domenica 3 settembre 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XIV parte


La stoa sulla difensiva (p.359)
Lelio fu conquistato dalla Stoà. Panezio fu allievo di Diogene di Seleucia e pure di Cratete di Mallo che poi ttenne a Pergamo un magistero filologico.
Cratete fu il principale rappresentante della scuola pergamena, che prende il nome dalla città di Pergamo, e della filosofia stoico - platonica e di tendenza anomalista. Seguace di Diogene di Seleucia (240 - 150), si avvicinò allo stoicismo.Inviato, nel 168 a.C. da Attalo II a Roma come ambasciatore, riunì un folto gruppo di allievi ai quali diffuse gli insegnamenti della scuola di Pergamo.

Diogene fu scolarca stoico ad Atene e dopo di lui Antipatro. Antipatro scriveva più che parlare e fu soprannominato “calamo urlante”. Panezio fu il suo allievo prediletto. Diogene scrisse un Peri; fonh'", intorno all’espressione linguistica. In Cratete divennero preminenti gli interessi filologici. Del resto volle compenetrare la filologia di spirito filosofico anticipando Nietzsche. Si definiva kritikov" per significare che l’interpretazione dells poesia deve essere giudicante (krivnw).
 Cercava negli scritti le tracce del logos divino. Pensava che Omero e gli antichi fossero depositari di conoscenze più pure e genuine. Il suo metodo allegorizzante interpretava gli dèi omerici come forze della natura. Omero avrebbe già avuto l’intuizione delle conoscenze scientifiche uccessive come la sfericità della terra e le lunghe e le corte notti polari.
Cratete utilizzò le anomalie della lingua già notate da Crisippo per combattere l’analogia degli Alessandrini. L’utilità e la bellezza della lingua richiedono non la pedantesca regolarità ma il libero sviluppo e la varietà. Andò a Roma nel 168 sub ipsam Enni mortem.
Diogene stoico riprese da Platone l’idea che la musica esprime un determinato ethos e ha forza psicagogica, potenza educativa
Diogene e Panezio manifestarono dubbi sulla ejkpuvrwsi".
Antipatro esaminò il matrimonio e ravvisò un segno di decadenza nella moda dell’età che esaltava la vita dello scapolo come una vita da dèi (cfr.caelibes - caelites negli Adelphoe di Terenzio)
 Insegnava che sposarsi e avere figli è un dovere verso lo Stato e verso la patria. Apriva la strada a una valutazione nuova della donna.


Parte seconda Il periodo di mezzo della Stoa. La stoà come forza spiritale dominante nel mondo greco - romano. Panezio infuse uno spirito nuovo nella Stoà . L’ellenizzazione della Stoa: Panezio 

Panezio è il fondatore della Media stoà.
Era di Rodi, di sangue greco dorico. Nacque intorno al 185 da famiglia nobile e ricca. Ad Atene seguì le lezioni di Diogene e di Antipatro. Polibio lo segnalò a Scipione e Panezio entrò nel circolo. Fu amico di Scipione e di Lelio. Si impadronì del latino. Polibio lo spinse a capire meglio il presente attraverso lo studio della storia Poi tornò ad Atene e nel 129, alla morte di Antipatro, assunse la direzione della scuola.
Il suo capolavoro Peri; tou' kaqhvkonto", Sul dovere, uscì dopo il 129. Ebbe molti discepoli. Il più importante fu Posidonio di Apamea. Morì intorno al 100.
Si sentiva più vicino al divino Platone e ad Aristotele che a Zenone e a Crisippo. La Stoà derivava da Socrate come l’Accademia e il Peripato.
Da aristocratico uomo di mondo, rifiutava la discendenza dai Cinici. A Roma, per effetto di Panezio, gli Stoici venivano chiamati socratici (p. 395) Scrisse Intorno alla Pronoia. Peri; pronoiva". Essa è una forza creatice dotata di senso del bello. L’uomo è il coronamento del creato. Ha la stazione eretta perché il suo spirito non aderisce al suolo (p.99)
Nella V cornice del Purgatorio di Dante, le anime degli avari e dei prodighi piangevano stese a terra e recitavano il versetto del Salmo CXIX: “adhaesit pavimento anima mea” (XIX, v. 72)
 Il corpo umano è lo strumento del logos. Poiché l’uomo è logikovn ti zw'/on, bisogna che il corpo umano sia stato costruito come o[rganon, strumento appropriato alla necessità del logos.
Panezio fu il primo a dare valore all’uomo estetico che è capace di apprezzare la bellezza del mondo e pure di crearla con le sue mani
Panezio non condivide l’idea della Stoà antica che il mondo è stato creato per l’uomo; celebra piuttosto, come Sofocle, la grandezza dell’uomo che è riucito a farsi padrone degli animali e delle piante, della terra e del mare e del mondo intero” (p. 401)
Non concordo con questa interpretazione del I stasimo dell’Antigone, dove il Coro afferma sì che l’uomo si è impdronito del mondo e degli animali ma non è riuscito a vincere la morte e rimane un’ombra che passa sulla terra e se con la sua audacia offende il bello morale deve essere cacciato dalla polis.
excursus
La vita umana come ombra e sogno.
Non è l'uomo comunque sogno di un'ombra? E' questa una considerazione che va da Pindaro:" skia'" o[nar/a[nqrwpo""[1]; a Sofocle che nell'Aiace fa dire a Ulisse, preso da rispetto e compassione per il nemico precipitato nella follia :" JOrw'' ga;r hJ ma'" oujde;n o[nta" a[llo plh;n - ei[dwl j, o{soiper zw'men, h] kouvfhn skiavn "(vv.125 - 126) vedo infatti che non siamo altro che larve, quanti viviamo, o muta ombra; a Shakespeare nel Macbeth fa dire al protagonista prossimo alla fine:"Life's but a walking shadow; a poor player, That struts and frets his hour upon the stage, And then is heard no more: it is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifyng nothing" (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sulla scena nella sua ora e poi non se ne parla più: è la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di furia, che non significa nulla.
Prospero nella La tempesta (del 1612) conclude :" We are such stuff/as dreams are made on; and our little life/is rounded with a sleep", Noi siamo fatti con la materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1).

