venerdì 20 dicembre 2013

La scuola corrotta nel paese guasto. II capitolo. Seconda parte



Malga Panna


Il nostro sbudellarci davanti al fuoco della malga Panna. Lasciamo fare al destino. La giornata della donna. Il colpo inferto sulla piaga dell'anima. Il burrone interiore.

Gianni. In questi lunghi giorni di solitudine ti ho pensata a lungo, ma non sempre bene.

Ifigenia. Lo so. L'ho capito dalla tua telefonata. Mi ha tolto l'equilibrio. Io, dopo Ludwig, avevo trovato un ottimo accordo con la tua immagine: con il tuo aspetto, il tuo pensiero, con tutta la tua persona. Fino al pomeriggio di ieri l'altro, ti amavo di nuovo. Ma poi, con quella uscita da pazzo, hai fatto impazzire anche me.

Gianni. Spiegati meglio; che cosa vuoi dire?

Ifigenia. Adesso la mia anima non è più completamente indirizzata e impegnata ad amarti. Io sento degli strattoni che mi fanno vacillare. Provo interessi nuovi, molto forti, e non so conciliarli con l'amore per te. L'ho sentito dopo la telefonata. Con la tua possessività esigente, ansiosa, mi hai fatto paura. Se vuoi, te ne posso dare un'immagine attraverso una metafora semplice ed evidente.

Gianni. Va bene.

Ifigenia. Nella mia testa c'è un tarlo che rode, scava, e tende a distruggere il nostro amore.

Gianni. Puoi dargli un nome?

Ifigenia. Sì. E' l’assillo del maestro.

Gianni. Vuoi dire che sei ancora innamorata, o ti sei innamorata di nuovo, del maestro di danza?

Ifigenia. No, non di lui. E' un fatto più generale. Gennaro però mi ha dato coscienza del problema. Capisci? E tu, per quale ragione non pensi bene, o non soltanto bene di me? Il tuo assillo qual è?

Esitai un momento prima di darle la cruda risposta. La osservavo: i bagliori del fuoco le illuminavano cupamente la parte sinistra del volto.
Gianni. Io sento il bisogno di amare una ragazza dall’anima lucida e aperta, generosa, piena di slanci. Temo che tu l’abbia già appesantita, ingombra di pregiudizi che te la annebbiano. Miri troppo al successo.

Ifigenia. Tu dici? Io non credo.

Gianni. Ma tu, francamente, adesso hai voglia di fare l'amore con il maestro di danza?

Ifigenia. No, ti ho detto di no; tuttavia l’emozione provata per lui mi ha fatto capire che sento il problema del maestro in generale. E' una cosa seria per me. Anche tu d'altra parte, provando un sentimento forte per una ragazza non bellissima, non tanto intelligente, nient'affatto schietta, pur mentre stavi con me, e io ero innamorata di te, devi avere capito che vuoi una donna di altro formato dal mio. Non è così?

Gianni. Può essere. Ma adesso non ho in mente nessuna in particolare. Tranne te voglio dire.

Ifigenia. Sì, perché insegni in una quarta ginnasio e le tue alunne sono ancora troppo piccole per i tuoi gusti. Aspetta che siano cresciute e vedrai!

Gianni. Non credo che mi innamorerò di un'allieva. E tu a quale maestro tendi ora, a Gimondi? E' lui il problema per te?

Ifigenia. No. Ma solo perché non mi piace fisicamente. Te l'ho detto. E' grasso. Però, se non avesse la pancia, potrebbe essere un assillo anche lui. Capisci che cosa vuol dire? Il primo regista bravo e di aspetto passabile, mi attirerà; probabilmente me ne innamorerò. Forse adesso io devo stare sola. Tu ieri, con la tua scena matta, mi hai terrorizzata. Il nostro amore a questo punto è inquinato. Io ho perso fiducia in te. Credo che se tu avessi potuto fare l'amore con quella sciagurata supplentucola senza cervello, mi avresti lasciata. Solo che lei, pur lusingandoti, non ti ha dato l'occasione sufficiente. Durante la gita scolastica a Roma, ti ho visto corteggiarla in modo così evidente e convinto che se ti avesse contraccambiato solo a metà, vi sareste abbracciati davanti a me. Io quando ero innamorata di te, ti sarei saltata in braccio mentre pregavi in chiesa, se mi avessi incoraggiata in quella maniera. Ma Lucia non si è mossa. Per questo, solo per questo, tu sei rimasto con me.

