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venerdì 8 marzo 2013

Il falso sciocco e politici ganascioni (maiores maxillae)


 Il falso sciocco e  politici ganascioni (maiores maxillae[1].

La manìa e la  smania della distruzione delle intelligenze fa parte dalla mente autocratica:  sappiamo da Erodoto  che la scuola dei tiranni insegna a uccidere gli oppositori in generale, e, prima di tutti, chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza.
Periandro di Corinto, quando era ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era  scatenata del tutto, accolse il suggerimento di Trasibulo di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto..tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte i cittadini che si distinguevano ( Storie V, 92 h).
Il despota esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: si  mostrò all’ araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano. Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").

Aristotele nella Politica racconta la storia di Periandro e Trasibulo variandola[2] e assimila il decollamento dei migliori all’ostracismo operato dalla democrazia che vuole conseguire l’uguaglianza (diwvkein th;n ijsovthta, 1284a), e, quindi, i democratici ostracizzavano (wjstravkizon) e allontanavano dalla città quelli che parevano sopravanzare nel potere  (tou;~  dokou`nta~ uJperevcein dunavmei) per ricchezza, per gran numero di amici o per qualche altra forza politica. Allora non è logico scagliarsi contro Periandro e Trasibulo che tagliavano le teste. Questo infatti conviene non solo ai tiranni e non solo loro lo fanno, ma funzionano allo stesso modo le oligarchie e le democrazie. Infatti l’ostracismo ottiene lo stesso effetto con il reprimere e mettere in fuga tou;~ uJperevconta~, le persone che eccellono.
Qualunque potere dunque decapita i più intelligenti
Tra intellettuali liberi e potere non sono possibili rapporti di collaborazione secondo il Pasolini degli Scritti corsari  che infatti gli sono costati la vita:" il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi". (p. 113).

Tito Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza parole:" rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "(I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della  reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei papaveri
 Per salvarsi dal tiranno che taglia le teste lucide, eccellenti, bisogna fingersi stupidi.
“Perché non vi è nulla di più pericoloso di un uomo che rifiuta di sottomettersi alla tirannia”[3].
Bruto, per salvarsi da Tarquinio il Superbo, aveva stabilito di non lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato:"Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnŭit cognomen "[4] pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto.

Ma quella che sembrava pazzia agli stupidi, era invece genio. Quando l'oracolo delfico infatti preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che per primo avesse baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet  quod ea communis mater omnium mortalium esset " I, 56, 12, come se fosse caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente poiché quella era la madre comune di tutti i mortali.

Interessante è il commento di Bettini alla finta scivolata del falso sciocco.
Questo particolare non irrilevante si trova anche in altri autori. "Il racconto di Dionigi appare, in questo episodio, leggermente variato[5]. Egli infatti ambienta la scena non direttamente nel tempio di Delfi, come Livio, ma la ritarda sino al momento dello sbarco in Italia: in questo modo, la terra mater assume simultaneamente anche il connotato della terra patria. Ancora, in Dionigi manca il tema della caduta simulata: Bruto, semplicemente, si china a baciare la terra, compiendo un gesto rituale antico e frequente, in coloro che tornano a casa dopo un lungo viaggio[6]Ovidio, al contrario, resta fedele al tema della simulazione:"ille iacens pronus matri dedit oscula terrae,/creditus offenso procubuisse pede"[7] ( giacendo disteso al suolo dette un bacio alla terra madre, dando l'impressione che fosse caduto per aver inciampato). Qui Bruto inciampa, non scivola come altrove: però si tratta ugualmente di una caduta, e di una falsa caduta"[8].
Bettini procede facendo notare che la stupidità, vera o simulata, tira al basso. "In generale la poca stabilità sulle gambe, l'attrazione verso la terra - la tendenza, insomma, a mutare la posizione eretta umana e normale con quella a terra - sembra costituire un tratto tipico dello sciocco e del buono a nulla: ovvero di colui che finge di esserlo. Dell'imperatore Claudio si sottolinea frequentemente l'andatura vacillante, il "dexterum pedem trahere" (trascinare il piede destro), e così via[9]. Il carattere tardus dell'intelletto sembra avere il suo corrispettivo nella tardità fisica…David,  fingendosi pazzo alla corte di Achis "si lasciava cadere fra le loro mani e inciampava nei battenti della porta"[10]. Dunque anche David scivolava giù e inciampava, come Bruto a Delfi. Ma anche Amelethus, quando lo incontriamo la prima volta nella reggia di Fengo, giace "abiectus humi" (buttato a terra), sporco[11]... Lo stupido, tendendo al basso, alla terra, con la sua andatura incerta e le sue cadute, il suo inciampare, la sua amletica posizione di humi abiectus, di disprezzato Ceneraccio, riconferma  la propria natura animalesca, il suo essere brutus: come gli animali che, com'è noto, "natura (…) prona finxit"[12] (la natura ha creato proni verso terra). Del resto…il valore originale dell'aggettivo brutus è proprio quello di "pesante": chi è brutus ha un ingegno che tira al basso. Cadendo a terra Brutus - per fare un gioco etimologico caro ai poeti antichi - diventa "realmente" brutus. I cugini Tito e Arrunte, nel tempio del dio di Delfi, non si saranno certo meravigliati del suo gesto, lo avranno trovato normale. E' stupido, è brutus, e quindi cade. Magari avranno riso di lui"[13].  


