giovedì 12 dicembre 2013

La scuola corrotta nel paese guasto, II atto

Socrate
Scuola di Atene di Raffaello



Secondo atto.
Scena unica
Il Preside. La classe.

Preside. Un uomo non bello, nemmeno piacente, anzi piuttosto
sgradevole.
Effettivamente voi senza esame non potrete accedere
all'Università.
Lasciate perdere i ricordi e guardate al futuro: avete davanti un
corso di studi più elevato, e professori dagli intenti più limpidi.
Perché dobbiamo dirla una buona volta questa benedetta verità:
voi nell'ultimo biennio avete seguito un corso immorale.
Ho sentito, senza volere, mentre passavo casualmente di qua,
alcune parole della vostra strana, incresciosa, opprimente lamentela: volevo
retrocedere, poiché non mi piace avere l'aria di ascoltare mentre
mi avvicino e non intendo; tuttavia alcuni nomi sospetti di quella
cantilena fastidiosa, mi hanno indotto a proseguire, francamente
controvoglia, fino alla vostra presenza. Ed eccomi qua in mezzo a
voi. Ospite, immagino, non troppo gradito.
Ebbene, io vi dico chiaro e tondo: non posso tollerare che nella
mia scuola si leggano autori scelti con il criterio e il gusto
dell'immoralità. E' una storia vecchia di due anni: quando presi la
doverosa decisione di mettere ordine qua dentro, il sobillatore
vostro commentava il Satyricon in una terza liceo di ragazze, il
Simposio in seconda, e il canto di Nausicaa  in prima. Come
vedete c'è sempre il sesso nella testa di quell'uomo che vi plagia. Il
sesso e la politica: mi risulta che ha scritto articolacci dove si
legge che per vedere chiaro nelle stragi, bisognerebbe togliere il
segreto di Stato. Senza contare il torbidume erotico di cui mena
vergognoso vanto.
Io certe porcate non le ammetto, perché sono padre di famiglia e so
quanto facile è turbare la sensibilità inquieta degli adolescenti.
Sicché, appena arrivato, cercai di ripulire la scuola da tanto
marciume, ma non potei arrivare al repulisti definitivo poiché
quello aveva l'appoggio degli studenti e dei genitori plagiati;
tuttavia riuscii a sottrargli due classi sbattendolo in una quarta
ginnasio: la vostra. Speravo che si sarebbe vergognato di trattare

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sesso e politica in una classe di quattordicenni; invece colui ha
rincarato la dose: al Satyricon completamente guasto, al Simposio
pericolosamente ambiguo, al sesto canto dell''Odissea interpretato
con malizia, ha osato aggiungere le laidezze sovversive che
stavate rievocando or ora con la vostra nenia triste e spudorata.
Freud, Svevo, Joyce, Kafka, Mann, Proust, non mi curo di leggerli
poiché non mi sento attirato dalla putredine morale dell’arte degenerata e della
decadenza estrema; però se i punti cruciali sono quelli raccolti per caso dal
mio orecchio: pansessualismo, giustizia, vizi, topi affogati nella birra, allora
il ginnasio F non è piegato al mio volere, ma si lascia indirizzare
da quella brutta persona, da quell’ estremista, e immondo donnaiolo per giunta, sulla via raccapricciante dell'anarchia
politica e della trivialità pseudoculturale.

Studentessa.
Non è vero Preside, lei è informato male. Ghiselli è prima di tutto un uomo che studia, e impara e sa raccontare, senza leggere nei fogli o nei quaderni vecchi di decenni come fanno i suoi colleghi.

Preside
I miei informatori, docenti, segretari , bidelli, sono persone serie,
precise, e mi hanno riferito le sconcezze che sono state dette in
questa classe; lerciume che il vostro lamento opprimente del resto
conferma. Sapete che cosa vuol dire pansessualismo? Tutto sesso,
tutto sesso. E giustizia? Vergognosa polemica sociale. Alcuni di
quei libri li ho letti; non sono poi tanto disinformato: il Simposio
contiene un'apologia dell'omosessualità; il Satyricon è la bibbia
della corruzione, e dopo tutto anche il Seneca morale del vostro
bel giustiziere, bastonava a sangue gli schiavi. No, certi scandali
non li tollero più; quel sobillatore lo manderò via, e pure voi, se
manterrete questo atteggiamento, sarete smembrati.

