domenica 2 marzo 2014

Marco Macciantelli, relazione dell’8 febbraio 2014



 Presentazione e commento di una relazione tenuta a Budrio l’8 febbraio 2014  da Marco Macciantelli, sindaco di San Lazzaro di Savena, durante un incontro sulla “Proclamazione della Repubblica romana”

Il 9 febbraio 1849 nacque la Repubblica Romana che durò sino all’inizio del luglio di quello stesso anno,  quando le truppe del generale Oudinot, mandate dal presidente francese Luigi Napoleone Bonaparte, riuscirono a debellare la resistenza eroica dei suoi promotori e difensori.
Ricorre dunque il 165esimo anniversario di questo episodio del nostro Risorgimento. Il primo luglio del 1849, nel momento della resa, l’Assemblea approvò la Costituzione della Repubblica, lanciando una sfida alle forze soverchianti della repressione e una promessa-premessa per l’avvenire. Fu il testo costituzionale più democraticamente avanzato di quel periodo. La Repubblica parlamentare del ’49 era presieduta dal Triumvirato costituito da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Giuseppe Garibaldi la difese con diecimila volontari provenienti da varie parti d’Italia e con l’aiuto di molti popolani di Roma.

Macciantelli nota che durante quei mesi “ Roma passò da una delle condizioni più arretrate d’Europa a terreno di sperimentazione delle idee democratiche più avanzate”. 
Quindi il sindaco ricorda “alcune delle figure che stabilirono un rapporto diretto tra Bologna e Roma”. Tra queste Macciantelli mette in rilievo Quirico Filopanti e Carlo Berti Pichat. Il primo nacque a Budrio nel 1812 e morì a Bologna nel 1894. Si chiamava Giuseppe Barilli, ma scelse il nome Quirico in omaggio alla Roma antica e il cognome Filopanti, etimologizzabile con  “colui che ama tutti”, quale nomen omen. 
L’8 agosto del 1848 aveva partecipato alla rivolta popolare che cacciò gli austriaci da Bologna. Una insurrezione da cui trae il nome la grande piazza di fronte alla Montagnola.
Nel gennaio del ’49, Filopanti fu eletto membro dell’Assemblea costituente degli Stati romani.
Il relatore  ricorda un nobile atto di questo patriota nel momento della resa:“A Filopanti spetta anche l’ultimo atto della Repubblica Romana: di fronte al colonnello Lamarre, entrato nella sala del Campidoglio, dove era insediata ancora la V sezione dell’Assemblea, per imporne lo scioglimento, Filopanti redige una protesta ufficiale, appellandosi all’articolo V della Costituzione francese, in cui si respinge (cito) “l’uso della forza contro la libertà dei popoli”. Filopanti poi insegnò nell’Ateneo Bolognese quale docente di meccanica, idraulica e astronomia.

Altro personaggio della nostra terra fu  Carlo Berti Pichat, nato e morto a Bologna (1799-1787). Fu politico e agronomo e quando San Lazzaro nel 1828,  fu nominata comune, egli ne fu il primo sindaco  (allora si diceva “priore”).
Ma sentiamo le parole del sindaco attuale: “Poi Carlo Berti Pichat fu proconsole della Repubblica romana a Bologna e a capo del Comune di Bologna, in qualità di assessore anziano, dal 9 novembre al 23 dicembre 1872. La sua vita segnò un legame tra la Francia e l'Italia, tra San Lazzaro e Bologna, tra Bologna e Roma. Partecipò al Risorgimento, fu senatore del Regno, a dimostrazione della intima relazione, tra comunità locali e unità d'Italia, tra autorità dello Stato e autonomismo tipicamente italiano. Insieme, Filopanti e Berti Pichat dimostrano una vissuta relazione tra dimensione territoriale e idea di nazione, che non è scoperta recente, ma fondamento della vicenda, politica e civile, del Paese.
Veniamo alle ultime due questioni: Costituzione ed Europa. Non a caso il titolo di questa mia relazione è: La Repubblica romana tra speranza democratica, giovane Italia, nuova Europa. La Repubblica romana, nel 1849, promulgò la Costituzione più evoluta, in Europa, a quei tempi, una specie di frutto maturo degli ideali democratici mazziniani.
Vale a dire: libertà di culto; laicità dello Stato; abolizione della pena di morte e della tortura; abolizione della censura; libertà di opinione; istituzione del matrimonio civile; suffragio universale maschile (anche se ufficialmente non vietò il voto alle donne); abolizione della confisca dei beni; abrogazione della norma pontificia che escludeva le donne e i loro discendenti dalla successione familiare; riforma agraria e diritto alla casa, tramite requisizione dei beni ecclesiastici; divisione dei poteri; abolizione della leva obbligatoria… Non a caso la Costituzione della nuova Italia democratica, uscita dal secondo conflitto mondiale dopo la tragedia dei totalitarismi, promulgata il 1° gennaio 1948, si richiama ai valori che sono stati alla base della Repubblica romana”.

Alcuni di questi valori risalgono alla democrazia ateniese del V secolo a. C.: quello forse fondante è il bene della parresìa, la libertà di parola, senza la quale, il cittadino ha la bocca schiava, come afferma il protagonista eponimo dello  Ione[1] di Euripide (v. 675).
 Analogo concetto si trova nelle Fenicie[2] quando  Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[3].

