giovedì 15 dicembre 2016

Twitter, CCLXIV

l'Italia
(e la Germania), di Friedrich Overbeck
Governanti piccoli piccoli, giornalisti presunti grandi e colti.
Rimangono saldi, grandi e luminosi l’amore per l’educazione e quello delle donne.

In temini platonici: Gentiloni è il visibile (oratòn), Renzi l'intelligibile (noetòn) che gli dà sostanza e visibilità. Devo però riconoscere che Gentiloni è più educato e cortese dei suoi beceri mandanti. La Boschi del resto si è messa lì vicino, in posizione di controllo perché la buona educazione non prevalga.

Ancora dalla Repubblica di Platone: “cogliere l'essere spogliandosi del divenire”. Una bella frase da usare nel corteggiamento delle femmine umane benedette da Dio: "spogliati del divenire poiché voglio il tuo essere".

Per la scuola e la paideia ora sono tranquillo: nel governo c'è Galletti, uomo di cultura e raffinato intellettuale. Basta guardarlo e sentirlo parlare. Osservatelo bene com'è. Intendo Gianluca Galletti.
 Fa parte del catalogo.
“Un catalogo egli è che ho fatt’io;
osservate, leggete con me”

Non bisogna dire troppo male del governo: tra i ministri non ce n'è uno, nemmeno uno dico, pescato a fare il tagliaborse. Vi pare poco?

Dire "Patria" è da biechi maschilisti, io da donnaiolo, adoratore delle femmine umane, dico "Matria", anzi, se posso, non solo dico ma faccio Matria comportandomi da matriota.

Dopo il fantasioso Corrado Augias[1], sentiamo l’ipercultura del padre di tutti i giornalisti, Eugenio Scalfari: "Roma conquistò la Grecia e ne assorbì la cultura e perfino la lingua dalla quale il latino discende" (“l’Espresso+ la Repubblica”, 11 dicembre 2016, p. 130). Bravo davvero! Altro che la Repubblica di Platone quella fondata da lui!

Voglio denunciare non tanto certe persone quanto il disastro e il vuoto culturale che asfissia la gioventù italiana priva di bravi maestri



giovanni ghiselli, gianni il poverello di Pesaro, molto contento di sé e capace non solo di motteggiare ma anche di commiserare i miserabili che affamano il popolo di cultura, di amore, di giustizia, di buona scuola, di cure, e oramai anche di cibo.

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[1] Copio dal blog precedente: Corrado Augias, spesso presente nella televisione governativa, scrive: "Siamo nel 9. d.C. L'imperatore Tiberio affida la repressione al generale Quintilio Varo". Questa esibizione di ignoranza, per lo meno dell'età di Augusto, si trova in “il venerdì di Repubblica” del 9 dicembre 2016 (p. 111). Fu Augusto (morto nel 14 d. C.) a inviare Varo in Germania dove Arminio, principe dei Cherusci, nel 9 d. C. guidò una rivolta. Varo venne sconfitto e ucciso nella selva di Teutoburgo, il suo esercito fatto a pezzi tribus legionibus cum duce legatisque et auxiliis omnibus caesis. L’imperatore (Augusto ripeto, non Tiberio che gli succedette nel 14) ne rimase tanto costernato che per diversi mesi successivi si lasciò crescere la barba e i capelli, e talora batteva la testa contro le porte “vociferans: Quintili Vare, legiones redde!” (Svetonio, Augusti Vita, 23). Augias, rendi giustizia alla storia! Benedetto Croce ricorda “le contorsioni e le gonfiature dei suoi[1] letterati e storici celebranti Arminio, e Alarico e gli Ottoni e Barbarossa”. Più avanti (capitolo nono) Croce ricorda che quel paese, la Germania, “non aveva omesso di erigere un gran monumento ad Arminio nella selva Teutoburga”.

2 commenti:

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