L’Unione Sovietica è implosa anche per questa volontà di impedire il culto del divino a un popolo pio quale quello russo.
Il Capitalismo sfrenato ha eliminato l’antico spirito religioso mettendo al suo posto l’idolatria del denaro e il nichilismo, che annulla tutti i valori estetici etici e culturalim con ogni pietas umana, lo sconfiggerà.
Nel VI libro Polibio parla anche della religione dei Romani e dice che la concezione degli dèi gli sembra la maggior differenza in meglio che lo Stato romano possieda:"Megivsthn dev moi dokei' diafora;n e[cein to; JRwmaivwn polivteuma pro;" bevltion ejn th'/ peri; qew'n dialhvyei"(VI, 56, 6). Si tratta di una deisidaimoniva (56, 7), di superstizione, che, se altrove può essere oggetto di biasimo, a Roma tiene insieme lo stato delle cose . tou`to sunevcein ta; JRwmaivwn pravgmata.
Presso i Romani questa parte della cultura viene esaltata ("ejktetragwv/dhtai", 8) e introdotta nella vita pubblica e privata, tanto da non lasciarne una maggiore. A Polibio sembra che ciò sia stato fatto "tou' plhvqou" cavrin"(9), per la massa. Se infatti fosse possibile mettere insieme uno Stato di uomini saggi, probabilmente una soluzione del genere non sarebbe necessaria, ma poiché ogni massa è leggera (" ejlafrovn") piena di desideri sregolati ("plh're" ejpiqumiw'n paranovmwn"), di impulsi irrazionali e passioni violente, non resta che trattenerle con oscuri terrori e con tale apparato da tragedia ("leivpetai toi'" ajdhvloi" fovboi" kai; th'/ toiauvth/ tragw/diva/ ta; plhvqh sunevcein", VI, 56, 11).
Questa è la ragione per cui gli antichi ("oiJ palaioiv", 12) hanno introdotto nelle plebi le nozioni riguardo agli dèi e le credenze sull'oltretomba. Male fanno i contemporanei ("oiJ nu'n") a bandirle in maniera scriteriata e irrazionale ("eijkh'/ kai; ajlovgw"").
Per confermare queste parole greche del tempo della repubblica romana ne cito alcune latine di Curzio Rufo, della prima età imperiale (I d. C.):" Nulla res multitudinem efficacius regit quam superstitio: aliōqui impotens, saeva, mutabilis, ubi vana religione capta est, melius vatibus quam ducibus suis paret "(Historiae Alexandri Magni , IV, 10), nessuna cosa meglio della superstizione governa la moltitudine: altrimenti sfrenata, crudele, volubile, quando è afferrata da una vana religione, obbedisce più facilmente agli indovini che ai suoi capi.
C'è dunque un metodo nella follia della superstizione se considerata dalla prospettiva di chi la diffonde.
E' la ragione già svelata da Crizia nel dramma satiresco Sisifo che contiene la teoria razionalistica dell'utilità politica della religione la quale è un'invenzione geniale e valida a frenare i male intenzionati con la paura dei castighi:"mi sembra che prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i malvagi ci fosse uno spauracchio ("ti dei'ma") anche se fanno o parlano o pensano qualche cosa furtivamente("lavqra/")[1].
Un argomento che in epoca moderna viene ripreso da Machiavelli. L'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella...E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che "ricorrono a Dio" nomina due greci: Licurgo e Solone. Infine tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione".
Per quanto riguarda la considerazione del timore quale fondamento di un ordinato vivere civile, possiamo indicare un archetipo, o comunque un autore più antico di quelli considerati sopra, in Eschilo che nel secondo stasimo delle Eumenidi fa dire al coro:" a volte il terrore è bene/e quale ispettore delle anime/ deve restarvi a fare la guardia".(vv. 517-519).
Più avanti, nel terzo episodio, Atena ribadisce:"Io consiglio ai cittadini che hanno cura della città/di rispettare uno stato senza anarchia né dispotismo/e di non scacciare del tutto il timore fuori dalla città./Infatti quale mortale è giusto se non ha nessuna paura?"(vv. 696-699).
Non mancano del resto voci contrarie alla religio e alla deisidaimoniva. Teofrasto ridicolizza il deisidaivmwn nel XVI dei suoi Caratteri , mentre Lucrezio addirittura criminalizza la religio in quanto è stata causa di delitti orrendi ed empi come il sacrificio di Ifigenia:"Tantum religio potuit suadere malorum ", a crimini tanto grandi poté indurre la religione, è forse il verso più famoso (I, 101) del De rerum natura .
Esporrò questo percorso durante la lezione che terrò all’Università pimo Levi martedì 11 febbraio.
Bologna 8 febbraio 2024 ore 9, 50 giovanni ghiselli
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