NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 6 dicembre 2016

Filosofia e Poesia. Lezioni in Mediateca VI



Ma torniamo a “tutto è pieno di dèi”.
Politeismo e monoteismo. Il monoteismo non ammette gli dèi in terra né gli eroi.
Il monoteismo è incompatibile con la democrazia (Alfieri[1], Cacciari).
“Il monoteismo non solo discaccia gli dei dal mondo, ma fa sparire completamente gli eroi: se non vi sono dei, meno che mai vi saranno semidei e soprattutto nessun uomo può essere trattato o venerato al pai di un dio. Gli uomini, tutti, sono “servi del signore”, e se differiscono tra loro, differiscono in forza dei diversi servizi loro assegnati,,,Il monoteismo nell’abbattere gli idoli rovescia anche tutte le gerarchie della terra e riscatta gli uomini da ogni soggezione, li emancipa da ogni potenza che non sia Dio”[2].
Il dramma è che di monoteismo non ce n’è uno solo, e questo ha dato luogo a “una storia sanguinaria. Nei suoi effetti, alla fine, il monoteismo si è rivelato più distruttivo e intollerante del politeismo ”[3].

Il culto più diffuso oggi in Italia però è quello del denaro. Tutto è pieno di merci che “bisogna” comprare.
Sviluppo senza progresso:" E' in corso nel nostro paese…una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani"[4].

Oggi non abbiamo più dèi né Dio ma idoli che derivano dalla morte di Dio. Oggi vige l’idolatria del denaro “Non è un dio nuovo se un’antica sentenza di Publio Sirio[5] dice: “pecuniae unum regĭmen est rerum omnium”, governo unico di tutte le cose. Ma il denaro oggi è certamente divenuto il Dio egemone”[6].
E più avanti: “Al motto - pare del comico Cecilio - homo homini deus, Hobbes[7] preferì quello, a suo parere più realista di Plauto homo homini lupus…E ’ giunto il momento che ogni uomo cominci a trattare tutto quello che esiste, preso nella sua singolarità, come Dio. Ogni cosa è infatti divina nella sua unicità e va rispettata e custodita per quel che è, così come è nella sua irrepetibilità… Dio è questa pianta, questo fiore, quest’uomo… E’ questo, infine, il modo più adeguato per interpretare l’antica sentenza di Talete - tutto è pieno di dei - … sentire divine le cose nient’altro significa se non accostarle con rispetto, venerarle; quest’atteggiamento coincide con la pietas degli antichi e nel presente la prosegue... la pietà soprattutto venera. Il termine greco per pietà è appunto eujsevbeia dal verbo sevbomai che vuol dire mi ritraggo, non entro in territorio sacro… La pietà, infatti, non invade mai lo spazio dell’altro, né si lascia invadere. Muove incontro se si sente chiamata, e poi è tutt’altro che triste, gioisce della felicità dell’altro… Nel mondo contemporaneo sono all’opera potenze antidivine che impediscono di riconoscere il divino. Sono gli idoli che illudono, deludono, deviano. ”[8].

  Cecilio Stazio è un commediografo dell’età di Plauto ma più vicino a Menandro e Terenzio. La sua massima homo homini deus, si suum officium sciat sembra una risposta al lupus est homo homini dell’Asinaria (v. 495) di Plauto. Anticipa quel manifesto dell’humanitas che è il v. 77 dell’Heautontimorumenos di Terenzio:  homo sum:  humani nil a me alienum puto. Una riflessione che deriva dalla curiosità e dalla premura di un essere umano per il prossimo. Cfr. Sofocle Antigone, Edipo a Colono; Virgilio la pietas di Didone e l’antipietas di Enea.  Cfr. anche quel cretino di Renzi-

Curiosità e meraviglia sono stimoli necessari alla volontà di conoscenza e di cultura in generale.

Nell’Odissea il protagonista e i suoi compagni guardano con meraviglia mentre si aggiravano nell’isola del Ciclope mentre vi si aggirano: “nh'son qaumavzonte~ ejdineovmeqa kat j aujthvn”  (IX, 153).

