venerdì 28 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Sedicesimo capitolo. Terza parte



I quattro budini gelati ammolliti con la fiamma bluastra del gas. La telefonata pomeridiana. Di mia volontà, di mia volontà l'ho fatto, non lo negherò. Il bambino caduto nel pozzo. 

Arrivai a Bologna verso l'una. Quando fui entrato nella cucina sconvolta, tirai fuori dal congelatore quattro budini di cioccolata, duri e pesanti come mattoni. Li ammorbidii uno per uno con la fiamma bluastra del gas, poi li mangiai con avidità angosciosa rabbrividendo e allegandomi i denti.
La mattina seguente andai a scuola pieno di sonno e di angoscia. Con gli allievi i cui volti mi rinfrancarono un poco, provai la mezza lezione che avevo già preparato per la maturità del fratello di Ifigenia. Doveva essere fatta bene poiché suscitò l'interesse dei agazzini che presero appunti, nonostante la scuola fosse quasi finita; anzi, io non lo sapevo, ma questa fu l'ultima lezione al Binghetti dopo cinque anni: due di liceo, quando lei era supplente ginnasio, e tre di ginnasio quando Ifigenia  faceva qualche supplenza al liceo.
Alle undici, durante l'intervallo, una ragazzina mi domandò: "Professore, vorrei sapere se lei è felice".
"Tu che cosa pensi?" Risposi con un'altra domanda, meravigliato, ma non troppo, dalla sua.
"Io credo di no" fece l'adolescente con leggero imbarazzo.
"E' vero – ammisi - in questo periodo non lo sono. Vivo, come molti credo, in situazioni oscure e contorte, mentre ci sarebbe bisogno di chiarezza e dirittura, prima di tutto morale. Comunque mi rifarò, poiché mi piace la vita, e io stesso non mi dispiaccio del tutto".
Alle due telefonò Ifigenia. Disse: "Ciao Gianni, mi sei mancato, mi manchi. Quando vieni? Vieni presto! Ti aspetto".
Sembrava uno dei nostri messaggi canonici e artificiali, o per lo meno carichi di nervosismo e insicurezza. Non potevo andare presto a Riccione: dovevo preparare le valutazioni da consegnare in segreteria lunedì e completare la lezione per il suo prossimo esame di recitazione. Inoltre volevo andare al campo sportivo per mettere alla prova le mie forze fisiche che sembravano stanche: non riuscivo a correre i 5000 metri in meno di venti minuti. Così, per essere sicuro di avere il tempo necessario a compiere le tre cose che dovevo a me stesso, e anche per dare a lei l'occasione di effettuare le sue con agio, e senza di me, ma soprattutto perché era predestinato ab aeterno che la nostra storia d'amore finisse in malo modo e quella notte, risposi: "Arrivo verso le undici: oggi devo lavorare fino alle nove, se voglio tenermi liberi il sabato e la domenica".
Ifigenia provò a protestare: "Così tardi? Vieni prima, amore: ti ho detto che mi manchi e che ti amo tanto".
"Anche tu mi manchi tanto, ma oggi pomeriggio ho da fare. Così abbiamo tutto il tempo per i nostri impegni. Tu potrai seguire spettacoli e conferenze. Anzi, guarda, per non spezzarti il dopocena, arrivo addirittura verso mezzanotte".

Sapevo bene che in questo modo le davo altre occasioni di fare quello che avrebbe fatto; sapevo che più rimaneva sola, più era esposta al rischio di andare a letto con uno dei personaggi del Grand Hotel i quali le avrebbero chiesto il godimento del suo corpo giovane e bello in cambio di una promessa di introduzione nel mondo dello spettacolo. E sapevo che c'era l'attore famoso, incline a fare tali proposte di scambio alle ragazze avide di notorietà; infine sapevo che lui per lei era una specie di mito fin dall'infanzia. Tutto questo mi era chiaro allora come adesso, e l'avevo messo in conto quando le dissi che sarei arrivato tanto tardi a Riccione. Volevo correre il rischio, e anche farglielo correre. Quoque pronior esset in vitia sua [1].
Del resto la ragazza, se valeva qualche cosa, se voleva entrare in quel mondo con dignità e decoro, a letto con il primo famoso che glielo chiedeva senza conoscerla, non doveva andarci; altrimenti sarebbe diventata una cosa da gettare via subito dopo. Da parte mia non è stata una svista il compimento del nostro destino. Io l'ho voluto. Amor fati è la mia intima natura, non solo quella di Nietzsche[2].
E' stata una scelta, una provocazione intelligente arrivare tardi. Era ora che Ifigenia dopo tanto sesso, commedie, bacini, dopo tanti "mi manchi" e "ti amo", mi desse qualche cosa di autentico, di morale, di veramente suo: impegno, sacrificio, fedeltà, non in astratto, ma quando aveva occasione di romperla con chi la attirava, la lusingava, la emozionava. Ma in realtà mi aveva già dato tutto il meglio di sé, e altro, poveretta, proprio non aveva da offrirmi.
Quel pomeriggio remoto presi una decisione che adesso, dopo tanti anni, prenderei un'altra volta. Non ne sono pentito: "eJkw;n eJkw;n h}marton, oujk ajrnhvsomai[3].