Gianni. Non è vero. Alla fine dell’anno scolastico scorso, rispondendo a un bigliettino ambiguo che mi aveva infilato in tasca, le scrissi che la storia di Ulisse e Nausica, ovvero la mia e la sua secondo lei, non era una storia d'amore. Oppure era un amore fallito. E in gita scolastica, in treno, di fronte a quella ragazzotta insignificante, io misi un braccio sulla tua spalla per dire a entrambe che la mia donna comunque eri tu.

Ifigenia. Sì, questi particolari sono veri. Però rimane il fatto d'insieme, e determinante, che Lucia non ti ha mai dato l'occasione di cambiare me con lei. Sennò nei momenti più acuti della tua emozione malata, l'avresti fatto. Ne sono sicura.

Gianni. Io no. E tu, l'occasione del maestro di danza, l'avresti presa se te l'avesse data?

IIfigenia. Non lo so. So che non me l'ha data.

Gianni. Non hai detto che una volta ti ha offerto un passaggio in macchina e l'hai rifiutato?

Ifigenia. E' vero. Però era soltanto un passaggio appunto, e se l'accettavo magari potevo finire a letto con lui, e tale opportunità non è bastata a staccarmi da te, d'accordo; ma se Gennaro mi avesse detto che era innamorato, che voleva stare con me, istruirmi, inserirmi nell'ambiente del teatro, francamente non so se avrei rifiutato. Anche tu, Gianni, non credo che avresti respinto Lucia se si fosse offerta di amarti, di stimolarti a studiare, magari anche di tenerti la casa in ordine, di farti da ancella, o che so io, quando ne eri innamorato. Ti tremava la voce quella sera nel treno. Non hai idea di quanto mi hai fatto soffrire. Noi siamo rimasti legati perché quei due non hanno contraccambiato le nostre emozioni. Non dico solo per questo, ma anche per questo. Sai che cosa significa? Che mentre stiamo insieme, cerchiamo l'amore in altre persone, ciascuno in una che gli assomigli più di quanto io sono simile a te e tu a me: non abbastanza. Hai provato attrazione per quella, proprio perché la trovavi più somigliante a te e alla tua razza. Tanto nell'aspetto quanto nel carattere. Venivi a domandarmi: "Ma Lucia è calvinista?" in quanto studiava molto, e si sentiva in peccato mortale quando una lezione non le riusciva e gli allievi non l’ascoltavano: proprio come fai tu. Poi dicevi che ti ricordava tua sorella. Ebbene io avevo notato che somigliava anche a te, e alla più bella delle tue zie in quelle foto di sessant' anni fa: sì alla Rina ventenne. Così attirava il tuo narcisismo, la tendenza all'incesto, e chissà quante altre perversioni tue. Del resto io pure, nel maestro di danza devo avere trovato qualche cosa di simpatico, di congeniale o consustanziale a me stessa.

Gianni. Sei intelligente, tu. Hai un'anima. Quando ti sento parlare così, mi assale la brama del tuo letto, anzi quella delle nozze con te[1], e mi rimorde molto avere sciupato l'amore, la stima che tu avevi per me. In quanto hai detto c'è della verità. Però bisogna aggiungere che, nonostante le emozioni malate e passeggere per gli altri due, noi siamo rimasti insieme, e non abbiamo perduto tempo, anzi, abbiamo fatto diverse cose importanti, e ne stiamo facendo ancora. Non mi riferisco soltanto alle nostre scopate, comunque arcibelle, numerosissime e sacrosante. Io ho scritto un dramma, breve se vuoi, magari di interesse ristretto al popolo non numeroso dei licei classici, o, se preferisci, alla gente grama del nostro ginnasio, ed è fallito pure là dentro. Ma questo non vuol dire che sia brutto, insignificante o non espressivo dei tempi; forse ho avuto fretta a concluderlo, oltretutto in anticipo rispetto ai gusti della gente, come hai detto tu stessa. Ma presto riprenderò a scrivere: intanto a commentare l'Edipo re con il mio metodo comparativo e con una prospettiva europea, un lavoro al quale tu mi hai incoraggiato e hai contribuito non poco, quindi porrò mano a un'opera grandiosa dove confluiranno le mie esperienze, i miei studi, le mie gioie, i dolori, e perché no, il cielo e la terra[2]. Anche questo lo dovrò a te, al nostro rapporto variopinto per la varietà infinita di tutti i suoi aspetti. Perciò vorrei che non finisse presto, anzi che non finisse mai.