 Per la fede personale di Panezio, il logos rimase l’unica divinità, tuttavia distinse tre categorie di figure divine : le forze naturali personificate (gevno" fusikovn), gli dèi della religione pubblica (gevno" politikovn) e gli dèi del mito (gevno" muqikovn). Fondò così la tripertita theologĭa che fu utile alla teologia razionalistica dei Romani
Non credette che l’anima sopravvivesse alla morte. Negò esplicitamente l’immortalità individuale anche se ciò lo metteva in contrasto con il prediletto Platone (p. 405)
 Da stoico eretico Panezio sostenne che anche la salute e il favore delle circostanze concorrono alla eudaimonia. Gli sembrava assurdo considerare un adiaforon la salute se il logos per agire ha bisogno del corpo.
Diogene Laerzio (VII, 128) scrive che Panezio e Posidonio oujk autavrkh levgousi th;n ajrethvn, ajlla; creivan ei\naiv fasi kai; uJgieiva" kai; corhgiva" kai; ijscuvo", non dicono che la virtù basta a se stessa, ma affermano c’è necessità anche di salute e di abbondanza di mezzi e di forza Comunque solo il bene morale è il vero bene dell’uomo movnon to; kalo;n ajgaqovn cfr. Cic. Off. I, 66. II, 12. Il dolore deve essere vinto irrobustendo il corpo e l’anima: il logos non deve lasciarsene ostacolare nell’adempimento dei suoi compiti morali.
Si ispirarono a Panezio gli artisti rodiesi del gruppo del Laocoonte che vuole salvare i figli, incurante delle proprie sofferenze e il suo grido di dolore non è un urlo bestiale.
Cfr. J. J. Winckelmann:" Infine, la generale e principale caratteristica dei capolavori greci[2] è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell'espressione…la nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue greche costituiscono il vero segno caratteristico degli scritti greci dei tempi migliori…"[3].
Panezio cercò di vivere una vita condotta conformemente alle risorse dateci dalla natura; “to; zh'n kata; ta;" dedomevna" hJmi'n ejk fuvsew" ajformav"”.


CONTINUA



[1] Pitica VII, vv. 95 - 96.
[2] Viene fatto l’esempio del Laocoonte (Aghesandro, Polidoro, Atanadoro, metà del I sec. a. C. Si trova nei Musei Vaticani): “Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata. Quest’anima, nonostante le più atroci sofferenze, si palesa nel volto del Laocoonte…Il dolore che si mostra in ogni muscolo e in ogni tendinedel corpo…non si esprime affatto con segni di rabbia nel volto o nell’atteggiamento. Il Laocoonte non grida orribilmente come nel canto di Virgilio…Laocoonte soffre; ma soffre come il Filottete di Sofocle: il suo patire ci tocca il cuore, ma noi desidereremmo poter sopportare il dolore come quest’uomo sublime lo sopporta”. Il verso incriminato di Virgilio è “clamores simul horrendos ad sidera tollit” (Eneide, II, 222), nello stesso tempo lancia grida orrende alle stelle.
[3] J. J. Winckelmann, Pensieri sull'imitazione dell'arte greca (del 1755), p. 29 - 30 e p. 32.

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