Studentessa.
Sì come Penteo dalla madre e dalle zie baccanti, o come Atteone dai cani.

Preside.
Volete insegnarmi qualcosa? Io non ho niente da imparare.

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Studentessa.
No, infatti. Lei no. Io però a questo punto capisco che non si tratta
più di una faccenda personale tra lei, un docente buono e uno
cattivo: ora la questione è politica, ed io ne voglio parlare alla
classe, anche se lei non è più capace di imparare.

Preside.
Come ti permetti? Stai peggio?

Studentessa.
No. Sia gentile e mi lasci parlare. Oramai non solo la nostra classe,
ma tutto l'Istituto, anzi tutto il paese, sente un bisogno profondo di
pulizia morale e di intelligenza efficiente. Noi abbiamo lavorato
efficacemente nel senso della moralità; ecco perché rifiutiamo  i
sistemi mafiosi che penalizzano l'intelligenza morale.

Preside.
Non è vero. Tu menti.

Studentessa.
Lei dice "non è vero".
Io affermo, e non mento, che il suo non è un giudizio perché lei non ha seguito
il nostro lavoro: l'abbiamo invitata diverse volte, ma ci siamo
sempre sentiti rispondere che l'atmosfera di questa classe non le è
congeniale.
Avrebbe potuto in ogni modo verificare il valore anche
specificamente scolastico del nostro studiare dai compiti scritti che
le sono stati regolarmente consegnati. Ora faccio un tentativo
estremo contro la sua ostinata volontà di non capire, e le spiego la
sostanza del nostro impegno. Spero che il mio rendiconto valga
più dei sospetti scatenati dai pettegolezzi insistenti delle spie,
quasi un constans rumor
da impero tacitiano.
Le mie affermazioni non sono sospette siccome non hanno
speranza di lucro di fronte a lei e agli attuali docenti; anzi, so bene

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che se non riuscirò a convincerla, non avrò vita facile in questo
istituto e forse dovrò andarmene, ma sono disposta a correre il
rischio: una scuola che elimina persone desiderose di imparare,
che annoia e mortifica invece di vivacizzare le menti, che
annebbia le coscienze invece di trarre luce dal fumo, non è degna
di essere considerata un luogo di educazione, né di essere
frequentata.

Preside.
Queste sono le parole di una persona plagiata.

Studentessa.
Non siamo stati plagiati, bensì influenzati da una persona, un
maestro che abbiamo a nostra volta stimolato a studiare molto.

Preside.
Ammesso e non concesso che quello studiasse, voi che cosa
facevate?

Studentessa.
Lui studiava, poi ci riferiva le sue letture con piacere, con
chiarezza e pathos, cioé in maniera viva, commentandole
attraverso altre letture, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, e facendo
confronti con le proprie esperienze di uomo umano.
In tal modo ci provocava a leggere, a riflettere, a reagire con il
nostro punto di vista per il quale provava interesse e rispetto;
insomma lavoravamo tutti con lo stesso scopo: progredire insieme
e renderci migliori a vicenda.
Quando lo criticavamo, anche aspramente, poiché le sue
provocazioni avevano messo in crisi i luoghi comuni sui quali
eravamo adagiati, lui reagiva impegnandosi di più, approfondendo
ancora, scavando il terreno sotto il pregiudizio per farlo crollare,
senza reprimerci né lasciarsi scoraggiare.
In questo modo ci dava un esempio di fede ferrea in quanto
faceva, ci mostrava con un lavoro instancabile che la cultura è la
nobiltà dell'uomo e  l'educazione è divina.

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Preside.
E allora?

Studentessa.
Allora noi venivamo a scuola provando un senso di accrescimento
Vitale, intellettuale e morale quando c'era lui. Adesso il nostro maestro non c'è, e noi già sentiamo la noia,
per non dire la nausea nei confronti della scuola. Vuole sapere
perché?

Preside.
Io lo so: perché non avete ancora preso coscienza che a scuola non
si viene per divertimento.

