martedì 13 novembre 2018

Seneca, "Lettere a Lucilio", da 1 a 54. PARTE 5

Pirandello

Parte della conferenza tenuta il 19 novembre 2018 nella biblioteca Ginzburg (via Genova, 10 Bologna) 

33  Le massime dei filosofi
Le massime dei filosofo non appartengono a nessuno in particolare: publicae sunt et maxime nostrae. Anche Epicuro ne ha lasciate alcune piene di forza. Si notano maggiormente poiché capitano di rado: mirum est fortiter aliquid dici ab homine mollitiam professo (2), da un uomo che ha fatto professione di mollezza
 Ita enim plerique iudicant: apud me Epicurus est et fortis, licet manuelatus sit, sebbene indossi vesti con le maniche lunghe, da donna.
 Hoc Zenon dixit”. Tu quid? “Hoc Cleanthes” , tu quid? Qousque sub alio movēris? (33, 7)
Aliud est meminisse, aliud scire (8)

Infatti "Soltanto il pensiero vissuto ha valore"[1].
Le azione si preparano con il pensiero e con la parola. Ciò che è verbale deve diventare reale in termini di comunicazione produttiva: "aveva visto che la sua esperienza era reale. Era irradiata da lui e l'aveva mutato, aveva attirato verso di lui un'altra creatura umana. Il suo isolamento era infranto…"[2].

Numquam autem invenietur, si contenti fuerimus inventis (33, 10)
Qui ante nos ista moverunt non domini nostri sed duces sunt, non sono padroni nostri ma guide. Patet omnibus veritas. Nondum occupata est (33, 11). La verità è accessibile a tutti.

34  Mi congratulo con te e ti esorto a continuare
Adsĕro te mihi; meum opus es, ti attribuisco a me; sei opera mia.
Pars magna bonitatis est velle fieri bonum (34, 3)

35 L’amicizia non può sorgere che tra uomini virtuosi
 Qui amicus est amat; qui amat non utĭque amicus est, itaque amicitia
semper prodest, amor aliquando nocet (35, 1)
Cfr. amare e bene velle di Catullo 72
Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror
Multo mi tamen es vilior et levior
“Qui potis est?” inqus. Quod amantem iniuria talis
Cogit amare magis, sed bene velle minus (5-8)

Cogita te mortalem esse, me senem (35, 3) Propera ad me, sed ad te prius (4). Mutatio voluntatis indicat animum natare, aliubi atque aliubi apparire, prout tulit ventus, il cambiamento di volontà mostra che l’animo ondeggia, ora si mostra in un luogo, ora in un altro, secondo dove lo ha portato il vento.

“La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una foglia secca che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando nel suolo. Ma altri pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.
Migliaia di giovani ascoltano ogni giorno la dottrina del Gotama, il Sublime, il predicatore della nuova scienza, e seguono le sue prescrizioni. Eppure sono tutte foglie secche, non hanno in se stesse la dottrina e la legge” (H. Hesse, Siddharta, p. 89)
“Tu non puoi amare” gli aveva detto Kamala nei giorni lontani della giovinezza, ed egli le aveva dato ragione e aveva paragonato se stesso ad una stella fissa e gli uomini-bambini a foglie cadenti, e ciò nonostante aveva percepito in quelle parole anche un suono di rimprovero. Infatti egli non aveva mai potuto perdersi e consacrarsi interamente a un’altra creatura, commettere pazzie per l’amore di qualcuno; mai aveva potuto far qualcosa di simile, e questo era stato- così gli era parso allora- la gran differenza tra lui e gli uomini –bambini. Ma ora, dacché suo figlio era con lui, ora anche lui, Siddharta, era diventato un perfetto uomo-bambino, e soffriva a causa di una creatura umana, amava una creatura, si perdeva per amore, per amore diventava un povero stolto (p. 131)
Quando traghettava i soliti viandanti, uomini-bambini, mercanti, soldati, donnette del popolo, questa gente non gli riusciva più così estranea come un tempo: li comprendeva, comprendeva la loro vita guidata non da pensieri e intuizioni ma unicamente da impulsi e desideri, e si sentiva simile a loro (…) gli sembrava che questi uomini bambini fossero suoi fratelli; le loro vanità, le loro cupidigie, le loro piccolezze, perdevano il ridicolo, diventavano comprensibili, diventavano degne di compassione, perfino di rispetto” (137).