La catastrofe che dieci ore più tardi segnerà la fine del nostro rapporto, mi ha inflitto uno dei grandi dolori della mia vita mortale, però nello stesso tempo mi ha messo alla prova, mi ha allenato, ha suscitato e corroborato tutte le mie capacità di resistenza e reazione alle peggiori avversità, mi ha dato l'opportunità di conoscere meglio me stesso, e la spinta definitiva a scrivere questo romanzo con il sacrificio di una grande porzione[4] di questo passaggio rapido qui sulla terra. Se è vero che le difficoltà ripide, impervie, temprano la virtù, come la fatica i muscoli, l’ascesa che sto per raccontare , è una montagna difficile quanto o Stelvio, il Pordoi, il Parnaso nevoso di Sofocle[5], L'Ossa, l'Olimpo e i Pelio dalle foglie agitate di Omero[6], più la bruna montagna del Purgatorio dantesco messi uno sull'altro. E con il vento contrario, ma forte. Più i 5000 metri a piedi, ripetuti dieci volte di seguito, sotto la grandine.
Al fine di superare il senso di frustrazione provato quella notte famosa, ho dovuto decidere di chiudermi in casa per anni tutti interi, per decine di stagioni che portano tutto, e tutto portano via, e scrivere: impiegare ogni energia, la mia cultura, i ricordi, i sentimenti, al servizio del riscatto, della rivalsa costituita da un grande romanzo che mi avrebbe dato una fama perenne: certo più duratura di quella dell'attore gradasso che fra vent'anni sarà morto anche nella memoria dei figli di quanti oggi applaudono le sue esibizioni enfatiche e rumorose. Ma questo intento iniziale non sarebbe bastato da solo a farmi scegliere lustri di sacrifici, di rinunce ai piaceri e alle distrazioni della vita esterna. Ci voleva un altro scopo più alto, più generoso: l'educazione di quanti mi avrebbero letto. Questo l'ho trovato scrivendo. Adesso che l'attore e Ifigenia sono morti, io sono grato a entrambi di quella notte. Talora li ricordo nelle preghiere: “lucem aeternam dona eis Domine”.

Dopo la corsa svigorita, tornai a casa depresso, mi lavai, e, mentre mi asciugavo, accesi il televisore. Sentii che un bambino, Alfredo, era caduto in un pozzo profondo da diverse ore, ma era vivo, anzi parlava e stava bene. I pompieri lo avrebbero tirato fuori presto.
La notizia mi fece una brutta impressione, eppure non dubitai che l'avrebbero salvato come assicurava il giornalista. Sembrava cosa già quasi fatta. Studiai: rilessi le Olintiache per fare più bella la lezione a Ifigenia. Demostene esorta gli Ateniesi a ritrovare lo spirito di sacrificio smarrito. Alle dieci partii per andare da lei: dovevo incontrarla due ore più tardi sulla terrazza del cupo giardino ghiaioso del Grand Hotel.

Giovanni ghiselli

P. S.
Oggi, 28 marzo, alle 18,30 parlerò della tragedia greca nella biblioteca Scandellara di Bologna


[1] Cfr. Livio, Storie, 22, 3. Affinché assecondasse di più i propri difetti. Annibale provoca il console Flaminio, ferox a consulatu priore, già spavaldo dal suo precedente consolato.
[2] F. Nietzsche: “Amor fati, das ist meine innerste Natur”, Ecce homo.
[3] Eschilo, Prometeo incatenato, 265m    di mia volontà, di mia volontà ho trasgredito, non lo negherò. La trasgressione è relativa al comportamento usuale di controllare l'amante per impedire probabili tradimenti o abbandoni. Penso che non ne valga la pena, e comunque non sia possibile: “Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il mare" (J. Joyce, Ulisse, p. 372).
[4] Cfr. Tacito, Agricola, 3: "per quindecim annos, grande mortalis aevi spatium", per quindici anni, grande porzione di una vita mortale.
[5] Cfr. Edipo re, v. 475.
[6] Cfr. Odissea, XI, 315-316.

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