Studentessa.
No. Noi ci sentiamo mortificati in quanto è mortificante
l'atteggiamento di chi dovrebbe educarci. Abbiamo sentito parlare
questa presunta professoressa che ci ha preannunciato il suo stile di
insegnamento, e quello dei suoi colleghi. Alcuni anzi li abbiamo
conosciuti durante il biennio.
Dovrebbero invogliarci a leggere, e pretendono lo studio
mnemonico del manuale; dovrebbero esortarci a pensare con il
nostro cervello, e non ammettono confutazione dialettica;
dovrebbero incoraggiare la fede nell'uomo, sempre vacillante nel
tempo della violenza, e ripetono dentro le aule la brutalità, la
malafede, la diffidenza del rapporto umano più degradato: quello
del despota pazzo con i sudditi demoralizzati. Il tiranno classico è
il loro modello. Questo è violento, ipocrita e corrotto? Lo sono
anche loro. Sono ipocriti, siccome vogliono simulare conoscenze
che non hanno e sanno di non avere. Sono violenti, poiché cercano
di imporci la loro miseria mentale sottraendoci la cultura cui
abbiamo diritto. Sono corrotti, in quanto prendono uno stipendio
corrisposto a un lavoro che non sanno fare. Sono diffidenti per il
fatto che esercitano un potere di giudizio non corrispondente a
un'effettiva superiorità culturale e morale, e quando, ad esempio,
io mi impegno senza malizia per tradurre un brano la cui versione
è già stata controllata dal docente, costui, invece di aiutarmi, mi
sorveglia come se fossi un ladro, temendo che io faccia quello che
 ha fatto lui in precedenza.

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Preside.
Hai concluso la tua filippica?

Studentessa.
No. Rimane da fare una considerazione. Certi insegnanti a mio
parere sono privi di cervello e di cuore, due organi essenziali
all'educatore vivo e non meccanico.
Non hanno mente: infatti, se l'avessero, capirebbero la nostra e  non
ci annoierebbero a morte perfino quando parlano delle loro
materie, Quanto a lei, “signor” preside, non dovrebbe chiuderci a chiave dentro la
scuola.
Non hanno sensibilità, ché, se ce l' avessero, non oltraggerebbero
di continuo la mia , delicata se permette, con battute offensive,
gesti di spregio, risposte evasive, valutazioni arbitrarie.

Preside.
Ma insomma, al di là delle calunnie nefande e distruttive che
voglio fingere di non avere udito, che cosa avete appreso di
positivo da quell'uomo?

Studentessa.
Un metodo di ricerca.

Preside.
Di che cosa? E dove?

Studentessa.
Del significato della vita umana nei testi classici: da Omero a Joyce. Da Saffo a Proust.

Preside.
Sì, la lesbica e il pederasta.
E quale sarebbe il senso della tua vita? Quello di criticare e
calunniare chi è migliore di te?

Studentessa.
No. Il suo modo di parlare mi offende: non è da educatore, né da
uomo civile; ma le voglio rispondere lo stesso come a un uomo cui

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si deve rispetto. Devo controbattere la sua paradossale accusa di
immoralità.

Noi abbiamo trovato nei libri, e verificato con l'esperienza, che la
scarsa moralità è la causa prima dell'infelicità umana. Nella storia
nostra e in quella dei popoli, abbiamo notato che quando tramonta
la luce morale, cadono nel buio, e nel gelo, tutti i valori suscitati
da tale stella: la grande arte che è etica e politica, l'educazione che
deve valorizzare e assecondare l'aspirazione al Bene insita in tutti i
giovani, la religione che valuta l'uomo più degli idoli fabbricati da
lui.
Abbiamo cercato esempi di quanto vengo affermando nei classici
europei, come l'Edipo re  di Sofocle,  l'Apologia di Socrate scritta
da Platone, le Lettere a Lucilio di Seneca , La terra desolata di
Eliot, L'uomo senza qualità di Musil, e molti altri.

Preside.
Una valanga di chiacchiere. Quell’”uomo umano” vi imbroglia e ruba lo stipendio: lui qui deve insegnare soltanto le grammatiche. Quella italiana, quella latina e quella greca.  Il resto è ciancia senza costrutto continuamente esibita per turlupinarvi. C’è altro?

Studentessa.
Sì.
Dopo avere
letto questi libri e averli confrontati con la nostra coscienza, ci
siamo sentiti autorizzati e incoraggiati a un vivere morale, cioé a
prendere sul serio noi stessi e gli altri, a non giocare con il cuore
della creatura umana che è sacra, a considerarla un fine, non un
mezzo; in  fondo sono luoghi comuni già sentiti, ma in questo
momento il liceo, la città, la nazione, sono malati di stanchezza
morale, di tisi dell’anima, ed è tempo di affermare con
forza la necessità di una cura.

