sabato 23 marzo 2013

Il potere come servizio: Papa Francesco, Francesco d’Assisi e il culto del sole.


Il nuovo pontefice, Francesco, ha detto parole appropriate, degne del vicario di Cristo e dell’Imitator Christi suo eponimo: “il potere è un servizio”.
Infatti il   potere è morale, ed è  razionale, solo se esercitato in favore e al servizio di chi non ce l’ha.
Sentiamo qualche  voce nobile e antica affermare questo concetto.
Nelle Epistole a Lucilio,   Seneca, il maestro di Nerone già ripudiato dal discepolo imperiale, ricorda che nell'età dell'oro governare era compiere un dovere e un servizio, non esercitare un potere assoluto:" Officium erat imperare, non regnum" (90, 5).
Parole analoghe  si leggono in Psicanalisi della società contemporanea  di E. Fromm:"Il capo non è soltanto la persona tecnicamente più qualificata, come deve essere un dirigente, ma è anche l'uomo che è un esempio, che educa gli altri, che li ama, che è altruista, che li serve. Obbedire a un cosiddetto capo senza queste qualità sarebbe una viltà" (p. 299).
 La protagonista dell'Antigone di Brecht si propone come tale tipo paradigmatico in antitesi al tiranno Creonte il quale le domanda:"di' dunque perché sei così ostinata". E la ragazza risponde:"Solo per dare un esempio".
Il potere, se non viene gestito in favore e beneficio di chi ne è soggetto, secondo la figlia di Edipo è una specie di droga che asseta di sé:"Perché chi beve il potere, beve acqua salsa, non può smettere, e seguita, per forza, a bere".
“Sono rari i sovrani che apprendono la saggezza nella sovranità. Al contrario, l’occupazione del potere suscita un delirio di potenza, e la sete di potere suscita il più delle volte ambizioni smisurate. Così intorno al potere si moltiplicano colpi di stato, assassini, fratricidi, patricidi, assai ben descritti da Eschilo, Sofocle, Euripide, Shakespeare, mentre la follia insita nel potere è stata mirabilmente mostrata da Calderón de la Barca ne La vita è sogno. Minacciati da rivali o da pretendenti, i despoti diventano patologicamente diffidenti di tutto”[1].
Papa Bergoglio ha detto frasi e compiuto gesti, per ora simbolici, che vogliono significare l’assunzione non solo del nome, ma anche dell’esempio di parole e  opere di Francesco d’Assisi, il suo paradigma storico e pure mitico, forse la sua prefigurazione.
Abbiamo visto e sentito vicende di papi di ogni tipo.
Non sono un papista.  Considero l’uomo. Alcuni papi non mi sono andati a genio.  Ratzinger mi piaceva per il suo essere un uomo mite, uno studioso intelligente; questo papa mi garba per il suo richiamarsi a un grande uomo che scelse  la parte del povero e del soccorritore dei poveri nella sua vita mortale.
Secondo Dante, Francesco prese in moglie la povertà.
“Questa, privata del primo marito,
millecent’anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito
(…)
Ma perch’io non proceda troppo chiuso
Francesco e Povertà per questi amanti
Prendi oramai  nel mio parlar diffuso”[2].

Paupertas unisce Francesco e Cristo, istituisce la posizione del santo come imitator Christi[3].

Francesco era figlio di un ricco mercante, ma volle morire povero. Non solo non traeva godimento e non menava vanto delle  ricchezze paterne, ma le rifiutò e le ignorò. Per lui il denaro del padre non era nemmeno un disvalore:  era identico al nulla del quale nemmeno ci si vergogna.
“Né li gravò viltà di cor le ciglia
Per esser fi’ di Pietro Bernardone”[4]

Quella della povertà è una scelta difficile, ma se fatta con convinzione assoluta, ossia svincolata da calcoli di visibilità e di successo, può portare alla felicità di Francesco che amava la vita e si sentiva pienamente contraccambiato da lei.
L’inizio del nuovo Papa dunque ci fa sperare. Vorremmo pregarlo di tenere questa rotta anche con il vento contrario e il mare in tempesta. Certamente infatti  dovrà affrontare opposizioni di vario genere da parte di quel mondo della finanza, del mercato, dello spreco, dell’arroganza, che le sue parole e i suoi atti tendono a confutare.
  Francesco intende distogliere l’uomo dall’idolatria del denaro che, se diventa la misura di tutti i valori, fuorvia l’umanità conducendola al pervertimento e all’aberrazione dalla sua natura.
I consumisti sono idolatri poveri. Gli speculatori idolatri ricchi
Costoro traggono l’identità dal denaro e dalle  cose che comprano, come si legge nella Bibbia: “Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).       