La nostra democrazia dunque non può abiurare i princìpi che hanno ispirato le Costituzioni più avanzate in termini di democrazia, cioè quelli di libertà, di pari opportunità per tutti, di giustizia. Mi rifaccio spesso agli antichi, ma non senza spirito critico: ripudio infatti il clientelismo dei Romani antichi, quel rapporto tra patrono e cliente codificato nelle leggi delle dodici tavole e tuttora vigente nel sistema tipicamente italico della raccomandazione e nella stessa mafia.

Dò ancora la parola a Macciantelli: “dal secondo dopoguerra, è andato affermandosi il progetto europeo, col passaggio del Trattato di Maastricht, nel 1992, e l’unione monetaria con l’Euro dal 1° gennaio del 1999. Ciò che ancora manca, come sappiamo, è un profilo politico di tutto questo. Come si dice con una formula: gli Stati Uniti d’Europa”.
Io vedo con chiarezza un profilo culturale, una letteratura europea, una cultura dell’Europa unita. I topoi o loci che risalgono alla letteratura greca, fino a Omero , hanno piena cittadinanza in tutta la letteratura europea. Questa costituisce un unico corpo del quale latino e il greco sono la corrente sanguigna, “e come un solo, non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"[4].
Il sindaco di San Lazzaro ha precisato a proposito del profilo politico: “Le prossime elezioni per il Parlamento europeo possono essere un’occasione per sottolineare questa vitale esigenza. Contro i tentativi di revanche antieuropeista che coagulano oggi diverse forme non solo di populismo, come si usa dire, ma di vera e propria rottura del progetto europeo… Con l’ingresso nell’Unione Europea della Croazia dal 1° luglio dello scorso anno, gli Stati membri, come si sarebbe detto un tempo, dall’Atlantico agli Urali, sono diventati 28. Talvolta dimentichiamo che da quando è iniziato il progetto europeo, non si è più dato un conflitto armato nel continente, mentre il secolo scorso è stato quello dell’enorme carneficina di ben due conflitti mondiali provocati dal contrasto franco-tedesco”.
Chi ha una visione abbastanza “panoramica” della cultura europea non può non sentire la fratellanza spirituale che ci unisce.
La conoscenza della storia è un altro aiuto a uscire dal provincialismo, una stortura dei valori che deriva  dall’applicare all’intera esperienza umana criteri normativi acquistati in un’area limitata. Questo limite fuorviante porta a scambiare il contingente con l’essenziale, l’effimero con il durevole.

Macciantelli ricorda la seconda delle Considerazioni inattuali di Nietzsche: Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874).
Ebbene, l’utilità della storia, come della cultura in genere, sta nel potenziamento della natura di chi la studia; il danno consiste nel rimasticare e ruminare le nozioni senza capirle, senza applicarle alla vita: “Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l'uomo diventa uomo"[5].
Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo vediamo con i nostri occhi E lo afferma Cicerone nell'Orator [6]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona.
Lo fa notare C. Pavese:"C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini"[7].
Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani e anziane,  infantilmente insensate: "Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche preparatorie"[8]
Concludo citando le ultime parole della relazione del sindaco di San Lazzaro di Savena: “La Repubblica Romana, nel processo risorgimentale italiano, nella prospettiva della nuova Europa, si è rivelata non solo “utile”, ma indispensabile, per la vita del nostro Paese e per gli insegnamenti che tuttora ci offre. L’augurio è che, anche grazie ad iniziative come quella di stasera, capaci di rendere attuali quelle pagine della nostra storia, cresca ulteriormente la coscienza del suo valore”.

giovanni ghiselli


[1] Del 411 a. C.
[2]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.
[3] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.
[4] In T. S. Eliot, Opere, p. 975.
[5] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II,   p. 83 e p. 87.
[6] Del 46 a. C.
[7]Il mestiere di vivere  , 24 dicembre 1937.
[8] Dialogo di Tristano e di un amico (1832).  E’ una delle Operette morali delle quali l’autore scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394).

1 commento:

  1. non vedo fratellanza spirituale che leghi i popoli della unione europea ,dato che la U.E.discrimina tra paesi virtuosi e paesi cosidetti pigs e non esita a punire questi ultimi ,in particolare la Grecia,con sanzioni che creano una carneficina sociale,economica,moraledi un popolo antico.Pertanto è ignobile e falso tacciare di populismo chi critica questo progettd europeo che non rispetta e tantomeno valorizza le peculiarità dei popoli che lo compongono ,nonsi occupa della loro cultura,della loro storia della loro lingua,ma ha a cuore solamente una moneta unica che deve far quadrare conti voluti da biechi poteri forti che inducono i paesi "virtuosi"a farsi strumenti ciechi d'occhiuta rovina"Il vero populismo è quindi l;approvazione della prevaricazione e dell,ingiustizia ""Solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente ,l/uomo diventa uomo!|"Nietzsche Considerazioni inattuali mi chiedo dove è finita la memoria storica ?cosa è diventato l!uomo? Margherita

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