martedì 12 marzo 2013

Fides e perfidia

Il nostro governo si è coperto d’infamia e disonore venendo meno alla parola data a quello indiano. Un’onta che ricade su tutti noi Italiani, se non ci dissociamo. Io ne provo vergogna. Non sono uno stinco di santo, ma quando faccio una promessa, la mantengo, e quando dico una cosa, deve essere quella.
Non solo per motivi etici, ma anche per la mia dignità, la mia credibilità e, dopo tutto anche perché mi conviene. Infatti se calpesto la fides, se non rispetto il foedus, il patto di cui la fides è garante[1], tutto quello che dico, ogni promessa, ogni parola mia, perde valore, poiché divento, se va bene un buffone, se no un perfido truffatore agli occhi di tutti.

Fides è un valore di base della civiltà latina, un valore politico, giuridico e pure etico. Cicerone nel De officiis [2] ne  dà una definizione  " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides  è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti. Fides  è il rispetto del foedus.
La fides era ed è un valore per le persone  per bene.
Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini [3] al posto del culto della fides troviamo quello della perfidia, la santa protettrice dei servi mascalzoni:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la Malafede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida. Anche oggi i farabutti onorano e praticano la perfidia e deridono la fides degli ingenui. La destra guidata da quel galantuomo di La Russa sta plaudendo alla slealtà del governo.

La storia di Attilio Regolo che, pur sapendo di rischiare il supplizio, tornò dai Cartaginesi poiché l’aveva giurato, è molto nota e la menziono soltanto.
Riferisco invece un episodio più antico e meno conosciuto di lealtà premiata. 
Tito Livio [4] racconta che gli abitanti di Faleri, in guerra con i Romani guidati da  Furio Camillo, nel 394 a. C. si arresero al tribunus militum consulari potestate dopo che questi si fu rifiutato di conquistare la città etrusca grazie al tradimento di un maestro di scuola che voleva consegnargli i figli dei maggiorenti a lui affidati. L’aio fellone si recò da Camillo offrendogli i suoi piccoli allievi in ostaggio. Il comandante romano si sdegnò, lo fece denudare, e lo consegnò ai fanciulli, con le mani legate dietro la schiena, affinché lo riconducessero a Faleri. Ai ragazzini diede anche delle verghe perché spingessero il traditore nella loro città verberantes[5] a frustate.   
Quando i pueri giunsero, dapprima accorse il popolo, quindi i magistrati convocarono il senato. Il foro e i senatori esaltarono la lealtà romana e la giustizia del comandante: "Fides Romana, iustitia imperatoris in foro et curia celebrantur" (V, 27, 11).
Poi degli ambasciatori vengono mandati a  Camillo per offrire la resa, e da lui inviati a Roma, in senato. I legati etruschi dissero che pensavano di vivere meglio sotto il governo romano che con le loro leggi, e che con l'esito di quella guerra erano stati offerti due salutari esempi al genere umano:" vos fidem in bello quam praesentem victoriam maluistis; nos fide provocati victoriam ultro detulimus" (V, 28, 13), voi avete preferito la lealtà in guerra a una vittoria immediata; noi, sollecitati da questa lealtà, vi abbiamo offerto spontaneamente la vittoria. Nel buon tempo antico dunque l'osservanza della fides procurava vittorie e vantaggi.  
Io sono convinto che la lealtà sia tuttora un valore non solo buono e bello, ma anche utile. Penso che questa slealtà dei nostri ministri, dopo averci coperto di infamia, disonore e vergogna, ci nuocerà anche sul piano economico e politico
Chiedo a quanti tra i miei diecimilaseicentosessantadue lettori sono d’accordo, di segnalarlo su questo blog, anche in forma anonima. Dobbiamo prendere le distanze da tali  gesti, che oltre essere peccati morali ed estetici, sono errori politici dannosi per tutta la nostra nazione.

Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1] Le due parole fides (lealtà) e foedus (patto) sono anche etimologicamente imparentate.
[2] Del 44 a. C.  
[3] Plauto visse tra il 255 ca e il 184 a. C.
[4]  59 a. C.-17 d. C.
[5]Tito Livio, Ab urbe condita V, 279.

2 commenti:

  1. Io sono totalmente d'accordo. Passiamo per i soliti fedifraghi di cui non ci si può mai fidare, e non si può dire che non sia un sentimento giustificato.
    alessandro

    RispondiElimina
  2. io sono completamente in disacordo, in quanto il primo a coprirsi d'infamia è stato il governo Indiano che non applicando le leggi internazionali da loro sottoscritte ha incarcerato dei cittadini stranieri. Attirati con l'inganno nelle loro acque territoriali per poterli arrestare.
    Il Governo Indiano sa che nessuna legge internazionale gli permetterebbe di processare i nostri cittadini e pertanto da oltre un anno rimanda il giudizio.
    Pertanto sarei più cauto a esprimere dei giudizi se non si conosce il problema.
    Non si può essere onesti con chi è disonesto.

    RispondiElimina

IPPOLITO di Euripide del 428 Prima scena del prologo.

  La potenza di Cipride Ecco come si presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’ Ippolito : “ Pollh; me;n ejn brotoi'&...