mercoledì 28 novembre 2018

Debrecen. Capitolo 5


L’Aranybika, il Grand Hotel di Debrecen

Sopra il portone dell’ingresso formicolante, nereggiava un’insegna fatta di pezzi disposti a formare un cerchio. Mi avvicinai. La semicirconferenza superiore era costituita dalle lettere H O T E L, l’nferiore da quelle più piccole e fitte di una parola lunga e illeggibile. Mentre cercavo di chiarirmi la scritta, questa si accese con un’esplosione di luce. La parola strana era Aranybika, la figura interna al cerchio quella di un un toro. Significa “toro d’oro” come seppi più avanti. Mi venne in mente la maxima victima di Virgilio[1].
Entrai nell’atrio che brulicava di gente diretta al ristorante con pista da ballo.
Andai dall’altra parte dove c’era il portiere, un uomo d’aspetto civile. Gli domandai se parlasse italiano. Con mia sorpresa rispose di sì. Contento di tale successo, gli chiesi dove fosse l’università. Io era uno studente borsista, dell’Università di Bologna.
Non sapevo ancora, ma lo speravo, che le vere borse di studio sarebbero state le donne che avrei conosciuto, meravigliosamente[2] a Debrecen e altrove altre ancora[3].
Il portiere mi rispose che di notte il collegio era chiuso: potevo andarci la mattina seguente; lui mi avrebbe indicato la strada. Intanto potevo dormire nell’hotel, per venti dollari.
“Con quell’ambiguo sorriso da prosseneta[4], tira a fregare” pensai. “Un collegio universitario dove gli studenti mangiano e dormono, non può essere chiuso alle otto e mezzo. Però non ho scelta: in questo paese da solo, di notte, non me la cavo”.
“Va bene”, dissi, “prendo una camera”.
Gli diedi il passaporto e il denaro. Poi gli chiesi di spiegarmi, comunque subito, dove fosse l’Università. Mi allungò la chiave, e, con riluttanza, disse che dovevo prendere il tram numero uno nella direzione del grande tempio. Cercai la camera per posarvi il bagaglio ma non la trovavo. Mi sentivo incluso in un labirinto di nuovo genere[5].
Dovetti tornare indietro per farmi indicare la stanza una seconda volta, Dopo l’estorsione dei dollari, quel portiere di notte mi era diventato antipatico. Anzi, tutto l’ambiente di quell’hotel pretenzioso e pitocco mi era poco simpatico.

Pensai di verificare subito l’informazione di cui diffidavo,
Salii sul tram numero uno in direzione dell’Università, ma, superato il grande Tempio, le rotaie si allungavano in una strada disperatamente nera e deserta. Scesi alla prima fermata e tornai indietro di corsa, per quanto me lo consentiva la pancia.
Non avevo la forza di saltare la cena ma non volevo mangiare all’Aranybika.
Preferii tornare all’Hungaria dove il cameriere era più rozzo del necessario, e sgarbato, ma non truffaldino e ricattatorio. Così al primo impatto il toro d’oro, mi diede un piccolo dispiacere. Provengo da gente parsimoniosa e lo sono anche io, ma più che per i venti dollari ero dispiaciuto per la truffa e il ricatto di quel portiere truffatore.
Eppure non ero del tutto scontento: intanto avevo trovato una camera e un letto dove passare la notte. Tornato sulla strada principale anzi mi sentivo quasi contento. Probabilmente antivedevo e pregustavo il futuro.
Stavo smaltendo la sbornia della paura.
Infatti con il passare del tempo, anni di tempo, e nel lungo progresso della mia persona, proprio lì, nel grande hotel della città della puszta, avrei vissuto diverse ore piacevoli e importanti per la mia crescita, in compagnia di alcune delle donne belle e fini che dovevano stimolarmi a maturare, diventando quello che sono: una persona non infelice, non brutta, non cattiva. Adesso il grande albergo di Debrecen è un monumento duraturo più delle sue mura, un tempio edificato dentro l’anima mia. In un tabernacolo contiene la memoria di alcune tra le ore più intense della mia gioventù, un ricordo che nei momenti difficili in quanto deserti di affetti, mi incoraggia a procedere verso tempi migliori che, come quelli meno buoni del resto, ricorrono sempre. Rebus cunctis inest quidam velut orbis[6]

giovanni ghiselli

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[1] Georgiche, II,146-147:"et maxima taurus/victima " .
[2] Cfr. D’Annunzio, Maia, Laus Vitae (II) : “E vi furono altre ancora;/e meravigliosamente/io le conobbi.
[3] Cfr. Tess of the D'Ubervilles di T. Hardy, dove Angel Clare si rivolge a Tess dicendole: " darling, the great prize of my life-my Fellowship" (XXXII), cara, il più grande premio della mia vita, la mia borsa di studio.
[4] Cfr. D’Annunzio: “riso ambiguo di prossenèti/ e frode (…) in agguato” (Laus Vitae, V)
[5] Cfr il timore di Encolpio:"quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi, quibus lavari iam coeperant votum esse? " ( Satyricon, 73), cosa possiamo fare uomini disgraziatissimi e rinchiusi in un labirinto di nuovo tipo, per i quali lavarsi già cominciava ad essere un miracolo?
[6] E’ l’idea del ciclo che Tacito applica ai costumi :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.

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