giovedì 20 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Quindicesimo capitolo. Seconda parte



Battaglin di Marostica vince il giro ciclistico  d’Italia. La lezione bolsa sui pastori frolli e agghindati di Teocrito. Il luna park. Le strette fessure mongoliche. Le ingiurie e il pianto. Il carnefice e la vittima.

Il sette giugno è l'ultimo giorno nel quale scrissi qualche riga di appunti prima della catastrofe conclusiva. Era domenica. Ero stanco. Terminava il giro d'Italia, vinto da Giovanni Battaglin di Marostica. Ricordai Carmignano di Brenta e la gara mancata con il campione. Rimpiangevo il vigore e le illusioni dei venticinque anni. Sentivo un vuoto interno dove temevo di inabissarmi.
Dovevo incoraggiarmi dicendomi che presto di lì sarebbero venuti fuori valori più forti di quell' amore che stava cadendo. Finita la trasmissione sull'ultima tappa, telefonai a Ifigenia.

"Cosa pensi che potremo fare in futuro noi due?" le chiesi. 
"Riguardo al futuro remoto, non so cosa dirti; - rispose - ora io penso a preparare l'esame per uscire da quel letamaio. Dopo vedremo. Cosa ci prepara il destino, non possiamo saperlo. Questa sera intanto vengo da te per farmi spiegare Teocrito. Dovrò recitare la parte di Gorgò nelle Siracusane"
"Ho capito. Ti aspetto alle otto" conclusi. Voleva sfruttarmi. Le feci una lezione lunga ma bolsa. I pastori del poeta bucolico sono agghindati. La mia lezione fu fiacca, ma Ifigenia la trovò ben fatta e utile molto. A me in ogni caso non era piaciuta, e questo aumentò il mio nervosismo, incupì il senso di frustrazione dovuto al fatto che volevo l’amore di una ragazza refrattaria, un'allieva che non mi riconosceva più come maestro, nonostante prendesse appunti quando parlavo di letteratura e trovasse preziose per le sue prove le mie laboriose lezioni. Ma per la vita aspirava a ben altro maestro: a un attore, a un regista, a un produttore ricco e famoso. Pensai che quando in Grecia Sofocle scriveva l’Aiace, i primi legislatori di Roma codificavano il clientelismo, padre di tutte le mafie[1].  
Ifigenia cercava contatti con maschi importanti, e io per vincere il sentimento di essere identico al nulla, siccome, nonostante tutto, amavo quella ragazza, dovevo procurarmi fama e successo maggiori di quelli degli uomini che ella agognava, come fa con il cibo un cane affamato, e non trova pace finché non lo morde . L'unica strada a me pervia per arrivare a recuperarla, era scrivere, ma, per cominciare, dovevo districarmi dall'imbrigliamento penoso in cui mi trovavo.
Ora so che in quei giorni lontani mi stavo adoperando, incosciamente ma energicamente, per provocare la grande catastrofe redimibile solo con un lavoro grande e meraviglioso.
Mancava meno di una settimana.

