Il nuovo pontefice,
Francesco, ha detto parole appropriate, degne del vicario di Cristo e dell’Imitator Christi suo eponimo: “il potere
è un servizio”.
Infatti il
potere è morale, ed è razionale,
solo se esercitato in favore e al servizio di chi non ce l’ha.
Sentiamo qualche voce nobile e antica affermare questo
concetto.
Nelle Epistole a Lucilio,
Seneca, il maestro di Nerone già ripudiato dal discepolo imperiale,
ricorda che nell'età dell'oro governare era compiere un dovere e un servizio,
non esercitare un potere assoluto:" Officium
erat imperare, non regnum" (90,
5).
Parole analoghe si leggono in Psicanalisi della società contemporanea di E. Fromm:"Il capo non è soltanto la
persona tecnicamente più qualificata, come deve essere un dirigente, ma è anche
l'uomo che è un esempio, che educa
gli altri, che li ama, che è altruista, che li serve. Obbedire a un cosiddetto
capo senza queste qualità sarebbe una viltà" (p. 299).
La protagonista dell'Antigone
di Brecht si propone come tale tipo paradigmatico in antitesi al tiranno
Creonte il quale le domanda:"di' dunque perché sei così ostinata". E
la ragazza risponde:"Solo per dare un esempio".
Il
potere, se non viene gestito in favore e beneficio di chi ne è soggetto,
secondo la figlia di Edipo è una specie di droga che asseta di sé:"Perché
chi beve il potere, beve acqua salsa, non può smettere, e seguita, per forza, a
bere".
“Sono
rari i sovrani che apprendono la saggezza nella sovranità. Al contrario,
l’occupazione del potere suscita un delirio di potenza, e la sete di potere
suscita il più delle volte ambizioni smisurate. Così intorno al potere si
moltiplicano colpi di stato, assassini, fratricidi, patricidi, assai ben
descritti da Eschilo, Sofocle, Euripide, Shakespeare, mentre la follia insita
nel potere è stata mirabilmente mostrata da Calderón de la Barca ne La vita è sogno. Minacciati da rivali o
da pretendenti, i despoti diventano patologicamente diffidenti di tutto”[1].
Papa
Bergoglio ha detto frasi e compiuto gesti, per ora simbolici, che vogliono
significare l’assunzione non solo del nome, ma anche dell’esempio di parole e opere di Francesco d’Assisi, il suo paradigma
storico e pure mitico, forse la sua prefigurazione.
Abbiamo
visto e sentito vicende di papi di ogni tipo.
Non
sono un papista. Considero l’uomo. Alcuni
papi non mi sono andati a genio. Ratzinger mi piaceva per il suo essere un uomo
mite, uno studioso intelligente; questo papa mi garba per il suo richiamarsi a
un grande uomo che scelse la parte del
povero e del soccorritore dei poveri nella sua vita mortale.
Secondo
Dante, Francesco prese in moglie la povertà.
“Questa,
privata del primo marito,
millecent’anni
e più dispetta e scura
fino
a costui si stette sanza invito
(…)
Ma
perch’io non proceda troppo chiuso
Francesco
e Povertà per questi amanti
Prendi
oramai nel mio parlar diffuso”[2].
“Paupertas unisce Francesco e Cristo,
istituisce la posizione del santo come imitator
Christi”[3].
Francesco
era figlio di un ricco mercante, ma volle morire povero. Non solo non traeva
godimento e non menava vanto delle
ricchezze paterne, ma le rifiutò e le ignorò. Per lui il denaro del
padre non era nemmeno un disvalore: era
identico al nulla del quale nemmeno ci si vergogna.
“Né
li gravò viltà di cor le ciglia
Per
esser fi’ di Pietro Bernardone”[4]
Quella
della povertà è una scelta difficile, ma se fatta con convinzione assoluta,
ossia svincolata da calcoli di visibilità e di successo, può portare alla
felicità di Francesco che amava la vita e si sentiva pienamente contraccambiato
da lei.
L’inizio
del nuovo Papa dunque ci fa sperare. Vorremmo pregarlo di tenere questa rotta
anche con il vento contrario e il mare in tempesta. Certamente infatti dovrà affrontare opposizioni di vario genere da
parte di quel mondo della finanza, del mercato, dello spreco, dell’arroganza,
che le sue parole e i suoi atti tendono a confutare.
