Ma torniamo a “tutto
è pieno di dèi”.
Politeismo e
monoteismo. Il monoteismo non ammette gli dèi in terra né gli eroi.
Il monoteismo è
incompatibile con la democrazia (Alfieri[1],
Cacciari).
“Il monoteismo non
solo discaccia gli dei dal mondo, ma fa sparire completamente gli eroi: se non
vi sono dei, meno che mai vi saranno semidei e soprattutto nessun uomo può
essere trattato o venerato al pai di un dio. Gli uomini, tutti, sono “servi del
signore”, e se differiscono tra loro, differiscono in forza dei diversi servizi
loro assegnati,,,Il monoteismo nell’abbattere gli idoli rovescia anche tutte le
gerarchie della terra e riscatta gli uomini da ogni soggezione, li emancipa da
ogni potenza che non sia Dio”[2].
Il dramma è che di
monoteismo non ce n’è uno solo, e questo ha dato luogo a “una storia
sanguinaria. Nei suoi effetti, alla fine, il monoteismo si è rivelato più
distruttivo e intollerante del politeismo ”[3].
Il culto più diffuso oggi in
Italia però è quello del denaro. Tutto è pieno di merci che “bisogna” comprare.
Sviluppo senza progresso:" E'
in corso nel nostro paese…una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale
hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la
televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé
negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un grande strumento di
progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo
di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio
culturale per due terzi almeno degli italiani"[4].
Oggi non abbiamo più
dèi né Dio ma idoli che derivano dalla morte di Dio. Oggi vige l’idolatria del
denaro “Non è un dio nuovo se un’antica sentenza di Publio Sirio[5]
dice: “pecuniae unum regĭmen est rerum
omnium”, governo unico di tutte le cose. Ma il denaro oggi è certamente
divenuto il Dio egemone”[6].
E più avanti: “Al
motto - pare del comico Cecilio - homo homini
deus, Hobbes[7] preferì
quello, a suo parere più realista di Plauto homo
homini lupus…E ’ giunto il momento che ogni uomo cominci a trattare tutto
quello che esiste, preso nella sua
singolarità, come Dio. Ogni cosa è infatti divina nella sua unicità e va
rispettata e custodita per quel che è, così come è nella sua irrepetibilità… Dio
è questa pianta, questo fiore, quest’uomo… E’ questo, infine, il modo più
adeguato per interpretare l’antica sentenza di Talete - tutto è pieno di
dei - … sentire divine le cose nient’altro significa se non accostarle con
rispetto, venerarle; quest’atteggiamento coincide con la pietas degli antichi e nel presente la prosegue... la pietà
soprattutto venera. Il termine greco per pietà è appunto eujsevbeia dal verbo sevbomai che vuol dire mi
ritraggo, non entro in territorio sacro… La pietà, infatti, non invade mai lo
spazio dell’altro, né si lascia invadere. Muove incontro se si sente chiamata,
e poi è tutt’altro che triste, gioisce della felicità dell’altro… Nel mondo
contemporaneo sono all’opera potenze antidivine che impediscono di riconoscere
il divino. Sono gli idoli che illudono, deludono, deviano. ”[8].
Cecilio Stazio è un commediografo dell’età di
Plauto ma più vicino a Menandro e Terenzio. La sua massima homo homini deus, si suum officium sciat sembra una risposta al lupus est homo homini dell’Asinaria (v. 495) di Plauto. Anticipa
quel manifesto dell’humanitas che è
il v. 77 dell’Heautontimorumenos di
Terenzio:
homo sum: humani nil a me alienum
puto. Una riflessione che deriva
dalla curiosità e dalla premura di un essere umano per il prossimo. Cfr.
Sofocle Antigone, Edipo a Colono; Virgilio la pietas di Didone e l’antipietas
di Enea. Cfr. anche quel cretino di
Renzi-
Curiosità e meraviglia sono
stimoli necessari alla volontà di conoscenza e di cultura in generale.
Nell’Odissea il protagonista e i suoi compagni guardano con meraviglia
mentre si aggiravano nell’isola del Ciclope mentre vi si aggirano: “nh'son qaumavzonte~ ejdineovmeqa kat j aujthvn” (IX, 153).
La meraviglia spesso si associa
alla curiosità.