La meraviglia spesso si associa alla curiosità.

Curiosità e meraviglia caratterizzano l’uomo poluvtropo~, versatile[9]  versutus  (Odissea, e Odusia,  I, 1) che è Odisseo, il prototipo dell’uomo occidentale intelligente e prudente: capace di capire e di prevedere. 

Odisseo è uomo tanto avido di conoscere da rischiare la vita più volte per soddisfare questa brama. Infatti le Sirene per attirarlo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose ("kai; pleivona eijdwv"", XII, 188).

Cicerone rileva questo aspetto del canto delle Sirene.
Nel De finibus bonorum et malorum[10] l’autore premette che è innato in noi l’amore della conoscenza e del sapere, e tanto grande che la natura umana vi è trascinata senza l’attrattiva di alcun profitto. Questo si vede dall’episodio odissiaco delle Sirene le quali attiravano i naviganti non per la dolcezza della voce o la novità dei canti “sed quia multa se scire profitebantur” (V, 18), ma poiché dichiaravano di sapere molte cose. Quindi l’Arpinate traduce i vv. 184-191 del XII canto dell’Odissea, e conclude: “Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur, scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupǐdo patriā esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum”, Omero si accorse che il mito non poteva essere approvato se un uomo di quella levatura fosse stato trattenuto irretito da canzoncine, il sapere promettono, e non era strano che a uno bramoso di sapienza fosse più caro della patria. E certamente la brama di sapere tutto, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose. 
Un vero amore per la sapienza spinge Odisseo che sarà un modello per tanti fivloi sofiva~.

Curiosità e meraviglia.
“La curiosità non è la meraviglia, ma ne è la stretta compagna, perché chi si meraviglia è colto da stupore e perciò indotto alla curiosità e all’interrogazione”[11].

Ulisse  dunque è anche un uomo curioso.
Apuleio  ne fa  una prefigurazione del suo Lucio, il protagonista delle Metamorfosi il quale nel mezzo delle tribolazioni asinine, pensa:" Nec ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar... Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (IX, 13), né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il fatto che mi sollevavo con la mia innata curiosità...e non a torto quel divino creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e conoscendo popoli diversi.
Il desiderio di conoscere, l’amore della sapienza di fatto nasce anche dalla curiosità.
L’Odisseo di Omero è un personaggio fondante rispetto alla curiosità e all’amore del sapere, cioè alla filosofia.
Certo, la curiosità buona deve conseguire dei risultati, come quella di Odisseo e quella di Lucio.
“La curiosità invita a percorrere il mondo, ma la curiosità diventa dabbenaggine, perdita di tempo e accidia se non si realizza in una conquista di risultato.
Si può apprendere tutto a partire dal fatto che si sappia fare bene una cosa sola, altrimenti la curiosità diventa peregrinazione superficiale”[12].


CONTINUA



[1] Nel trattato Della tirannide (del 1777) Alfieri distingue la religione cristiana dalla pagana rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato[1], e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti, assai favorevole al vivere libero…La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero…Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religion cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio” (I, 8).
[2] Natoli, Parole della filosofia, p. 167.
[3] Natoli, op. cit., p. 167.
[4] Scritti corsari, p. 286.
[5] Publilio Sirio, mimografo dell’età di Cesare. Vi recitavano anche le donne ndr.
[6] Natoli, Op. cit. , p. 172
[7] Filosofio inglese del Seicento, teorico dell’assolutismo  (Leviathan). Ndr.
[8]Natoli,  Op. cit., p. 173.
[9] Livio Andronico (III a. C.) traduce l’aggettivo greco con versutus (Odusia  fr. 1 Morel) .
[10] Del 45 a. C. E’ un dialogo in cinque libri, dedicato a Bruto, sul problema del sommo bene e del sommo male.
[11] S. Natoli, Op. cit., p. 12
[12] Natoli, Op. cit., p. 50.

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