Francesco intende distogliere l’uomo dall’idolatria
del denaro che, se diventa la misura di tutti i valori, fuorvia l’umanità
conducendola al pervertimento e all’aberrazione dalla sua natura.
I
consumisti sono idolatri poveri. Gli speculatori idolatri ricchi
Costoro traggono l’identità dal denaro e dalle cose che comprano, come si legge nella Bibbia: “Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo.
Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono;
non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in
essi confida" (Salmi, 135, 15-18).
Il papa può ricondurre il suo popolo alle
gioie sane dell’amicizia, della
fratellanza, dell’amore per l’umanità e per la natura.
Francesco
d’Assisi amava l’umanità, amava la terra con le sue creature e amava il cosmo.
Nel sole vedeva l’immagine di Dio.
“Laudato
sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente
messor lo frate sole,
lo
qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et
ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de
te, Altissimo, porta significatione”[5].
Parole
sante. E classiche.
Nell’Edipo re di
Sofocle il sole è" pavntwn qew'n
provmo""(660), il
primo fra tutti gli dei, e "th;n..pavnta bovskousan flovga"
(v. 1425), la fiamma che nutre la vita.
Nell'Edipo a Colono il sole è, con una ripresa dell'idea
omerica,"oJ pavnta leuvsswn
{Hlio"" (v. 869), Elio che vede tutto; e nell’Antigone
viene invocato come "lampavdo" iJero;n-o[mma"
(vv. 879-880), santo volto di luce.
La
venerazione del dio-sole, della quale abbiamo testimonianza nei testi greci, ha
avuto il suo primo apostolo nel faraone Amenofi IV della XVIII dinastia. Egli
sostituì il culto di Ammone con quello del Sole e cambiò il proprio nome in
Ekhnaton, gradito ad Aton, il disco solare. Al sole il faraone eretico dedicò
un Inno e delle immagini. Ecco alcune parole:" le greggi sono liete nei
loro pascoli/quando tu sorgi/gli alberi e le erbe verdeggiano/gli uccelli
svolazzano nei loro nidi/e le loro ali ti elogiano.../i tuoi raggi penetrano
fin nell'intimo del mare".
Freud fa di questo faraone
illuminato l'inventore del monoteismo e il predecessore della religione
ebraica. "Durante la gloriosa diciottesima dinastia, sotto la quale
l'Egitto per la prima volta divenne un impero mondiale, salì al trono intorno
all'anno 1375 a. C. un giovane faraone, che dapprima si chiamò Amenofi (IV) come
il padre, ma poi cambiò nome, e non solo nome. Questo re tentò di imporre ai
suoi sudditi una nuova religione...Si trattava di un rigoroso monoteismo, il
primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne possiamo
sapere...In due inni ad Atòn, serbatici dalle iscrizioni sulle tombe rupestri e
probabilmente da lui stesso composti, il sole come creatore e conservatore di
tutti gli esseri viventi dentro e fuori l'Egitto, è celebrato con tale fervida
fede quale si ritrova molti secoli più tardi nei Salmi in onore del dio
ebraico Yahweh. Non gli bastò tuttavia anticipare sorprendentemente la scoperta
scientifica dell'effetto della radiazione solare. Non v'è dubbio che egli fece
un passo avanti, onorando il sole non come oggetto materiale, bensì come simbolo
di un essere divino la cui energia si manifestava appunto nei raggi del
sole...Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu egizio e se egli
trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhnatòn,
la religione di Atòn...Entrambe sono forme rigide di monoteismo...Mosè non
diede solo una nuova religione agli Ebrei; con pari sicurezza si può affermare
che egli introdusse presso di loro la consuetudine della
circoncisione...Erodoto, il "padre della storia", ci informa che la
consuetudine della circoncisione era da lungo tempo familiare in Egitto[6]...e la supposizione...è
tale da darci il coraggio di trarre la seguente conclusione: se Mosè diede agli
Ebrei non solo una nuova religione, ma anche il precetto della circoncisione, egli
non era ebreo, ma egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una
religione egizia, e precisamente, a cagione del contrasto con la religione
popolare, la religione di Atòn, con cui si accorda anche la religione ebraica
posteriore in alcuni punti degni di nota"[7].
Ma
torniamo ai classici
Nel VII libro Repubblica dove Platone narra il mito della caverna, il
sole è l'immagine dell'idea del bene (hJ tou' ajgaqou' ijdeva, 517c)
che a fatica si vede, ma, una volta vista, va considerata quale causa per tutti
di tutte le cose rette e belle.
