Dissi: “Senti, scusa, io non ti conosco, ma ti trovo interessante”.
“Proprio me?” domandò con straordinaria, elegante modestia.
L’abito letterario mi fece pensare alla Chauchat di Thomas Mann, e non solo per gli occhi da Kirghisa di entrambe.
“Sì, appunto, proprio te, e mi piacerebbe se tu volessi parlare con me. Mi chiamo Gianni”.
Mi osservò senza sdegno né compiacimento. Era rimasta seria e sembrava incuriosita.
Infatti mi chiese: “Per quale ragione vuoi parlare con me?”.
“Perché in te c’è qualcosa di bello, di fine, di molto attraente. Penso che non conoscerti sarebbe un’occasione perduta. Per me di sicuro e forse anche per te. Considera che questo momento cruciale potrebbe non tornare mai più se mi mandi via. Per me sarebbe una perdita grande. Hai uno stile nobile . Come ti chiami e da dove vieni?”
Il mio destino che, come il suo, d’altra parte, conteneva il nostro vicendevole amore, mi fece dire tali parole comuni, banali, con l’aria della sicurezza e la forza della persuasione.
Päivi mi osservò di nuovo per un momento, poi, da par sua, cioè senza posare né gesticolare, molto semplicemente e direttamente, rispose: “Tu credi davvero che in me ci sia qualche cosa di buono? Forse ti sbagli. Comunque mi chiamo Päivi. Sono finlandese. D’accordo, parliamo, se vuoi. Anche tu non sembri ordinario. Forse quello speciale tra noi due sei proprio tu”.
Pensai che potesse parlare con un velo di ironia. Decisi di non tenerne conto.
“Quello che ho di speciale me lo suggerisci tu. E’ per la volontà di parlare con te e di piacerti che cerco di tirare fuori il meglio da quanto c’è in me.”
“ In effetti hai un modo di proporti che non mi dispiace. Sei un uomo per lo meno educato. Di che cosa vuoi parlare con me?”
“Di molte cose allegre e di alcune serie. Da questo mio approccio alla tragedia greca se vuoi. Ma prima di te e di me”.
“Sei greco? L’aria mediterranea ce l’hai. La conosco e non mi dispiace. Mio fratello vive con una ragazza ateniese”.
“No, non sono greco, sono italiano. Però ci sei andata vicino. A parte che amo la cultura greca e ne sono imbevuto, i Greci quando vedono noi italiani ci dicono ‘ italiano una razza, una faccia’. Sono italiano di Pesaro sulla costa adriatica, ma ho studiato greco antico e latino nell’Università di Bologna, e da settembre li insegnerò in un liceo di quella città. Può interessarti?”
“Come no? I Greci classici, entrano nei miei studi e nei miei interessi, soprattutto Sofocle. Freud gli è debitore. Anche a Empedocle deve non poco. Vedo che possiamo parlare. Non da eruditi pedanti, spero”.
“No di certo. Non sono il tipo della talpa filologica stigmatizzata da Nietzsche [6]. Studio parecchio ma faccio anche dello sport e qualche volta scendo per strada a tamburellare ditirambi, oppure indago me stesso per diventare quello che sono: apollineo e pure dionisiaco. Guardarti, starti vicino mi vivacizza e mi riempie di gioia”
“ Va bene - fece lei allora - Aspetta solo un momento: mi scuso con gli altri finnici, prendo un bicchiere di birra, poi ci sediamo insieme da qualche parte, dove vuoi tu”.
“Ce l’ho fatta - pensai, quasi lacrimando dalla felicità - ce l’ho fatta Dio, grazie a te e alla mamma mia santa. Il sole fra tre ore tramonta, poi il cielo sereno si arrossa, torma azzurro, si annera. Quindi si schiarisce al biancheggiar della luna. La terra è in mezzo alle stelle, e sulla terra ci siamo noi due, insieme. E’ questa la femmina umana, la Salvatrice, la Redentrice tanto attesa.
Con lei, nel suo prato fiorente, voglio celebrare un’orgia santa, talmente santa che verrà benedetta anche dai preti più accigliati e repressivi, perfino dalle caste monache di clausura ".
Nota
[6] Per i filologi come talpe cfr. la lettera di Nietzsche a Erwin Rohde, del 20 novembre 1868: “Quella brulicante genia di filologi dei giorni nostri, quell’affaccendarsi da talpe, con le cavità mascellari rigonfie e lo sguardo cieco, contente di essersi accaparrate un verme, e indifferente verso i veri, urgenti problemi della vita”.
Bologna 14 marzo 2025 giovanni ghiselli
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