Ifigenia. Ho capito. Tu scrivi. Ed io secondo te quali capacità posso acquistare, o accrescere, se la nostra storia continua?

Gianni. Tu ora stai preparando due esami non facili. Da me, quanto meno, ricevi un metodo e un ritmo di studio. Per l’abilitazione all’insegnamento prendi anche parecchie nozioni e idee. Poi, quanto più si allarga la tua umanità, tanto più impàri e mi restituisci moltiplicato. Quei due non ci hanno offerto il loro amore, è vero, però nemmeno noi glielo abbiamo chiesto. Io almeno non l'ho fatto.

Ifigenia. Io nemmeno. Anche in quello che dici tu c'è del vero. E tu pure, sicuramente hai un'anima non ordinaria. Prima citavi l'Ifigenia in Aulide, vero? "

Gianni. Sì.

Ifigenia. Vedi che bravo maestro sei stato? Io probabilmente ti amo. Però l'anno prossimo, anzi, subito dopo l’esame alla scuola di recitazione, cercherò di cambiare lavoro, andrò a vivere, in una grande città dove nascono le idee, dove si crea cultura, dove si dà e si riceve, si fa e si disfa il potere: a Roma, o a Milano. E voglio andarci senza te. Per imparare a cavarmela da sola, o forse piuttosto per avere l'opportunità di incontrare un altro maestro geniale, uno che mi aiuti a crescere nel campo attoriale. Tu mi hai spinta a pensare, a studiare; mi hai donato la vita tua e hai chiarito la mia a me stessa: te ne sono, te ne sarò grata sempre; ma presto avrò bisogno di imparare delle cose che tu non puoi insegnarmi. Io sento la necessità di recitare, come tu senti il bisogno di scrivere. Perciò è meglio se ci lasciamo presto, o anche subito".
Le stavo seduto di fronte e avevo il fuoco sul fianco destro, piuttosto vicino: sudavo, mi bruciavano gli occhi, mi tremavano le mani al pensiero della fine anticipata del nostro rapporto. Per fortuna non era destino. Ma allora non lo sapevo: dovevo mettercela tutta per arrivare con lei fino al momento in cui avrei sentito la necessità di cominciare a scrivere.
Ad un tratto un pezzo di fuliggine o qualcosa del genere mi entrò nell'occhio destro: il più miope, il più debole, e già aspreggiato sia dal fumo, sia dalla lente a contatto che portavo da quindici ore. Cominciai a lacrimare. "Scusa – dissi – mi è entrato un pezzo di non so che roba in un occhio".
Ifigenia mi accarezzò. La cameriera grassotta ci osservava dal banco con i suoi piccoli occhi, affondati nella carne copiosa, e protetti dalle scintille. Dovevo fare pietà anche a lei. Ifigenia disse: "Che tragedia!".
"Perché tragedia? – domandai – Se non vuoi più stare con me, puoi lasciarmi anche subito".
"Non è così semplice - rispose - Nonostante tutto, io credo di amarti; o, quanto meno, mi sento ancora legata a te".
Il pezzo di roba uscì dall'occhio straziato che provò sollievo; asciugai la guancia lacrimosa e, recuperato un poco di coraggio, dissi: "Io sono sicuro di amarti poiché ho plasmato il tuo spirito e mi sono lasciato potenziare, raddrizzare, nel mio, debole e sghembo, dalla tua forza di donna esemplarmente bella. I tarli, è vero, ancora purtroppo ci sono, ma quale logica ci sarebbe nel lasciarci, prima che i sentimenti positivi siano esauriti e sia compiuta l'opera di educazione reciproca? Pensa a quante cose buone possiamo mettere insieme noi due. Aspettiamo di non avere altro da costruire in comune, arriviamo almeno a superare i tuoi esami per i quali sto studiando anche io, tanto che finora non ho trovato il momento opportuno per cominciare la mia, la nostra creazione secondo lo spirito. Non potrò più sopportare me stesso se non riuscirò a dimostrarti di sapere scrivere un capolavoro ispirato da te e degno di me. Dammi questa possibilità di redenzione e riscatto: vedrai che gli errori miei e tuoi, le nostre pene, delusioni e sconfitte, troveranno una giustificazione estetica, nella bellezza voglio dire, e noi ci innamoreremo di nuovo l'una dell'altro, come quando tu credevi in una vita felice con me, e ci credevo quasi anche io. Poi è successo qualcosa: un salto retrogrado nell'abisso degli antichi terrori, cioé del nostro passato. Quasi un riflesso condizionato. Ma ora ne parliamo: ne stiamo prendendo coscienza. Perché dobbiamo lasciarci, mentre la vicendevole educazione non è compiuta, e la mia opera non è nemmeno avviata?".
Tirai il fiato. Ce l'avevo messa tutta, non potevo aggiungere altro. La guardai attentamente cercando di piacerle, di essere espressivo e non stralunato, nonostante soffrissi ancora lo strazio della cornea colpita dalle faville ardenti. La studiavo: era bella, cupamente bella; il suo volto veniva acceso e imbrunito piuttosto che illuminato dai guizzi del fuoco."Se perdo una donna di questo formato - pensai - dove ne trovo un'altra che non me la faccia rimpiangere per tutta la vita?"