Digressione su Amleto. Si può saltare.
Amleto prima di essere il protagonista eponimo del dramma di Shakespeare fu un’antica storia scandinava, senza autore, ma dotata di una sua vita nella tradizione orale. Il primo accenno ad essa lo troviamo in una canzone composta intorno al 980; la prima versione completa è nei libri III e IV delle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus intorno all’anno 1185. In 16 libri lo storico danese racconta le vicende dei Danai dalle origini mitiche ai suoi giorni. Morì nel 1210.
Amleto è presente anche nella psicologia.
Freud sostiene che Amleto  è paralizzato dalla coscienza che lo zio ha attuato quanto avrebbe voluto fare lui stesso:" Secondo la concezione tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d'uomo la cui vigorosa forza d'agire è paralizzata dalla forza opprimente dell'attività mentale ("la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero", III, 1). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra nell'ambito della nevrastenia. Senonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce nell'adempimento del compito che lo spettro del padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull'uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l'uomo che gli mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi"[14].

Pirandello sostiene che l'Oreste dell'Elettra  di Sofocle diventerebbe Amleto quando si producesse "uno strappo nel cielo di carta del teatrino (...) quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia"[15].
 Amleto dunque sarebbe un personaggio paralizzato dalla consapevolezza del male.
 Amleto secondo O. Wilde fu l'inventore del pessimismo che incupisce la terra:"il mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica"[16]
Ebbene un Oreste amletico, come personaggio "terribilmente sconcertato" e consapevole, è già presente nella tragedia greca ed è il protagonista dell' Oreste  di Euripide. Infatti a Elettra che gli domanda:"tiv crh'ma pascei"; tiv" s j ajpovllusin novso" ;"(v. 395) che cosa soffri? quale malattia ti distrugge?, egli risponde:" hJ suvnesi", o{ti suvnoida dein j eijrgasmevno"" (v. 396) l'intelligenza, poiché sono consapevole di avere commesso cose terribili.  E se Amleto dice a Guildestern "Denmark's a prison " (II, 2)  la Danimarca è una prigione, Oreste fa a Pilade:"oujc oJra" ; fulassovmeqa frourivoisi pantach'"(v. 760), non vedi? siamo sorvegliati da sentinelle da tutte le parti.
  
Livio racconta pure che Bruto aveva portato in dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo fatto a questo scopo, recando un’ immagine enigmatica del suo carattere:"aureum baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per ambagem effigiem ingenii sui"[17]. "L'offerta funziona dunque come un indovinello, che simbolicamente rappresenta la falsa stoltezza dell'eroe. Il falso sciocco si configura come un involucro di materia vile che nasconde un'anima aurea… Bruto offre al dio un'immagine di se stesso, e della sua intelligenza fasciata di stoltezza. Come il Sileno platonico-l'astuccio ligneo, e di aspetto rozzo, che cela al suo interno la statua della divinità[18]-anche il bastone di Bruto manifesta simultaneamente i contrari. In questo senso si potrebbe anche dire che l'oggetto che Bruto offre al dio funziona alla maniera di un ossimoro, quella figura retorica che fa coincidere in uno stesso sintagma due pefetti contrari: come l'oraziana "concordia discors", o il miltoniano "darkness visible". La materia più nobile e desiderata -l'oro- e quella più vile e mal augurante - un legno scadente e infelix- sono poste forzatamente una dentro l'altra. L'oggetto è ossimorico proprio come ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia. Diciamo meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che il significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle figure retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[19] .
“Il falso stolto deve anche farne, di sciocchezze, oltre che dirne. Odisseo a Itaca, davanti a Menelao e Agamennone, aggioga all'aratro un bue e un cavallo e se ne va in giro con in capo il berretto (pileus) dello stolto[20]. Peccato che non possiamo più vedere un celebre dipinto di Eufranore che stava a Efeso, forse nel santuario di Artemide.
Plinio lo descriveva così:"Ulisse, fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un cavallo: vi sono anche uomini pensosi vestiti col pallio, e un comandante che rinfodera la spada"[21]. Ecco che le plateali insensatezze del (falso) sciocco suscitano il dubbio e lo sconcerto dei cogitantes, i personaggi "pensosi" che lo osservano” [22].
Per giunta Odisseo spargeva sale nei solchi atto con il quale si consegna la terra alla sterilità.
“Solone, per parte sua, se ne uscì invece in pubblico "deformis habitu more vecordium" (tutto malvestito alla maniera dei pazzi), ovvero con in testa il famoso berretto[23] "[24].
        
