domenica 17 marzo 2013

Attualità dell'Edipo re: da Sofocle a Svevo, Buzzati, Fellini, Visconti e altri


Ovidio negli Amores (I,15,15) predice che alla tragedia di Sofocle il tempo non porterà alcun danno:"Nulla Sophocleo veniet iactura cothurno ".
I secoli gli hanno dato ragione. Per quale motivo la lettura dell'Edipo re sofocleo è ancora oggi proficua, produttiva di idee e sentimenti? Non solo perché è un'opera densa di significati molteplici e tuttora vivi, ma anche per il fatto che parla di noi tutti e arricchisce l'autocoscienza di ciascuno.
Werner Jaeger in Paideia (I vol. p. 482) afferma che l'idea della misura greca si può contemplare come da una vetta collocandosi sul punto dove è Sofocle. Ebbene, tale misura è quella delfica del "nulla di troppo" e del "conosci te stesso"; è l'ingrandimento dell'Io a spese dell'Es, che, per dirla con Freud, va bonificato al pari di una palude; è il pio riconoscimento di una giustizia insita nelle cose, e, in definitiva, è il reperimento dell'armonia tra se stessi e la vita: valori che si possono considerare eterni. Un poeta tanto più è universale, quanti più esseri e situazioni umane la sua opera abbraccia e comprende, quanto più profonde sono le fosse dell'anima nelle quali si interna.  Questo dramma possiede la forza di condurre chi lo ascolta, o lo legge, a inabissarsi in se stesso, come può fare un sogno molto denso di significati, rappresentato però con chiarezza apollinea.
E' il massimo pregio di Sofocle e dell'Edipo re. Se dovessi scegliere un libro da salvare, salverei questo. Con il mio commento naturalmente
Ci sono tanti aspetti che possono andare incontro ai bisogni spirituali dei giovani e dei non giovani. C'è la lotta dell'anima religiosa contro l'illuminismo della sofistica. Questa tendeva a screditare, smontare o abbattere tutti i monumenti della tradizione sacra,  cominciando dagli oracoli attraverso i quali il popolo devoto sentiva pullulare il numinoso e risuonare la volontà degli dei intesa a dare una forma e un significato alla vita umana altrimenti caotica e insensata.
Il poeta tradizionalista ingaggia una battaglia contro il relativismo gnoseologico diffuso tra gli intellettuali come Protagora che influivano pure sulla direzione politica della città. All'uomo misura di tutte le cose, e dunque sfrenato nel proprio arbitrio, Sofocle contrappone il punto fermo della fede negli dei olimpi che non possono tramontare né invecchiare senza che il mondo ripiombi nel caos primordiale. Per lui, misura di tutte le cose è Dio. Tale idea del resto si può trovare in autori religiosi di altri tempi e di altri luoghi. Tolstoj, in Guerra e pace (p. 1607) scrive:" Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene, verità".
Certamente il poeta di Colono non poté cambiare il corso della storia, però ebbe l'ardire di nuotare contro le onde della moda culturale del suo tempo. La parabola della religione olimpica di fatto era in fase discendente, ma il bisogno del sacro è insopprimibile nell'uomo, e l' Edipo re di Sofocle, ancora oggi, dà voce a questa esigenza, indicando con dito teso le nefandezze cui può giungere l'intelletto quando presume troppo di sé, e, gonfio di vano orgoglio, soffoca la vita con la dialettica  atea e con i sofismi.
Il tiranno Edipo è l'antieroe esemplare dell'individuo che, fidandosi ciecamente della propria intelligenza, produce una dicotomia tra la sua esistenza effimera e la vita eterna del cosmo significata da oracoli e profeti. Egli fallisce per miseria morale e per angustia di visione mentale che si allargherà solo in un secondo tempo, in seguito alla  perdita del potere e della superbia derivata dai suoi orpelli ingannevoli, e, paradossalmente, anche alla autosoppressione della percezione oculare[1].