Finalmente disse la sua sentenza: "Va bene. Possiamo restare insieme. Non so quanto. Io adesso devo pensare agli esami. Dopo si vedrà. Lasciamo fare al destino".
"Manco male" pensai, usando un'espressione quasi apotropaica, raccolta dall’allegra brigata dei colleghi della scuola media di Carmignano dei miei venticinque anni. "Certo – risposi – come abbiamo fatto sempre, con la coscienza di essere cari agli dei, favoriti da loro e dai nostri caratteri mai discordi con il volere del fato. Adesso andiamo a dormire, ché è tardi".
Ci alzammo, pagai il conto alla grossa signorina e tornammo alla Campagnola. Non mi sembrò il caso di fare altre proposte, pur sacrosante.
Sicché ognuno andò direttamente in camera sua. Quando mi trovai solo nel letto, dovetti fare i conti con sensi di colpa e di inferiorità che, tutti sommati, davano angoscia. Cercavo di trasformare i sentimenti in ragionamenti.
Pensavo: "E' vero che solo attraversando il dolore si può andare oltre il dolore, che sono passato per Esmeralda e le altre, prima di arrivare a Ifigenia, necessaria al mio scrivere, come Päivi lo fu al mio studiare, la Sarjantola al mio sentirmi accettato dalle donne e dalla vita stessa; ma in questo modo con le persone ho rapporti di sfruttamento. Così i miei progressi, se pure ci sono, costano sofferenze infernali, siccome non posso vivere me stesso e il prossimo mio con totale chiarezza e piena fiducia. Ifigenia è stata una creatura mia, l'ho fatta crescere io: è mia figlia più che se l'avessi messa al mondo: devo provare a considerarla un fine, non un mezzo. Sì, ma se è lei che non vuole essere uno scopo per me? E poi per quale ragione non deve volermi? Perché non le piaccio? O non le convengo? Oppure non si fida di me? Dice che l'ho ingannata e delusa con la storia di Lucia. Ma lei stessa prima mi aveva mentito promettendomi e non scrivendomi quella lettera agognatissima! Quanto devo penare ancora per la restaurazione del bene prezioso che ho adulterato? Quali altre sofferenze dobbiamo infliggerci per riparare i danni della mutua ingiustizia? Dio, aiutami tu!".
Mi addormentai tra questi tormenti.
La mattina mi svegliai di pessimo umore. Il sole non c'era. Pensai subito male. "Ieri ho dovuto pregarla perché non mi lasciasse subito, oggi stesso, otto marzo, giornata della femmina. L'ho convinta solo del fatto che troppo presto non le conviene. L'ho indotta a pensare che se mi pianta prima dell'esame di abilitazione, rischia la bocciatura, somara qual è. Mi ha concesso tre, quattro mesi di proroga dunque, la brava ragazza che per Capodanno volle brindare all'eternità del nostro amore! Cialtrona! Ma se crede di sfruttarmi, di succhiare il mio sangue senza darmi in cambio niente, o nient'altro che i suoi baci da Giuda, si sbaglia! Le succhierò l'anima! La provocherò, la spingerò a manifestare le sue zone estreme: le sublimi e le infime, le oscene e le sante, per metterle nella mia storia e renderla più interessante. Te la faccio vedere io l'otto marzo, la giornata della donna! Tu sei una femmina, passera sei, anzi porca sei! Come l'amante, Sandra Milo, in Otto e mezzo di Fellini: ‘Ci vuole un trucco più da porca! Fai la faccia da porca! Cammina molleggiando sui fianconi!’.
Dopo due anni e mezzo che mi sfrutti impudicamente, che mi hai isolato per mungermi con mia consunzione quasi totale, adesso ti accorgi che c'è poco altro da spremere e che ti conviene cercartene uno più utile, più funzionale alla tua agognata carriera da istriona. Ora vuole macellarmi la guitta, la mima volgare. Ma io non sono una mucca imbecille: saprò capovolgere contro di te la tua intenzione malvagia. Ti provocherò, ti punzecchierò, ti squarcerò fino a farti rovesciare tutto il putridume che hai dentro. E su quella sanie, sul tuo dorso di belva costruirò una storia d'amore rappresentativa di questa età malvagia e superba, nemica della virtù[3].Non voglio che una commediante possa diventare seduttrice di esseri genuini”.

