venerdì 7 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Quattordicesimo capitolo. Seconda parte



L'esame di Ifigenia all'Antoniano. Contro le sfacciate donne dell'età esibizionista. L'imbarazzo dopo la recita. La ritirata e il ritorno con la bianca Volkswagen scoperta. L’amore precario. 

La prova si svolgeva all'incirca come la sera prima. La differenza  stava nel pubblico più numeroso e in una riduzione del testo.
Ifigenia recitò discretamente. Meglio di tutto le riuscì la scena sul Danubio. Alla fine i giovani attori furono applauditi a lungo  dal pubblico in piedi, del resto composto in massima parte da amici e parenti. La mia donna guardava gli osannatori. Era in calzamaglia poiché la rappresentazione si era chiusa con gli svolazzi dello Zeppelin incarnato da lei che era la callipigia della compagnia.
Io ero in prima fila, ma fui ignorato. Quando gli applausi terminarono, Ifigenia si mosse verso il gruppo dei suoi familiari che erano da un'altra parte. Rimasi al mio posto: non volevo essere io ad avvicinarmi. Speravo fosse lei a cercarmi con lo sguardo e a venire da me: non ero nascosto. Avevo anche sperato che, finita la commedia, si sarebbe cambiata, o avrebbe messo qualcosa sopra la tuta trasparente; invece si era accostata al pubblico con il seno in evidenza. Questo mi dava fastidio: non era più per esigenza scenica che andava mostrando il petto con tutte intere le poppe[1] . Era vanità, esibizionismo, impudicizia, mancanza di rispetto per il suo uomo .
Io la penso così, forse retrograda- mente. Anche le sfacciate che mostrano seni e chiappe sulle spiagge non mi sono simpatiche. Nemmeno eccitanti sono. Una donna fine non lo fa, ed è più attraente.
I familiari le dicevano:"brava, bravissima!" Lei sorrideva giulivamente. Io cominciavo a soffrire. Finalmente si accorse di me e venne a salutarmi. Ma non era contenta che fossi presente nel momento e nel luogo del suo primo trionfo. Oramai non le servivo più, ero di  troppo.
"Brava" dissi.
"Grazie. Dov'eri?"
"Qua, dove sono ora".
"Ti sono piaciuta?"
"Molto. - Ci fu un momento di silenzio - Ora che cosa farai?"
"Non lo so, - rispose imbarazzata, volgendosi verso gli altri attori - credo che i miei compagni vogliano festeggiare in qualche maniera".
"Ho capito" borbottai. Avevo capito che io non ci entravo. Ifigenia non aggiunse parola: mi stava davanti silenziosa e sempre più imbarazzata. Dopo qualche secondo la salutai: "Bene. Allora ciao. Sei stata brava. Continua così".
"Ciao, grazie".
Mi mossi verso l'uscita sperando che mi chiamasse, mi facesse tornare indietro, almeno per dirmi: "Ci vediamo domani". Invece mi lasciò andare via come se fossi stato uno spettatore qualunque, o
un ammiratore di nessuna importanza, anzi piuttosto importuno.

Uscii da quell'ambiente che mi soffocava. Entrai nella bianca Volkswagen, la scoprii nella notte d'estate precoce, ventosa, calda e profumata. Tornai a casa. Speravo che mi telefonasse. Invece
 niente. Mi spogliai e mi stesi sul grande letto dei nostri tripudi. Il dolore mi ringhiava nel petto: lo accarezzavo, lo scrutavo, cercavo di ammansirlo perché non mi dilaniasse.
Pensavo: "E' andata come avevo previsto. Appena si è sentita un'attrice, si è sbarazzata di me. Tornerà nel suo luto antico da dove l'avevo estratta per elevarla al mio linguaggio, alla mia logica, al
 mio stile. Questa sera si sente una diva, poveraccia! E' solo una tanghera, come quando l'ho conosciuta. Volgare di anima, di comportamento, di tutto! Sebbene mi abbia scimmiottato
per quasi tre anni, è rimasta quello che era: fatta per la confusione, il fumo, l'inconcludenza. Ricordo una volta che mi telefonò da via Rizzoli. Andai a prenderla. Era con altre della sua razza mentale: facevano chiasso sul marciapiede. Io l'ho tirata fuori di lì. Ora ci torna".
Ero steso sopra il lenzuolo, in mutande; stavo per piangere, ma non volli lasciarmi andare così. Non era ancora giunto il momento della catastrofe. Decisi di alzarmi, rivestirmi e tornare nel suo covo di belva per porle delle domande, farla parlare, ascoltarla.
Anche se non fosse stata sincera, qualche cosa mi avrebbe insegnato. Arrivai all'Antoniano che era circa l'una. Gli aspiranti attori erano scesi in uno stanzone sotterraneo: festeggiavano il compimento del lavoro annuale e aspettavano i voti: avevano l'aria di attendere una promozione generale. Parlavano, o ridevano, mangiavano e bevevano vino. Vicino alle pareti c'erano lunghi tavoli coperti di bottiglie e vassoi con frammenti di pasta fritta. I giovani stavano in piedi nel mezzo della sala con frittelle e bicchieri in mano. Su piccole pozze multicolori sparse dovunque, galleggiavano pezzetti di focacce che formavano minuscoli arcobaleni dai colori unti. Segno di pace scivolosa e precaria, oppure, piuttosto, di confusione totale.
Appena mi ebbe notato, Ifigenia mi corse incontro e fece: "Ciao amore, stavo per telefonarti".
"Per dirmi che cosa?"
"Che mi mancavi tanto. Sono contenta che tu sia tornato".
Si era ricordata che in autunno la attendeva un altro esame, non meno serio, e che per superarlo aveva ancora bisogno di me che passavo il tempo a studiare soprattutto per lei.
"Meno male" pensai, e tirai un sospiro di sollievo, ma senza darlo a vedere. Dissi:"Sono venuto per domandarti se ti serve un passaggio fino a casa, o se hai bisogno di me in altro modo".
"In ogni modo, io ho bisogno di te, gianni, amore, omni modo. Stai qua mentre attendo il giudizio", rispose, e mi baciò. Aveva capito di essere stata troppo dura, troppo precipitosa rispetto al compimento, vicino ma non immediato della nostra vicenda e delle parti che vi recitava: amante dall’affetto intermittente, Musa non sempre benevola, allieva incostante.
Parlammo della sua prova. Confessò che Felice-Alfred, durante la scena del bacio, le aveva messo la lingua dentro la bocca. La cosa mi spiacque ma non glielo dissi. Né le parlai dello strazio di poco prima. Aspettava il verdetto della commissione e ne aveva paura. Arrivò verso le tre: era stata promossa con ventuno trentesimi.

Dopo, andammo a casa mia e facemmo l'amore assai bene. Ricordai che nel maggio precedente, quando pure ne ero disamorato, la sera odorosa che la vidi recitare la parte di Nora in Casa di bambola, provai un'attrazione forte, rinnovata, tanto palese che quando eravamo a letto disse: "Questa sera mi ami molto, quanto una volta; però adesso mi tratti come una tua pari. Ne sono felice. Vedrai che non ti deluderò".
Forse, vedendola sul palcoscenico, mi eccitava il pensiero che gli altri uomini presenti in sala l'avevano desiderata, ma lei faceva l'amore solo con me.

giovanni ghiselli

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[1] Cfr. Dante, Purgatorio, XXIII, vv. 100-102: "Nel qual sarà in pergamo interdetto/alle sfacciate donne fiorentine/l'andar mostrando con le poppe il petto".

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