Allora il despota, degradato a mendicante, comprenderà che nella fase dei presunti successi, quando credeva di capire tutto e di arrivare dovunque volesse, aveva danneggiato la natura e offeso la vita. A questa affermazione colpevolista si può obiettare che Edipo ha ucciso il padre e sposato la madre senza saperlo. Supporto  autorevole  a tale difesa è un passo della Poetica  (1453a), dove Aristotele dice che il protagonista del nostro dramma è tale da suscitare pietà e terrore, e dunque funziona bene nell'ingranaggio tragico, in quanto si trova in condizione atroce senza essersela meritata completamente, e piomba sì nell'infelicità con peripezia precipitosa, ma solo per un qualche errore, di j aJmartivan tinav, un difetto piuttosto intellettuale che morale. Noi riteniamo che Sofocle abbia voluto denunciare entrambe le carenze del protagonista: quella etica e quella mentale, le quali del resto coincidono. Il ragazzo che si allontana da Corinto misurandone la distanza con le stelle (v.795) ha perpetrato comunque una strage ammazzando quattro uomini, tra i quali un vecchio che per giunta gli assomigliava (v. 743), solo perché volevano spingerlo a forza fuori dalla strada: insomma reagendo a uno sgarbo con  spropositato puntiglio omicida. Così il trovatello "piedone", divenuto poi principe di Corinto, e quindi vagabondo, ha imbrattato la madre terra con il sangue delle sue creature e l'ha offesa, per la simpatia organica che la lega a queste. Già Eschilo nell'Orestea   aveva proclamato che il sangue, soprattutto se di un genitore, versato al suolo non si raccatta né si riscatta ( Eumenidi vv.260 e sgg.); che vana è la fatica di spargere tutti i libami per una goccia sola di sangue ( Coefore  vv.520-521); e che il nero sangue di un uomo, una volta caduto sulla terra, nessuno può chiamarlo indietro con incantesimi (Agamennone vv.1019-1021).  Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle Osservazioni sulla morale cattolica  (cap. VII) scrive:" Il sangue di un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra". Se lo ricordino i fautori della pena di morte.
I delitti di Edipo dunque continuano a girare nel mondo finché egli non viene confutato dalla umiliazione di quel suo intelletto orgoglioso e violento il quale aveva osato proclamare la propria superiorità nell'indipendenza dai segni del cielo e della terra che i vati invece considerano divini (vv.396-397).
Sofocle vuole insegnarci che una vita umana in disarmonia rispetto  al ritmo di quella cosmica, prima si inalbera in convulsioni atroci, poi diviene identica al nulla (v.1188). Egli è abilissimo nel condurci passo dopo passo fino alla soluzione del mistero che avvolge  Tebe: questa ha un ottimo re, paterno e generoso verso i sudditi che lo considerano, se non proprio uguale agli dei (v.31), certamente il primo degli uomini (v.33). Eppure questa città soffre di peste e sterilità, i mali che solitamente toccano alle comunità dominate da un capo cattivo la cui nequizia si riverbera sulla sua gente. Viceversa un governo di uomini onesti e capaci rende prospera la popolazione. Si tratta di un tovpo" letterario già presente e vivo nell'Odissea (XIX,108-114), e ribadito nelle Opere  di Esiodo (vv.240-244). Il lettore, o lo spettatore, anche solo mediamente colto, sa bene che pure nel caso di Tebe sconciata,"la mala condotta/ è la cagion che il mondo ha fatto reo". Ho citato anche Dante (Purgatorio XVI,103-104) per spiegare Sofocle, con l'intenzione di significare che la sintesi del poeta di Colono influenza, direttamente o indirettamente, i successivi monumenti letterari, in quanto tutta la letteratura europea, come dice bene T. S. Eliot, da Omero in avanti ha un'esistenza simultanea grazie ad autori i quali utilizzano la tradizione apportandovi il loro contributo e consegnandola ai successivi rinnovata e arricchita.
La storia di Edipo è già presente nel canto dei morti dell'Odissea, l'undicesimo (vv.271-280). La versione del mito però in Omero è differente, a cominciare dal nome della madre-moglie che si chiama Epicasta. Tale diversità fa venire in mente la grande madre mediterranea, quella che il Prometeo incatenato  di Eschilo chiama: pollw'n ojnomavtwn morfh; miva (v.210), una sola forma di molti nomi.
E. Fromm in Il linguaggio dimenticato  considera il parricida Edipo, e Giocasta, quali rappresentanti di quella civiltà matriarcale, antiautoritaria, antistatale, che viene faticosamente sconfitta dalla seguente cultura patriarcale, foriera del principio di autorità impersonato da Creonte. In questo conflitto, il desiderio sessuale del figlio per la madre non entra: "Nel mito non vi è indizio alcuno che Edipo sia attratto o si innamori di Giocasta" (p.192). L'interpretazione dello psicoanalista americano è fondata sulla lettura di parti del Mutterrecht di Bachofen, contaminate con l'Estetica  di Hegel, e polemizza con quella di S. Freud il quale sostiene che in parecchi miti di vari popoli, l'eroe è il giovane che sopravvive alla malevolenza del padre, quindi lotta contro di lui per il possesso della madre fino ad uccidere l'aborrito rivale, realizzando così il desiderio inconscio di tutti i maschi.