Curiosità e meraviglia caratterizzano l’uomo poluvtropo~, versatile[9] versutus
(Odissea, e Odusia,
I, 1) che è Odisseo, il
prototipo dell’uomo occidentale intelligente e prudente: capace di capire e di
prevedere.
Odisseo è uomo tanto avido di conoscere da rischiare
la vita più volte per soddisfare questa brama. Infatti le Sirene per
attirarlo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e
conoscendo più cose ("kai;
pleivona eijdwv"", XII, 188).
Cicerone rileva questo aspetto del
canto delle Sirene.
Nel De finibus bonorum et malorum[10] l’autore premette che è innato in noi
l’amore della conoscenza e del sapere, e tanto grande che la natura umana vi è
trascinata senza l’attrattiva di alcun profitto. Questo si vede dall’episodio
odissiaco delle Sirene le quali attiravano i naviganti non per la dolcezza
della voce o la novità dei canti “sed
quia multa se scire profitebantur” (V, 18), ma poiché dichiaravano di
sapere molte cose. Quindi l’Arpinate traduce i vv. 184-191 del XII canto dell’Odissea, e conclude: “Vidit Homerus probari fabulam non posse, si
cantiunculis tantus irretitus vir teneretur, scientiam pollicentur, quam non
erat mirum sapientiae cupǐdo patriā esse cariorem. Atque omnia quidem scire,
cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum”, Omero si accorse che il mito non
poteva essere approvato se un uomo di quella levatura fosse stato trattenuto
irretito da canzoncine, il sapere promettono, e non era strano che a uno
bramoso di sapienza fosse più caro della patria. E certamente la brama di
sapere tutto, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose.
Un vero amore per la sapienza
spinge Odisseo che sarà un modello per tanti fivloi sofiva~.
Curiosità
e meraviglia.
“La
curiosità non è la meraviglia, ma ne è la stretta compagna, perché chi si
meraviglia è colto da stupore e perciò indotto alla curiosità e all’interrogazione”[11].
Ulisse dunque è anche un uomo curioso.
Apuleio ne fa
una prefigurazione del suo Lucio, il protagonista delle Metamorfosi il quale nel mezzo delle
tribolazioni asinine, pensa:" Nec
ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi
curiositate recreabar... Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud
Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et
variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (IX, 13),
né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il
fatto che mi sollevavo con la mia innata curiosità...e non a torto quel divino
creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma
saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e
conoscendo popoli diversi.
Il desiderio di conoscere, l’amore
della sapienza di fatto nasce anche dalla curiosità.
L’Odisseo di Omero è un
personaggio fondante rispetto alla curiosità e all’amore del sapere, cioè alla
filosofia.
Certo, la curiosità buona deve
conseguire dei risultati, come quella di Odisseo e quella di Lucio.
“La curiosità invita a percorrere
il mondo, ma la curiosità diventa dabbenaggine, perdita di tempo e accidia se
non si realizza in una conquista di risultato.
Si può apprendere tutto a partire
dal fatto che si sappia fare bene una cosa sola, altrimenti la curiosità
diventa peregrinazione superficiale”[12].
CONTINUA
[1] Nel trattato Della tirannide (del 1777) Alfieri distingue la religione cristiana
dalla pagana rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La
religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del
cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato[1],
e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti,
assai favorevole al vivere libero…La cristiana religione, che è quella di quasi
tutta la Europa ,
non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione
riesce incompatibile quasi col viver libero…Ed in fatti, nella pagana
antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti
comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la
religion cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e
già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca
obbedienza; non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o
laico sia egli) interamente assimila a Dio” (I, 8).
[2] Natoli, Parole della filosofia, p. 167.
[3] Natoli, op. cit., p. 167.
[4] Scritti corsari, p. 286.
[5] Publilio Sirio, mimografo dell’età di
Cesare. Vi recitavano anche le donne ndr.
[6] Natoli, Op. cit. , p. 172
[7] Filosofio inglese del Seicento, teorico
dell’assolutismo (Leviathan). Ndr.
[8]Natoli,
Op. cit., p. 173.
[9] Livio Andronico (III a. C.) traduce
l’aggettivo greco con versutus (Odusia
fr. 1 Morel) .
[10] Del 45 a . C. E’ un dialogo in cinque libri,
dedicato a Bruto, sul problema del sommo bene e del sommo male.
[11] S. Natoli, Op. cit., p. 12
[12] Natoli, Op. cit., p. 50.
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