Cfr. Pirandello, 1908, L’umorismo
Vediamo il don Chisciotte: noi vorremmo ridere di quanto c’è di comico nella rappresentazione di questo povero alienato, vorremmo ridere, ma un senso di commiserazione turba il riso, un senso di pena e pure di ammirazione: questo povero hidalgo è ridicolo ma pure eroico. Il riso diviene amaro. Una rappresentazione veramente umoristica suscita perplessità. Gli scritti umoristici contengono molte digressioni generati dalla riflessione. Ogni vero umorista non è soltanto poeta, è anche critico.
La riflessione scompone l’immagine creata dal primo sentimento e ne fa sorgere un’altra creata dal sentimento contrario. Come ho mostrato nel Sant’Ambrogio di Giusti, la riflessione inserendosi come un vischio nel primo sentimento del poeta, un sentimento di odio verso quei soldatacci, genera a poco a poco un sentimento contrario (p. 186)
 A proposito di un fraintendimento di Benedetto Croce: “ o io non so scrivere, o Croce non sa leggere”.
 III 188
Indulgenza, compatimento, pietà, sono un sentimento del contrario di quel primo sentimento di sdegno davanti a certe situazioni. Se non è così allora c’è l’ironia.
Manzoni non fa nemmeno ironia retorica che contiene una contraddizione tra quanto si dice e quanto va inteso, contraddizione frutto di sdegno.
Manzoni invece non si sdegna mai della realtà in contrasto col suo ideale: per compassione transige qua e là, spesso indulge e rappresenta le ragioni di questo indulgere, il che è proprio dell’umorismo. L’umorismo non è beffa mordace. L’ironia invece ha un che di beffardo e di mordace
Don Abbondio e don Chisciotte suscitano compatimento o perfino simpatia dopo la riflessione.
Manzoni incarna il suo ideale nel cardinale Federigo Borromeo. Ma la riflessione gli dice che quello è un ideale astratto ed egli ascolta dentro di sé anche la voce delle debolezze umane
Nel XXV capitolo il Cardinale fa una predica di eroismo al prete vile il quale si trovava tra quegli argomenti come un pulcino tra gli artigli del falco che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, paragone che si rifà a Esiodo (Opere e giorni. 202-212)
Del resto don Rodrigo pur di spuntare l’impegno era capace di tutto e c’era la lega dei birboni. Il pauroso è comico quando teme pericoli immaginari, ma se i pericoli sono reali non è più soltanto comico. Don Abbondio certo non è un eroe, non ha coraggio e il coraggio uno non se lo può dare, e noi lo compatiamo. Dunque don Abbondio è umoristico. Manzoni del resto lo commisera e compatisce solo dopo averne fatto strazio. Quella pietà in fondo è spietata e l’indulgenza non è così bonaria come sembra.
Per la pietas spietata cfr. Enea di Virgilio (ndr)
Don Abbondio nel quale si è incarnato il sentimento del contrario è figura più viva del cardinale. Maupassant ha scritto che il pensiero dell’uomo gira come una mosca in una bottiglia.

Non vagatur quod fixum atque fundatum est (35, 4)

36 L’utilità del riposo. I desideri del volgo. Il disprezzo della morte.
Hoc est discendi tempus. Ma ogni studio ha il suo tempo. turpis et ridicula res est elementarius senex (4) è vergognoso e ridicolo per un vecchio studiare l’alfabeto.
Mors nullum habet incommodum (9)
Docebo omnia quae videntur perire, mutari (11)
Tutto cambia, nulla sparisce: aestas abiit, sed alter illam annus addūcet.
Denique finem faciam-della lettera-, si hoc unum adiecero : nec infantes, nec pueros, nec mente lapsos timere mortem né i mentecatti temono la morte, et esse turpissimum si eam securitatem nobis ratio non praestat ad quam stultitia perducit. Vale (12)

37 La forza d’animo che suol dare la filosofia
 Quid porro prodest paucos dies aut annos lucrificare? Sine missione nascimur (37, 2) d’altra parte a che giova guadagnare pochi giorni o anni’ nasciamo senza remissione, senza possibilità di scampo.
Dai gravi padroni ti libera la sapientia quae sola libertas est (37, 4)
Si vis omnia tibi subicere, te subice rationi; multos reges, si ratio te rexerit (4)

38 Elogio delle brevi conversazioni
Le parole più semplici submissiora verba facilius intrant et haerent, nec enim multis (verbis) opus est sed efficacibus. Seminis modo spargenda sunt, quod (semen) quamvis sit exiguum, cum occupavit idoneum locum, vires suas explicat et ex minimo in maximos auctus diffunditur (2)

39 La prospera fortuna non è sempre vantaggiosa
Magni animi est magna contemnere ac mediocria malle quam nimia; illa
enim utilia vitaliaque sunt, at haec eo quod superflŭunt nocent (39, 4), l’eccesso nuoce
Necessaria metītur utilitas , l’utilità misura il necessario (39, 5).
Quelli abituati al supefluo Serviunt voluptatibus, non fruuntur, et mala sua, quod malorum ultimum est, et amant (39, 6).
Et desinit esse remedio locus ubi quae fuerant vitia mores sunt (6)


CONTINUA



[1] H. Hesse, Demian (del 1919),  p. 116.
[2] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920), p. 132.

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