Ma vediamo alcune parole di L'interpretazione dei sogni :"Il destino di Edipo ci commuove perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l'appagamento di un desiderio della nostra infanzia... Davanti alla persona in cui si è compiuto quel desiderio primordiale indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo"(p.248).
Sofocle è dunque da un lato poeta arcaicizzante e omerida siccome ripropone uomini disposti ad affrontare l'estrema rovina pur di non cedere alla pressione della norma e di salvare la propria identità minacciata, o anche solo di conoscerla; dall'altro offre  spunti e suggerimenti agli autori dei secoli successivi. Molti ne ho indicati nel commento al testo, e uno ne voglio aggiungere in questa parte conclusiva: come Edipo trova la sua dimensione positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase dell'attività sconsiderata, così Giovanni Drogo in Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di stelle" (p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male,  accettando la più eroica delle morti, dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove "non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna sono tanti, da Oblomov  di Gončarov, a Zeno  di Svevo, per dire solo i più noti, e il prototipo può essere considerato l'Edipo a Colono del quale Nietzsche in La nascita della tragedia (p.67)  scrive:" L'eroe raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva la sua attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua  vita precedente lo ha condotto solo alla passività".
Non so se Buzzati e gli altri due romanzieri menzionati conoscessero Edipo. E' probabile. Sono certo però che la poesia di Sofocle è un momento cruciale della letteratura europea, è una di quelle grandi arterie dove passa la corrente sanguigna della nostra civiltà, e non è possibile ignorarla senza anemia culturale.
In occasione della morte di Federico Fellini, rivisitando Otto e mezzo  con la sensibilità attizzata dai drammi di Sofocle, ho notato un'accettazione edipica del destino e di se stesso anche nelle parole conclusive del protagonista del film, il regista Guido, alter ego del maestro riminese:"Tutto é di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io; io come sono, non come vorrei essere".
L'Edipo re  dunque serve  a interpretare con qualche consapevolezza non pochi fatti della vita, privata e politica: le angosce personali, i meccanismi del potere, l'ascesa più o meno irresistibile e la caduta ineluttabile di  uomini arroganti, che, come il re di Tebe, sono stati portati su alti fastigi dalla miseria dei tempi e dalla loro stessa tracotanza, ma poi sono precipitati nella necessità scoscesa (cfr. v. 877). Non solo ai nostri giorni, ma diverse volte nella storia, il re o il tiranno si è capovolto in farmakov", in capro espiatorio e mostro deforme. Infatti il tema ricorre nelle opere letterarie, e l'abbiamo riconosciuto  pure in un film pieno di bellezza e cultura. Mi riferisco a Ludwig di Visconti che racconta la vita e la morte del "lunatico re"[2] di Baviera.
E' uno schema che Bachtin, l'interprete di Dostoevskij, ascrive alla letteratura carnevalizzata e individua nei dialoghi dove campeggia Socrate, nella satira menippea, e ne L' idiota  del romanziere russo. Il carnevale rovescia e relativizza tutte le situazioni, incorona e scorona il re, rompendo le putride pastoie della menzogna ufficiale, mostrandolo nudo e indifeso. Così ha fatto la tragedia greca, prima e meglio di tutta la letteratura seguente.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it

P. S
martedì 19 marzo alle ore 18 nella sala Rossini del Caffè Pedrocchi di Padova  leggerò e commenterò il secondo stasimo dell’Edipo re di Sofocle (vv. 863-910).



[1] Gli occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione". Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere , volume 11, p. 617, nota 1

[2] To whose hands have you sent the lunatic King? Speak ( Shakespeare, Re Lear , III, 7) in mano a chi avete messo il re matto? Parlate.


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