 Il papa può ricondurre il suo popolo alle gioie  sane dell’amicizia, della fratellanza, dell’amore per l’umanità e per la natura.
Francesco d’Assisi amava l’umanità, amava la terra con le sue creature e amava il cosmo. Nel sole vedeva l’immagine di Dio.
“Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione”[5].
Parole sante. E classiche.
Nell’Edipo re di Sofocle  il sole è" pavntwn qew'n provmo""(660),  il primo fra tutti gli dei, e "th;n..pavnta bovskousan flovga" (v. 1425), la fiamma che nutre la vita.
Nell'Edipo a Colono  il sole è, con una ripresa dell'idea omerica,"oJ pavnta leuvsswn   {Hlio"" (v. 869), Elio che vede tutto; e nell’Antigone  viene invocato come "lampavdo" iJero;n-o[mma" (vv. 879-880), santo volto di luce.

La venerazione del dio-sole, della quale abbiamo testimonianza nei testi greci, ha avuto il suo primo apostolo nel faraone Amenofi IV della XVIII dinastia. Egli sostituì il culto di Ammone con quello del Sole e cambiò il proprio nome in Ekhnaton, gradito ad Aton, il disco solare. Al sole il faraone eretico dedicò un Inno e delle immagini. Ecco alcune parole:" le greggi sono liete nei loro pascoli/quando tu sorgi/gli alberi e le erbe verdeggiano/gli uccelli svolazzano nei loro nidi/e le loro ali ti elogiano.../i tuoi raggi penetrano fin nell'intimo del mare".
Freud fa di questo faraone illuminato l'inventore del monoteismo e il predecessore della religione ebraica. "Durante la gloriosa diciottesima dinastia, sotto la quale l'Egitto per la prima volta divenne un impero mondiale, salì al trono intorno all'anno 1375 a. C. un giovane faraone, che dapprima si chiamò Amenofi (IV) come il padre, ma poi cambiò nome, e non solo nome. Questo re tentò di imporre ai suoi sudditi una nuova religione...Si trattava di un rigoroso monoteismo, il primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne possiamo sapere...In due inni ad Atòn, serbatici dalle iscrizioni sulle tombe rupestri e probabilmente da lui stesso composti, il sole come creatore e conservatore di tutti gli esseri viventi dentro e fuori l'Egitto, è celebrato con tale fervida fede quale si ritrova molti secoli più tardi nei Salmi  in onore del dio ebraico Yahweh. Non gli bastò tuttavia anticipare sorprendentemente la scoperta scientifica dell'effetto della radiazione solare. Non v'è dubbio che egli fece un passo avanti, onorando il sole non come oggetto materiale, bensì come simbolo di un essere divino la cui energia si manifestava appunto nei raggi del sole...Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu egizio e se egli trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhnatòn, la religione di Atòn...Entrambe sono forme rigide di monoteismo...Mosè non diede solo una nuova religione agli Ebrei; con pari sicurezza si può affermare che egli introdusse presso di loro la consuetudine della circoncisione...Erodoto, il "padre della storia", ci informa che la consuetudine della circoncisione era da lungo tempo familiare in Egitto[6]...e la supposizione...è tale da darci il coraggio di trarre la seguente conclusione: se Mosè diede agli Ebrei non solo una nuova religione, ma anche il precetto della circoncisione, egli non era ebreo, ma egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una religione egizia, e precisamente, a cagione del contrasto con la religione popolare, la religione di Atòn, con cui si accorda anche la religione ebraica posteriore in alcuni punti degni di nota"[7].
Ma torniamo ai classici
Nel VII libro Repubblica  dove Platone narra il mito della caverna, il sole è l'immagine dell'idea del bene (hJ tou' ajgaqou' ijdeva, 517c) che a fatica si vede, ma, una volta vista, va considerata quale causa per tutti di tutte le cose rette e belle.
Cicerone nel Somnium Scipionis  (4, 9)  chiama il sole"dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi et temperatio ", guida e principe e governatore degli altri astri, mente del mondo e forza regolatrice.
