giovedì 28 settembre 2017

Il clientelismo e la raccomandazione sono antichi vizi italici

Un bravo docente è una brava persona.
Brava nel suo lavoro con il quale deve accrescere le conoscenze degli allievi attraverso il suo sapere coltivato con lo studio, con l’apprendimento e con l’intelligenza, poi deve suscitare energie morali nei giovani, e raffinarne il gusto. Insomma comunicare conoscenze, valori etici ed estetici. Deve amare la sua disciplina e amare i discepoli.
Come mai ora ci troviamo di fronte questa scuola disastrata a tutti i livelli? Per quanto riguarda i licei, dove ho insegnato durante una quarantina di anni, il problema di fondo è la scarsa preparazione di molti, troppi professori. Una volta questi venivano controllati ed eventualmente rifiutati non solo da prove piuttosto dure, a partire dall’esame di maturità, ma anche dagli stessi studenti che leggevano e studiavano assai più di oggi.

La mia esperienza è relativa al liceo classico dove ho insegnato latino e greco.
Per quanto riguarda l’Università, ho esperienza di corsi che ho tenuto, a contratto, nelle SSIS, per dieci anni a Bologna, per un trimestre a Urbino, per un altro a Bressanone. Ora tengo conferenze e corsi in biblioteche, licei, e università.
Nelle SSIS dovevo insegnare a insegnare, un mestiere che ho dovuto imparare sul campo. Molto ho imparato dai miei studenti: homines dum docent, discunt.
Dai non molti contatti avuti con i “baroni” devo dire che ne ho incontrati di vario livello culturale e umano. Posso aggiungere che ho ricevuto qualche aiuto da alcuni docenti ordinari illuminati senza che avessi nulla da poter dare in cambio, proprio nulla, a parte lezioni seriamente preparate per gli studenti. Avevano capito, anche dalle mie pubblicazioni, che studiavo molto e sapevano che ero stimato da chi mi ascoltava.
Sono certo del resto che gran parte dei concorsi in Italia vengono truccati se aprono le porte a posti di privilegio e di potere.

Ma facciamo un poco di storia per i più giovani: "Nescire quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum" ( Cicerone, Orator 120), non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un fanciullo.
Il vizio tipicamente italico della raccomandazione secondo me risale al rapporto patrono cliente codificato già nelle leggi delle XII tavole del 451-450 con queste parole: Patronus si clienti fraudem fecerit, sacer esto " (VIII, 2) sia maledetto il patrono se ha commesso una frode contro il cliente.
Tito Livio, sotto Augusto, il princeps che voleva ripristinare gli antiqui mores, celebra questo antico codice definendolo fons omnis publici privatique iuris ( Ab urbe condita libri III, 34, 6), fonte di ogni diritto pubblico e privato.
Virgilio, un altro autore che sostiene il potere di Augusto e gli fa una propaganda smaccata, con uno stile egregio del resto, caccia nel Tartaro tra i grandi peccatori quelli dai quali è stata ordita una frode al cliente: hic quibus (…) fraus innexa clienti (Eneide VI, 608-609). E’ il completamento “squisitamente” italico che il Mantovano fa all’elenco dei peccatori presente nelle Rane di Aristofane (vv. 145-150).
Nell prima Bucolica Virgilio racconta la storia di una raccomandazione: dialogano due pastori uno dei quali ha perso per sempre la sua terra, l’altro l’ha recuperata grazie a un incontro fatto a Roma con un uomo di potere. Dunque il clientelismo con l’annessa raccomandazione è un proprium et peculiare vitium della nostra gente.

La maggior parte delle leggi restano lettera morta ma la raccolta più antica, questa arcaica culla e fonte del clientelismo, è rimasta vigente.
“Il rapporto clientelare si configura come un’organizzazione mafiosa che garantisce l’omertà, e il successo dei disonesti”, ebbe a scrivere Luciano Perelli[1].
Tra gli articoli comparsi oggi ho apprezzato in particolare quello di Tomaso Montanari che chiede una levata di scudi da parte dei professori onesti i quali dovrebbero costituirsi parte civile nei processi che probabilmente si faranno “per far capire senza equivoci che le vittime non sono solo i meritevoli umiliati ed esclusi, ma tutta la comunità universitaria”.
Mi scuso per avere parlato di me stesso ma ho voluto significare che le mie osservazioni hanno un fondamento in una lunghissima esperienza della scuola di ogni ordine e grado: la frequento dal primo ottobre del 1950 e non ho ancora smesso perché l’ho sempre amata. Se avrò un’altra possibilità su questa terra, rifarò tutto quello che ho fatto, magari anche meglio.



giovanni ghiselli

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[1] La corruzione politica nell’antica Roma, p. 31

1 commento:

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