martedì 24 luglio 2018

L’"Ulisse" di Joyce. 6

Odissea Libro I: Atena e Telemaco

Odissea I
Atena travestita da Mente re dei Tafi si reca da Telemaco per farlo crescere e indurlo a cercare il padre mentre la sua casa è occupata e saccheggiata dai proci, i pretendenti superbi mnhsth're" ajghvnore".
Corrispondono agli inglesi che mangiano il rostbeef fatto con la carne degli animali irlandesi
I proci e[donte" fqinuvqousin oi\kon, mangiando mandano in rovina la casa (250). Atena consiglia il ragazzo di andare prima a Pilo per interrogare il saggio Nestore, poi a Sparta, para; xanqo; n Menevlaon.
Gli dice che non deve fare il bambino poiché non ne ha più l’età. La dea fa al ragazzo l’esempio di Oreste.
Anche Dedalus dipende dalla madre, pur morta
Telemaco, dopo le ammonizioni ricevute, trova il coraggio di opporsi alla madre la quale vorrebbe impedire a Femio di cantare i nostoi che la fanno soffrire. Ma Telemaco le dice: lascialo fare siccome ajoidh; neotavth è il più apprezzato dagli uomini. Penelope stupefatta dal coraggio del figlio tornò nelle sue stanze. Dedalus invece per ora non cresce.

Eolo il giornale pp. 162-204- 104- VII capitolo
In the Heart of Hibernian metropolis
Detto ironicamente. Before the Nelson’s pillar, davanti alla colonna di Nelson trams slowed i tram rallentavano e i furgoni postali di sua Maestà portavano sui fianchi E. R. le iniziali regali. Segni della dominazione inglese. Siamo nella redazione di un giornale, Freeman’s Journal. Cupi tonfi dei barili di Guinness rotolati fuori dai magazzini poi cupi tonfi delle macchine thumping thump. Machines smash fracassano-a man to atoms if they got him caught. Rule the world today, oggi governano il mondo 165-106.

Bloom cerca di procurare inserzioni pubblicitarie al giornale. Le macchine sembrano avere preso la mano all’uomo. Un settimanale si regge sulle inserzioni pubblicitarie e sulle notizie accessorie, non sulle notizie stantie della gazzetta ufficiale 165
Its the ads and side features sell- fa vendere un settimanale- a weekly. 106
Ancora thump, thump thump delle macchine. Se a quello che le controlla prende un colpo, continuerebbero a sferragliare lo stesso a stampare di qua e di là, su e giù print it over and over and up and back 107. Want a cool head, ci vogliono nervi saldi. Bloom viene umiliato e offeso. Vide il volto giallastro del proto, mi pare che abbia un po’ di itterizia. Intanto la macchina sferraglia clink it. clank it. Chilometri di carta. Impacchetteranno la carne.
Cfr. Catullo 95, 7-8
at Volusi annales Paduam morientur ad ipsam
 et laxas scombris saepe dabunt tunicas.
Ma gli Annali di Volusio morranno lì a Padova e forniranno larghi involucri per incartocciare gli sgombri
Mi permetto di segnalare un riuso da me fatto di questi versi


La lettera del marito, utile per incartare le noccioline o, forse, gli sgombri

Poi continuai: “Kaisa volentieri(1) morirei, piuttosto che rinunciare a te”.
Intanto stavo seduto con il braccio destro, ingessato, che pendeva verso il pavimento. Con quel gesto di resa volevo mimare la desolazione di un topos ricorrente nelle arti figurative: risale a un sarcofago romano con la morte di Meleagro e viene riusato da Raffaello nella Deposizione dove si vede il braccio esanime del Cristo defunto, abbandonato nell’impotenza della morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie mani la mano di Gesù(2). Ero deciso a recitare un’altra volta la commedia della simulazione di credere che la bella immacolata non potesse essere disposta a commettere il delitto erotico dell’infedeltà coniugale. Dovevo anche dissimulare il fatto che ero convinto del contrario, senza farle escludere del tutto, però, che lo speravo ardentemente.
Sicché dissi queste parole quasi ridicole;
“Ti parlerò in modo ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla tua persona. Ho riflettuto mentre scendevo e salivo le scale. Una catabasi non proprio infernale e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te, amore mio.
Ho elaborato con il pensiero le percezioni impresse sui sensi.
Tu, come un angelo mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata, e ora quest’anima appena risorta non può procedere senza di te, ma rischia di tornare ad aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto buio come il Tartaro, compiendo, per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro che una sinistra e inconcludente congerie di gesti insensati.
 Eppure credo sia meglio soffocare nel petto questo sentimento d’amore, povero amore mio chiuso nell’animo senza speranza, piuttosto che fare torto alla tua immagine, senza dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa, fedele, cara al marito, al figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. A me più di tutti”.
 Così la adulavo senza decenza. E data la sua attenzione, non smettevo, anzi rincaravo la dose fino al ridicolo pieno, e oltre.
La provocavo per vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se mi avrebbe chiesto di non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi spalancati, un lieve sorriso, e non parlava. Finché lei stava zitta, io non dovevo smettere.
“Sì, preferisco fare del male a me stesso: soffocare la felicità immaginata solo guardando i tuoi occhi pieni di vita, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli luminosamente neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di donna maritata cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione speciale, religiosa, quella riservata alle spose sante. Io santo purtroppo non sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro veneratore di Priapo e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia sussurrato amen, insomma ho menato una vita da briccone coribantico, ma, da quando ti ho vista, sono diventato un pentito, un penitente, un convertito dalla carne allo spirito, dal naturale al soprannaturale del quale vedo un riflesso chiaro, meraviglioso nella tua icona veneranda”.

Quasi credevo a quanto dicevo recitando forse neanche male. E quasi piangevo. O per lo meno gli occhi mi si velavano di un liquido equivoco tra il sentimentale, rossa umidità di cuore, e l’umidità fremente della libidine che, dentro di me, nera, pelosa e massiccia, scalpitava davvero con furia impudica (3) e tirava forte verso la pelle bianchissima, liscia di lei.
Certo è che Kaisa lo capiva e la cosa non le dispiaceva, anche perché celebrando la sua fedeltà, le toglievo comunque ogni timore di essere importunata: se avesse risposto che il marito faceva bene a fidarsi di lei, poiché la amava del tutto riamato, la preda agognata e mancata mi avrebbe fatto fuggire con la coda tra le gambe e le orecchie abbassate. Siccome un cagnaccio pieno di zecche, bastonato e sciancato.
Invece disse: “Tu non mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.
E mi accarezzò la mano destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così sperticati perché fino ad ora non hai trovato una donna del tuo stampo, della tua levatura, capace di respirare il bello e l’arte, come sei solito fare tu”.
“Ce l’ho fatta”, pensai e dissi:
“Infatti sentivo questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo tu potresti colmare. Tu respiri il bello e me lo ispiri”. E aggiunsi: “se solo guardo te, tutto il resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio di gioia”.
La commedia funzionava perché era fatta non solo di calcoli, pose e citazioni, ma anche e soprattutto di simpatia autentica, forte, reciproca.



CONTINUA

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