Tacere e dissimulare è un modo per resistere alla stupidità della tirannide. Così avviene in 1984  di Orwell dove gli slogan del Partito sono:" La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza, (p. 8)...Non si possedeva di proprio se non pochi centimetri cubi dentro il cranio...Non era col farsi udire ma col resistere alla stupidità che si sarebbe potuto portare innanzi la propria eredità di uomo" (p. 31). 
Falso sciocco è anche Demo nei Cavalieri di Aristofane. Il coro lo accusa di dabbenaggine: sei uno facile da ingannare (eujparavgwgo" , v. 1115), gli dice, ti piace troppo essere adulato. E il vecchietto irritabile, sordastro (duvskolon gerovntion-uJpovkwfon, vv. 42-43) risponde: non avete senno sotto le vostre zazzere, se credete che io non capisca “ejgw; d  j eJkw;n -tau't  j hjliqiavzw”, vv. 1123-1124), io mi comporto da sciocco apposta, e così me la godo a farmi portare da bere. Il Popolo insomma ha permesso ai demagoghi, Paflagone in testa, di essere ladri, per poi costringerli a vomitare fuori (pavlin ejxemei'n, v. 1148) il maltolto, usando l’urna elettorale per provocare il vomito. 
Io spero che pure noi Italiani siamo  degli sciocchi solo per finta e per gioco, e che ora, finito il tempus ludendi, il tempo di giocare, si sia capito che è arrivato il tempus puniendi, il momento di castigare i profittatori sganascioni mandandoli via.
Dicono che c’è una crisi, annona mordet, il prezzo del cibo ci divora,   e da tempo populus minutus laborat il popolo minuto soffre, ma intanto,  istae maiores maxillae semper Saturnalia agunt, queste ganasce troppo grosse fanno sempre carnevale[25]. Questo dice il liberto Ganimede nel Satyricon di Petronio. E procede, anticipando in qualche modo lo stile di Grillo: “sed quare nos habemus aedilem trium cauniarum, qui sibi mavult assem quam vitam nostram?…sed si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret." (44, 13-14), ma perché ci teniamo un edile[26] che vale tre fichi secchi, uno che preferisce un asse per sé alla nostra vita?…ma se noi avessimo i coglioni non sarebbe tanto soddisfatto di sé.
Le sperequazioni inique ed empie irritano persino gli dèi: “dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus. Agri iacent”, gli dèi ci vanno con i piedi di piombo, poiché non siamo religiosi. I campi sono prostrati.
Dall’incuria e dai morbi dei capi che rendono malata la terra. Così non sia più.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1] Questo pezzo fa parte della chiacchierata che farò a Padova, nella sala Rossigni del caffè Pedrocchi, il 19 marzo alle 18
[2] E’ il tiranno di Corinto che dà il consiglio a quello di Mileto
[3] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 20.
[4] Livio, Storie I, 56, 8
[5] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, 4, 69, 3.
[6] E. Fraenkel, Aeschylus. Agamemnon, Clarendon Press, Oxford, 1962, II, pp. 256 sgg. (nel commento al v. 503); Olgivie, A Commentary on Livy cit., p. 228: sul bacio alla terra vedi in particolare F. Lot, Le basier à la terre. Continuation d'un rite antique, in Pankrateia, Mélanges H. Grégoire, Bruxelles 1949, pp. 435 sgg.
[7] Ovidio, Fastorum libri, 2, 720. Così Valerio Massimo, 7, 3, 2:"perinde atque casu prolapsus, de industria se abiecit". Per il tema del "baciare la terra", cfr. J 1652; A 401.
[8] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, pp. 95-96.
[9] Seneca, Apocolocyntosis, 5, 1; Svetonio, Divus Claudius, 2; 21; Seneca, Apocolocyntosis, 1 e 5.
[10] Il libro dei Re, 21, 11 (=Il libro di Samuele, 21, 11-13).
[11] Saxo, 3, 6, 6.
[12] Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1.
[13] M. Bettini, op. cit., p. 98.
[14]S. Freud, L'interpretazione dei sogni , pp. 250-251.
[15]Il fu Mattia Pascal, p.173.
[16]La decadenza della menzogna  in Oscar Wilde, Opere, p. 224.
[17] Livio, I, 56.
[18] Platone, Simposio, 215b, 221d sg.; Lanza, Lo stolto, Einaudi, Torino 1997, pp. 32 sgg.
[19] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 2000, p. 86.
[20] Igino, Fabulae, 95.
[21] Plinio, Naturalis historia, 35, 129.
[22] M. Bettini, op. cit., p. 59.
[23] Giustino, 2, 7; Plutarco, Vita di Solone, 8, 1, sg.
[24] M. Bettini, op. cit., p. 59.
[25] Travestiti da maiali oltretutto
[26] Era un magistrato  addetto, tra l’altro, alla sorveglianza dei mercati.

1 commento:

  1. Mi piace il tempus puniendi e Petronio è sempre un grande. Bravo!
    alessandro

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