Lo sbudellamento davanti al fuoco mi aveva riempito l'anima di tali sentimenti cattivi e pensieri ridicoli. Ci incontrammo nella sala della colazione. Per provocarla subito, le feci notare che la cameriera era bella, bellissima, una meraviglia di donna, non inquinata dai pensieri contorti che devastano le intellettuali gemebonde e le mime ambiziose.
Reagì soltanto con un "non mi piace", simulando indifferenza. Salimmo al rifugio Le Cune, sperando che il sole rompesse le nubi, ma non eravamo degni della sua presenza lieta, e rimase nascosto fino a sera. Eravamo cattivi e meschini. Lo vedemmo volare basso e stanco solo pochi minuti prima che si annidasse tra i monti. Non osai chiedere niente al dio corrucciato. A metà giornata ci sedemmo su una panchina di ferro posta non lontana dal ciglio di una voragine aperta verso la Marmolada. Eravamo cupi e imbronciati. Parlavamo di nuovo della nostra situazione infelice aggirandoci attorno ai soliti temi: perversioni, tradimenti, emozioni cattive, e così via. Cercavo di farle dire qualcosa di nuovo, onde scriverlo tra gli appunti del capolavoro prossimo; ma quella eludeva le domande, replicando con i luoghi comuni che avevamo codificato insieme negli ultimi tempi a proposito del nostro connubio corrotto.
Ad un tratto però, quasi senza volere, riuscii a colpirla in una debolezza essenziale, una zona critica e dolorosa dell'anima, una piaga che, appena sfiorata, la faceva dubitare perfino della sua identità. Dissi soltanto: "Ifigenia, sei più bella, giovane e affascinante adesso di quando ti ho conosciuta. I quasi trent’anni ti donano". Tutto qui. Ma lei, cadutale a terra la maschera di indifferenza con cui si era protetta fin a quel momento, mi guardò con un'espressione di terrore e di odio, poi disse: "Io non cerco nessuna consolazione del fatto che non sono giovane quanto le ventenni delle quali senti bisogno tu per eccitare i tuoi nervi stremati". Quindi si alzò e si avvicinò al ciglio del precipizio. Provai compassione della sua debolezza e mi alzai per andare ad accarezzarla, a dirle che se soltanto mi avesse voluto, non avrei desiderato altro. Ma non potei farlo. Prima che arrivassi a toccarla, Ifigenia fuggì nel rifugio.
Rimasi fermo. Poi la seguii adagio. La raggiunsi. Piangeva. Le domandai perché.
"Ho creduto che tu volessi ammazzarmi buttandomi giù", rispose.
La guardai costernato. Non potevo spiegarle più niente. Dissi soltanto: "Ma va'!". Per tutto il giorno non riacquistò la ragione. Il precipizio l'aveva dentro di sé la ragazza. Era in bilico sul proprio inconscio, un baratro terrificante; oppure era in balia del cavallo nero, contorto e massiccio, peloso fino alle orecchie, come quello maligno della biga platonica.


giovanni ghiselli
g.ghiselli@tin.it

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1 Cfr. Euripide, Ifigenia in Aulide, 1410

2 Cfr. Dante, Paradiso, XXV,1-3.

3 Cfr. G. Leopardi, Il pensiero dominante, 59 e sgg.

2 commenti:

  1. Mi piace molto
    alessandro

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  2. Anche a me piace molto, solo mi chiedo: parlavate davvero così forbito nei momenti più intimi e anche durante le liti? Io non sono capace e provo un poco di invidia , quando sono molto arrabbiata o molto emozionata la lingua mi tradisce....e mi chiedo anche se sei ancora innamorato di lei ,non come allora....ma cosa è rimasto di quella battaglia del cuore ,oltre il romanzo voglio dire .Giovanna

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