antigone, vv. 454-455).
[15] D. Musti, Storia greca, p. 333.
[16] Un’anticipazione di questo codice si trova in Esiodo. La prima fase dell’età del ferro è quella in cui visse l’autore il quale depreca il tempo della propria nascita. Il gevno~ sidhvreon (Opere e giorni, v. 176) è contrassegnato da fatica e miseria e duri affanni. Eppure tra i mali si troveranno misti dei beni. Più avanti però Zeus distruggerà anche questa razza e, nella bassa età del ferro, i beni spariranno del tutto. Allora gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181), i figli non saranno simili al padre, né il padre ai figli, i quali oltraggeranno i genitori che invecchiano, l’ospite non sarà caro all’ospite, né il compagno al compagno, nemmeno il fratello, come prima.
[17] Avezzù-Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 356 e p. 357.
[18]M. Pohlenz, La tragedia greca , p. 21.
[19] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 176.
[20] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 177.
[21] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 181
[22]M. Pohlenz, La tragedia greca , p. 61.
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