giovedì 11 gennaio 2018

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 12

Sir Lawrence Alma-Tadema
A Difference of Opinion

Le parole insomma servono ad avvicinare e conservare la donna.
Viceversa nei Remedia Amoris il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.
"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./Quam mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae"/ (nec tamen, ut vere confiteamur, erant);/ "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae"/ (et tamen, ut vere confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat),/ "quam multum poscit amantem";/haec odio venit maxima causa meo./ Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit./ Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur;/in gracili "macies" crimen habere potest./Et poterit dici "petulans" quae rustica non est;/et poterit dici "rustica", si qua proba est " (vv. 315-330), mi ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è scura "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa.
quam multum poscit (v. 321): ecco il difetto più odioso per l'amante poiché l'utile è valutato più del bello e del buono.

Una riflessione che si trova anche in Machiavelli il quale consiglia al suo principe di evitare quello che anche secondo lui è il difetto più odioso: "ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio"[1]. Citeremo ancora l'autore de Il Principe poiché Ovidio è il maestro, se vogliamo il cattivo maestro, dello sganciamento di un'attività, l’amore nel suo caso, dalla morale.

et mala sunt vicina bonis (v. 323): basta spostare un poco il punto di vista, come quando si è in movimento, anche soltanto con la bicicletta, e si osserva un paesaggio montuoso, perché le forme cambino e si trasfigurino.

Questo avviene non solo nel campo della percezione fisica o estetica ma anche in quello della interpretazione morale: "Unnatural vices/are fathered by our heroism. Virtues/ are forced upon us by our impudents crimes"[2], afferma il classicista T. S. Eliot, vizi innaturali hanno come padre il nostro eroismo. Virtù ci sono imposte dai nostri impudenti delitti.
Già Machiavelli aveva indicato questa confusione di virtù magari deleterie e vizi che possono creare il bene: "se si considererà bene tutto, si troverà qualche cosa che parrà virtù, e, seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo" [3].

in peius (v. 325): il pessimismo è quasi sempre legato a frustrazioni vitali, soprattutto amorose, lavorative e di salute.

Un'eco di questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile.-
rustica (vv. 329 e 330): si ricordino le riflessioni che abbiamo fatto sulla rusticitas che può essere cosa buona o cattiva a seconda di come la si prende.

A volte, controbatto, la seduzione della bellezza femminile o maschile, insomma l'inganno di Cipride, porta aiuto a chi subisce o lo infligge: così è nel poema di Apollonio Rodio dove Fineo consiglia agli Argonauti: cercate l'aiuto della dea Cipride che inganna: in lei infatti sta il compimento glorioso delle vostre fatiche (Argonautiche, II, 423-424). L’aiuto lo darà effettivamente Afrodite agli eroi del vello d’oro facendo innamorare Medea di Giasone.
 Già Saffo chiede aiuto ad Afrodite invocandola come dolovploke, tessitrice di inganni (I D, v. 2).

Continuiamo ancora un poco con i Remedia amoris Ovidio il quale consiglia pure di mettere in imbarazzo l'amata spingendola in situazioni dove non si trovi a suo agio:"Quin etiam, quacumque caret tua femina dote,/hanc moveat, blandis usque precare sonis:/ exige uti cantet, si qua est sine voce puella; /fac saltet, nescit si qua movere manum;/barbara sermone est, fac tecum multa loquatur;/non didicit chordas tangere, posce lyram;/durius incedit, fac inambulet; omne papillae/pectus habent, vitium fascia nulla tegat;/si male dentata est, narra, quod rideat, illi;/mollibus est oculis, quod fleat illa refer " (Remedia Amoris , 331-340), anzi, di qualsiasi qualità sia priva la tua donna, pregala continuamente con toni di lusinga che eserciti questa: pretendi che canti, se è una ragazza senza voce; falla danzare, se è una che non sa muovere una mano; se è rozza nel modo di esprimersi, falla parlare molto con te; non ha imparato a toccare le corde, chiedile di suonare la lira; cammina goffamente, falla passeggiare; i capezzoli occupano tutto il petto, nessun reggiseno copra il difetto; se ha una dentatura brutta, raccontale qualcosa di cui rida; se è di occhi piagnucolosi, dille qualcosa di cui pianga.-precare (v. 332): imperativo di precor. Viene consigliata una diabolica, sistematica distruzione della creatura oggetto di amore-odio, conseguenza dell'amare senza bene velle e della cattiva competizione tra i sessi.

Secondo Pavese questa strategia è concepita e messa in atto sistematicamente dal "popolo nemico" delle donne per annientare gli uomini:"Una donna che non sia una stupida, presto o tardi, incontra un rottame umano e si prova a salvarlo. Qualche volta ci riesce. Ma una donna che non sia una stupida, presto o tardi trova un uomo sano e lo riduce a rottame. Ci riesce sempre"[4].

Per la distinzione tra amare e bene velle, cfr. il carme 72 di Catullo
LXXII
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut natos diligit et generos.
nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
'qui potis est?' inquis. quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene velle minus.



CONTINUA



[1]Il Principe, 17.
[2]Gerontion, vv. 47-49).
[3]Il Principe, 15.
[4]Il mestiere di vivere , 3 agosto 1937.

1 commento:

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