Dopo la lezione moscia dunque, le domandai che cosa volesse fare.
"Andiamo al luna park" propose.
"Va bene" acconsentii, ma controvoglia: temevo che avrebbe bambineggiato insopportabilmente. Infatti pargoleggiò senza misura e scatenò la mia insofferenza.
Arrivati là, cercai di fare buon viso e di adattarmi ai suoi gusti. Per quasi due ore riuscii a scherzare, a simulare allegria, a fingere di stare volentieri in quel luogo. Lo odiavo fin da bambino: ci ho sempre visto qualche cosa di triste, falso e volgare. Quella sera ero depresso; un poco alla volta divenni esasperato.
Prima di riportarla a casa la umiliai vomitandole addosso tutto il risentimento accumulato in mesi di sottomissione. Nei due anni e mezzo del nostro stare insieme, tante volte il suo infantilismo non mi era spiaciuto, ma la notte del sette giugno ne ebbi il voltastomaco: probabilmente era destino poiché la litigata che ne seguì prepara e prefigura la catastrofe della notte compresa fra il 12 e il 13.
Volle che ci guardassimo riflessi negli specchi deformanti. Apparivamo smisuratamente grassi, o magri, o lunghi, o corti. Volle che girassimo con l'autoscontro: ci sbatacchiavano da tutte le parti; Ifigenia rideva. Io non capivo perché. Poi volle girare seduta in una grande, lentissima ruota; poi volle salire e scendere rapidamente su e giù per le montagne russe, e rideva sempre; poi volle pescare oche di plastica con un anello appeso ad un filo attaccato a una canna; poi volle tirare palle di pezza su dei barattoli vuoti sperando di vincere non so che cosa; poi, sebbene fosse passata la mezzanotte, e il giorno dopo io avessi lezione alle otto, volle replicare diverse di quelle scemenze, mentre oramai doveva vedersi che ne avevo la nausea, come l'avevo del suo ridere idiota.

Prima di aggredirla, la guardai in faccia. Aveva gli occhi piccoli piccoli e lacrimosi, quasi due strette fessure mongoliche, e grossi denti che uscivano fuori dal labbro superiore rialzato, un poco
peloso. E rideva, rideva sempre. I capelli neri erano avviticchiati e appiccicati alla faccia scura e sudata. Sembrava uno di quei bambini disgraziati  che si agitano impotenti sulle sedie a rotelle dove li tengono legati perché non si facciano a pezzi da soli.
A un tratto le chiesi di smettere di fare la scema: era l'una di notte e io non ne potevo più. Poi dissi dell'altro. Poche parole cattive[2].
Divenne seria e si mise a piangere. Seguitò fino a casa sua. Ne provai dolore, compassione, rimorso: le chiesi scusa. Ma Ifigenia, miserevole e implacabile, continuava a piangere. Le spiegai che non ne potevo più di essere sfruttato con protervia, senza riconoscenza, senza nessun sentimento buono, né alcuna collaborazione a quanto facevo. Non rispose. Le chiesi di essermi meno figlia e più compagna, di aiutarmi attivamente a creare qualche cosa di grande e bello, poiché con lei che mi stava vicino senza collaborare non ce l'avrei fatta mai.
Rispose solo: "Ho capito".
Quindi uscì dalla bianca Volkswagen ed entrò in casa sua. In questa scena forse io sembro il carnefice e Ifigenia la vittima.


[1] Il rapporto utilitaristico, fatto di raccomandazione e di favori reciproci, tra patrono  e cliente   era già istituzionalizzato nelle leggi delle XII tavole redatte nel 451 a. C.:  “Patronus si clienti fraudem fecerit, sacer esto”, il patrono, se ha ordito una frode al cliente, sia maledetto, prescrivevano “Il rapporto clientelare si configura come un’organizzazione mafiosa che garantisce l’omertà, e il successo dei disonesti” ha scritto  l’illustre latinista Luciano Perelli in un libro intitolato La corruzione politica nell’antica Roma. La I Bucolica di Virgilio è la storia di una raccomandazione.
[2] Cfr. Catullo, Carmi,11, vv. 15-16: "pauca nuntiate meae puellae/non bona dicta", riferite alla mia ragazza poche parole non buone.

1 commento:

  1. Quando i sentimenti cambiano, le cose che prima fanno innamorare dopo divengono in proporzione più antipatiche e odiose-Può un amore durare tutta la vita senza la fredda determinazione di mantenerlo vivo ? E perché ci accorgiamo che l'amore finisce solo quando è troppo tardi ? Ma si può guarire un amore malato che sta morendo? Leggendo viene il dubbio se tu volevi scientemente perdere l'amore provocandone la fine ,oppure se sei stato vittima di un destino fatale....sembra incredibile che due persone che si sono tanto amate arrivino a scarnificarsi a vicenda, eppure è la regola....ci devo pensare .Ciao Gio

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