venerdì 2 novembre 2018

Seneca, "Lettere a Lucilio", da 1 a 54. PARTE 3

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20 L’incostanza umana
Facere docet philosophia, non dicere . Maximum hoc est et officium sapientiae et indicium, ut verbis opera concordent, ut ipse ubīque par sibi idemque sit. Est difficile, nec hoc dico , sapientem uno semper iturum gradu, sed unā viā (2)
Quid est sapientia? Semper idem velle atque idem nolle (5)
Plerisque agitur vita per lusum (6), i più non prendono la vita sul serio.
Magnificentior sermo tuus in grabatto videbitur et in panno (9), in un lettuccio e tra i cenci
Magnus ille qui in divitiis pauper est (11)
Nemo nascitur dives; quisquis exit in lucem iussus est et lacte et panno esse contentus: ab his initiis nos regna non capiunt”, dopo invece non ci bastano i regni (13)

21 La vera gloria del filosofo
Tu tibi molestus es. Quid velis, nescis” (21, 1)
Il custode del giardino di Epicuro offre polenta e aqua e dirà in hac voluptate consenui (10). Sui desideri sregolati che bisogna raffrenare e reprimere ti dico: ista voluptas naturalis est, non necessaria.
Venter non est molestus creditor: parvo dimittitur, si modo das illi quod debes, non quod potes. Vale.

22 l’occasione
Impedire te noli (4) non crearti ostacoli. Seneca consiglia a Lucilio quanto scrisse Epicuro a Idomeneo: non bisogna tentare nulla se non in modo conveniente ed opportuno, sed cum illud tempus captatum diu venerit, exiliendum ait (6) quando l’occasione tentata di prendere a lungo, sia giunta, dice che bisogna saltarle addosso. Cfr. il kairov".

23 Nella filosofia si trovano i veri piaceri
Mihi crede, verum gaudium res severa est (23, 4)
Quodcumque invecticium gaudium est, fundamento caret (5) ogni gioia che viene da fuori è priva di fondamento.
Dissīce et conculca , fai a pezzi e calpesta, ista quae extrinsecus splendent, quae tibi promittuntur ab alio vel ex alio; ad verum bonum specta et de tuo gaude (6)
Ita dico: in praecipiti voluptas stat , ad dolorem vergit nisi modum tenuit, il piacere si trova sull’orlo dell’abisso, è orientata verso il dolore (6)
Il vero bene proviene ex bona conscientia, ex honestis consiliis, ex rectis actionibus, ex contemptu fortuitorum, ex placido vitae et continuo tenore unam prementis viam(7). Cfr. il fuoco artista che procede metodicamente alla creazione. I più casu quodam transmittuntur e sono suspensi et vagi (7) sono trasportati da un evento e sono incerti e instabili.
Pochi seguono un loro corso (cfr. gli uomini-uomini che sono come le stelle fisse di H. Hesse in Siddharta), ceteri eorum more quae fluminibus innătant, non eunt sed feruntur (8) come le cose leggere che galleggiano.
Segue una massima di Epicuro: possum tibi vocem Epicuri tui reddere et hanc epistulam liberare (dall’obbligo della sentenza finale): male vivunt qui semper vivere incipiunt. Seneca poi la spiega così
Quidam ante vivere desiērunt quam inciperent (23, 11)

24 Il timore dell’avvenire e quello della morte.
Catone poco prima di uccidersi si mise a leggere il Fedone di Platone sull’immortalità dell’anima. Poi sguainò la spada e disse: “nihil egisti, fortuna, omnibus conatibus meis obstando” (7).
Scipione Metello, suocero di Pompeo, sconfitto a Tapso (46) si trafisse con la spada, poi disse “imperator se bene habet”, il generale sta bene. Ereditò la gloria conquistata in Africa dai suoi antenati
Non hominibus tantum sed rebus persona demenda est et reddenda facies sua (24, 13).

Cfr. Lucrezio: “ Quo magis in dubiis hominem spectare periclis/convenit adversisque in rebus noscere qui sit;/nam verae voces tum demum pectore ab imo/eliciuntur <et> eripitur persona, manet res" (De rerum natura, III, 55-58), tanto più è necessario provare la persona nei pericoli rischiosi e conoscerne la qualità nelle situazioni sfavorevoli; infatti le parole autentiche allora finalmente escono dal fondo del cuore e si strappa la maschera, rimane la sostanza.