Virgilio, nella prima Georgica  (463-464), afferma la sincerità del sole nel dare segni:"Solem quis dicere falsum/audeat? ", il sole chi oserebbe chiamarlo falso?.
  Seneca in una delle Epistulae morales ad Lucilium  esprime personale riconoscenza al sole e alla luna che pure sorgono per tutti:"Soli lunaeque plurimum debeo, et non uni mihi oriuntur  " (73, 6)  .
Dante ne fa il simbolo della grazia divina che guida alla salvezza:" guardai in alto e vidi le sue spalle/vestite già de' raggi del pianeta/che mena dritto altrui per ogni calle"  fin dal primo canto dell'Inferno  (vv. 16-18).
Quindi nel Purgatorio :
"Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:/s'altra ragione in contrario non pronta,/essere dien sempre li tuoi raggi duci"[8].
 Facciamo un altro paio di esempi tratti dal neoclassicismo e dal romanticismo. F. Hölderlin in Iperione  scrive:" l'eroica luce del sole dona gioia con i suoi raggi alla terra" (p.76), e, "il sacro sole sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e gratitudine, che spesso, con un solo sguardo, mi ha guarito da un profondo dolore e ha purificato la mia anima dallo scontento e dalle preoccupazioni"(p.111).
Foscolo, nell'Ortis , lo chiama"ministro maggiore della natura"(20 novembre 1797) e "sublime immagine di Dio, luce, anima, vita di tutto il creato"(3 aprile 1798).
 Leopardi nello Zibaldone  (3833-3834) scrive :"Quando gli Europei scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole, quivi (ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado o vicinissime alle sopraddette) una vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e di vita. E generalmente i tempii del sole erano come il segno della civiltà, e i confini del culto del sole, i confini di essa (5 Nov. 1823.).
 Nell'Adelchi  di Manzoni, il diacono Martino, raccontando la sua prodigiosa traversata delle Alpi, compiuta non senza l'aiuto divino ("Dio gli accecò, Dio mi guidò", III, 2, v. 167), riconosce di essersi avvalso, di fatto, della guida del sole:"Era mia guida il sole/Io sorgeva con esso, e il suo viaggio/seguia, rivolto al suo tramonto"(III, 2, vv. 207-209).
Insomma gli spiriti eletti in tutti i tempi sono stati amanti della luce e adoratori del sole.
Questa riconoscenza per il sole interpretato quale Dio, o quale immagine visibile di Dio, è presente, come si vede, in vari autori della letteratura europea.
Eppure gli idolatri che "natura (…) prona finxit"[9]  non vedono nel sole se non una palla di fuoco con la quale abbronzarsi o un fuoco malefico dal quale ripararsi.
“Il sole lo maledicono i fiacchi: per loro quel che conta di un albero è l’ombra”[10].
Ma torniamo al Pontefice nostro
 Le sue  idee sono buone e sono chiare .
Sentiamone un’altra: “Il messaggio di Gesù è la misericordia. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo”. La misericordia infatti è bella e radiosa come il sole.
Fossi Napolitano, affiderei a Francesco una sorta di reggenza sull’Italia.
Cari saluti, e a presto, ai miei 14923 lettori.
Dalla fine di gennaio, quando abbiamo cominciato, stiamo crescendo a una media di 274 al giorno. Con noi cresce l’Italia desiderosa e capace di amare la cultura e la vita. L’Italia del suo patrono.
Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1] E. Morin, L’identità umana, p. 164.
[2] Dante, Paradiso, XI, 64-66 e 73-75.
[3] E. Auerbach, Studi su Dante, p. 232.
[4] Dante, Paradiso XI, 88-89
[5] Cantico di Frate Sole.
[6] Erodoto, II, 104.
[7] S. Freud, L'uomo Mosè e la religione monoteistica ,  in Freud  Opere 1930-1938 , pp. 350 e sgg.
[8] Purgatorio , XIII, 19-21.
[9] la natura ha creato proni verso terra.
Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1.
[10] F. Nietzsche, La gaia scienza, p. 31.

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