Cicerone nel Somnium Scipionis (4, 9)
chiama il sole"dux et
princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi et temperatio ",
guida e principe e governatore degli altri astri, mente del mondo e forza regolatrice.
Virgilio, nella
prima Georgica (463-464), afferma la sincerità del sole nel
dare segni:"Solem quis dicere
falsum/audeat? ", il sole chi oserebbe chiamarlo falso?.
Seneca in una delle Epistulae morales ad Lucilium esprime personale riconoscenza al sole e
alla luna che pure sorgono per tutti:"Soli
lunaeque plurimum debeo, et non uni mihi oriuntur " (73, 6) .
Dante ne fa il
simbolo della grazia divina che guida alla salvezza:" guardai in alto e
vidi le sue spalle/vestite già de' raggi del pianeta/che mena dritto altrui per
ogni calle" fin dal primo canto
dell'Inferno (vv. 16-18).
Quindi nel Purgatorio
:
"Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:/s'altra
ragione in contrario non pronta,/essere dien sempre li tuoi raggi duci"[8].
Facciamo un altro paio
di esempi tratti dal neoclassicismo e dal romanticismo. F. Hölderlin in Iperione scrive:" l'eroica luce del sole dona
gioia con i suoi raggi alla terra" (p.76), e, "il sacro sole
sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e gratitudine,
che spesso, con un solo sguardo, mi ha guarito da un profondo dolore e ha
purificato la mia anima dallo scontento e dalle preoccupazioni"(p.111).
Foscolo, nell'Ortis , lo chiama"ministro maggiore
della natura"(20 novembre 1797) e "sublime immagine di Dio, luce,
anima, vita di tutto il creato"(3 aprile 1798).
Leopardi nello Zibaldone (3833-3834) scrive :"Quando gli Europei
scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno
di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi
men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole,
quivi (ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado
o vicinissime alle sopraddette) una
vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza
di costumi e di vita. E generalmente i tempii del sole erano come il segno
della civiltà, e i confini del culto del sole, i confini di essa (5 Nov.
1823.).
Nell'Adelchi
di Manzoni, il diacono
Martino, raccontando la sua prodigiosa traversata delle Alpi, compiuta non
senza l'aiuto divino ("Dio gli accecò, Dio mi guidò", III, 2, v.
167), riconosce di essersi avvalso, di fatto, della guida del sole:"Era
mia guida il sole/Io sorgeva con esso, e il suo viaggio/seguia, rivolto al suo
tramonto"(III, 2, vv. 207-209).
Insomma gli spiriti eletti in tutti i tempi sono stati
amanti della luce e adoratori del sole.
Questa riconoscenza per il sole interpretato quale Dio, o
quale immagine visibile di Dio, è presente, come si vede, in vari autori della
letteratura europea.
Eppure gli idolatri che "natura
(…) prona finxit"[9] non vedono nel sole se non una palla di fuoco
con la quale abbronzarsi o un fuoco malefico dal quale ripararsi.
“Il sole lo maledicono i fiacchi: per loro quel che
conta di un albero è l’ombra”[10].
Ma torniamo al Pontefice
nostro
Le sue idee sono buone e sono chiare .
Sentiamone un’altra: “Il messaggio di Gesù è la
misericordia. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo”. La
misericordia infatti è bella e radiosa come il sole.
Fossi Napolitano, affiderei a Francesco una sorta di
reggenza sull’Italia.
Cari saluti, e a presto, ai miei 14923 lettori.
Dalla
fine di gennaio, quando abbiamo cominciato, stiamo crescendo a una media di 274
al giorno. Con noi cresce l’Italia desiderosa e capace di amare la cultura e la
vita. L’Italia del suo patrono.
Giovanni
ghiselli g.ghiselli@tin.it
[1]
E. Morin, L’identità umana, p. 164.
[2]
Dante, Paradiso, XI, 64-66 e 73-75.
[3]
E. Auerbach, Studi su Dante, p. 232.
[4]
Dante, Paradiso XI, 88-89
[5]
Cantico di Frate Sole.
[6] Erodoto, II, 104.
[7] S. Freud, L'uomo Mosè e la religione monoteistica , in Freud Opere 1930-1938 , pp. 350 e sgg.
Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1.
[10]
F. Nietzsche, La gaia scienza, p. 31.
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