Non è necessario, non sono così sciocco non sum tam ineptus da ripetere Epicuream cantilenam , il ritornello di Epicuro ut dicam vanos esse inferorum metus : nec Ixiŏnem rotā volvi, nec saxum umeris Sisyphi trudi in adversum, è spinto in direzioni opposte, nec ullius viscera et rinasci posse cotidie et carpi (Tizio e cfr. Lucrezio), nemo tam puer est ut Cerberum timeat. Ci voleva il Medioevo e Dante per questa regressione.
Mors nos aut consumit aut exuit, ci distrugge o ci spoglia, meliora restant, onere detracto (18)
Cotidie morimur, cotidie enim demitur aliqua pars vitae, et tunc quoque cum crescimus, vita decrescit (24, 20) Hunc ipsum quem agimus diem cum morte dividimus.
Nullius rei finis est, sed in orbem nexa sunt omnia, fugiunt ac sequuntur: diem nox premit, dies noctem, aestas in autumnum desinit, autumno hiemps instat, quae vere compescitur viene represso dalla primavera , omnia sic transeunt ut revertantur (cfr. Orazio, Carmina IV, 7, 9)

Carmen, IV, 7.
Le nevi si sono sciolte, tornano già le erbe sui campi
e le chiome sugli alberi;
la terra cambia il turno e decrescendo i fiumi
scorrono lungo le rive;

La Grazia con le Ninfe e le due sorelle ardisce
guidare nuda le danze.
Di non sperare l'immortalità ti suggerisce l'anno e l'ora
che porta via il giorno vitale.

I freddi si addolciscono agli Zefiri, la primavera la trebbia l'estate
pronta a morire, appena
l'autunno ferace avrà versato i suoi frutti, e subito dopo
torna di corsa la bruma che paralizza.
Et mox bruma recurrit iners (12)

Cfr. l' ajnakuvklwsi" di Polibio1, l'orbis di Tacito2, il "cerchio" di Machiavelli 3, il "circuito" di Leopardi 4 mutuato dal circuitus di Cicerone5. Si potrebbe tradurre con "ritorno ciclico" o perfino con "l'eterno ritorno"6. “Poiché il circolo non consiste che di punti di ritorno estesi all’infinito, la curva è incommensurabile, non v’è durata di direzione e l’eternità non è un “avanti diritto” sebbene una “giostra eterna”7.
I danni del cielo però li riparano veloci le lune:
noi quando siamo caduti
dove il padre Enea, dove il ricco Tullo e Anco
polvere e ombra siamo.
Nos ubi decidimus-quo pius Aeneas, quo dives Tullus et Ancus,-Pulvis et umbra sumus

Chi sa se aggiungono alla somma di oggi le ore
di domani gli dèi del cielo?
Tutti i beni che avrai concesso all'animo tuo
sfuggiranno alle mani avide dell'erede.
Cuncta manus avidas fugient heredis, amico-quae dederis animo (19-20)

Una volta che sarai morto e Minosse avrà dato sul tuo conto
chiare sentenze ,
non la stirpe, Torquato, non la facondia, non la devozione
ti restituerà:

infatti dalle tenebre sotterranee Diana non libera
Ippolito casto,
né Teseo ha la forza di spezzare le catene del Lete
al caro Piritoo.

25 I pericoli della solitudine. I vantaggi della povertà.
Tu nobis te fortem praesta et sarcinas contrahe; nihil ex his quae habemus necessarium est. Ad legem naturae revertamur (…) panem et aquam natura desiderat (25, 4). Tu fammiti vedere coraggioso
Epicuro consiglia: “tunc precipue in te ipse secede cum esse cogĕris in turba” (25). Quando sei costretto a stare nella folla

26 Elogio della vecchiezza
Inter decrepitos me numera et extrema tangentis (1)
Il corpo è indebolito ma viget animus et gaudet non multum sibi esse cum corpore : magnam partem oneris sui posuit. Exultat et mihi facit controversiam de senectute: hunc ait esse florem suum. Discute con me della vecchiaia
Quod incommodum, si quidquid debebat desinere deficit?
Remŏve existimationem hominum: dubia semper est et in partem utramque dividitur (7) , è incerta e ambigua, cfr. segno di contraddizione: ogni persona speciale lo è. Cristo lo è stato, Socrate pure

Gesù bambino a otto giorni venne portato dai genitori nel tempio perché venisse circonciso. A Gerusalemme c’era un uomo giusto, Simeone, et Spiritus Sanctus erat supra eum. Et venit in Spiritu in templum. E quando portarono il bambino nel tempio, egli lo prese in braccio e bemedisse Dio e disse a Maria sua madre
Nunc dimittis servum tuum, nu'n ajpoluvei" to;n dou'lon sou, devspota- Domine secundum verbum tuum in pace, poi disse a Maria “Ecce positus est hic in ruinam et resurrectionem multorum in Israel et in signum cui contradicetur-et tuam ipsius animam pertransiet gladius-ut revelentur ex multis cordibus cogitationes (N. T. Luca, 2, 25-35) – kai; eij" shmei'on ajntilegovmenon-
Qui mori didicit servire dedidicit (…) liberum ostium habet (26, 10) che deve morire ha una porta aperta.


CONTINUA

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1 Storie, VI, 9, 10. Ho sviluppato il tema del ritorno ciclico delle costituzioni nel mio Storiografi Greci (pp. 387 sgg).
2 E’ l’idea del ciclo che Tacito applica ai costumi :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.
3 Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio , I, 2.
4 Zibaldone 3518.
5 De republica (del 51 a. C.) , I, 45.
6 Cfr. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), p. 128.

7 T. Mann, La montagna incantata, II, p. 34.

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