Preside.
Figuriamoci! Lei non sa quello che dice! Seneca bastonava gli
schiavi personalmente, con le sue mani!

Studentessa.
Non so a quale fonte faccia riferimento. Me la indichi! Io la invito
a leggere la quarantasettesima lettera a Lucilio.

Preside.
La conosco, eppure non ignoro che Seneca predicava bene e
razzolava male, come qualcuno qua dentro, ammesso e non
concesso che predichi bene. Comunque Seneca transeat , ma
Petronio con tutti quei suoi sdilinquiti cinedi, e quel pervertito di
Joyce, e l'omosessuale Proust, l'incestuoso Musil, e gli altri araldi

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della putredine dove il vostro cosiddetto maestro sguazza qual
porco in brago, come si accordano con la vostra moralità?

Studentessa.
Abbiamo cercato di capire cosa sia la decadenza.

Preside.
E' il vizio di cui il vostro insegnante si bea di giorno e di notte.

Studentessa.
No. E' l'energia morale che viene meno, la gioia di vivere che cala,
il vigore dell'uomo che si spegne; è il suolo stesso che perde la
forza di generare. Abbiamo sguazzato, come dice lei, nella
decadenza, per capire la situazione attuale: come è avvenuto che
l'uomo ha perso il contatto con il suo spirito ed è diventato il
burattino del profitto. Gli autori che abbiamo interrogato ci hanno
risposto tutti nella stessa maniera: l'uomo si corrompe, degenera e
si estingue ogni volta che diviene idolatra. L'opinione ora
corrente che l'essere umano non valga più del suo denaro - hai
cento lire, vali appena cento lire - ubi sola pecunia regnat  per
dirla con il cantore dei cinedi , è il sintomo più evidente
dell'esaurimento di una nazione. Allora essa si consuma.
Si
consuma nei lucri disonesti, nelle guerre, nelle stragi, nel consenso
ai tiranni, nella volgarità dei gusti depravati, nei matrimoni senza
amore, negli adultèri e negli aborti, nell'alcol e nelle droghe,
nell'incultura e nell'idiozia generale.
Noi vogliamo agire in favore di un rinascimento intellettuale e
morale, intanto in questo Istituto. E non basterà lei con i suoi
svigoriti professori a fermarci. Noi vogliamo imparare a non
essere spiritualmente stanchi, a non sentirci meno preziosi dell’opulenza
 materialie, a non seguire l'opinione comune, quando essa
non sia verificata dalla ragione. Nei testi che lei chiama immorali,
abbiamo letto che nell'uomo c'è un'anima cui dobbiamo rispetto
poiché è più potente e duratura del misero denaro, del potere
violento e ipocrita, del dolore probabile, della morte sicura. Dentro
lo spirito umano abbiamo trovato il bello morale che l'immensa

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confusione dei più non riconosce e l'avidità dei potenti disprezza.
E adesso con la forza che ne ricaviamo,  proclamiamo questo
bando per noi stessi, per lei e per tutta la scuola: "non è compito
dell'insegnante ruminare declinazioni, coniugazioni, paradigmi o leggere i manuali dalla
cattedra, poiché sappiamo farlo da soli, noi studenti, a casa. Non è funzione del
preside privilegiare gli insegnanti incolti per espropriare i ragazzi
del diritto di imparare e di pensare; viceversa è dovere di tutti i
morali-intelligenti risollevare l'educazione e la cultura, dare un
vigore nuovo a questo suolo afflosciato, risuscitare la speranza dei
giovani che attendono una moralizzazione meno catastrofica di
quella paradossalmente, e temo, solo temporaneamente, causata in
questi giorni dal terremoto dell'Italia meridionale.

Preside.
Allora sarai tu a fare il professore, il preside, il ministro della
pubblica istruzione.

Studentessa.
No. Auspico un'autorità intelligente e morale, qui e dovunque. Io
credo con il Manzoni che non ci sia giusta superiorità di uomo
sopra gli uomini se non in loro servigio . Io penso che di fronte a
un'autorità stupida e immorale la disobbedienza sia una virtù.

Preside.
Lei è espulsa da questa scuola.

Studentessa esce. Suona la campanella.
Bene, ora vado a bonificare un'altra classe del vostro ex.

Arriva alla porta, si ferma perplesso, si volta e guarda i ragazzi.
Paludi, paludi.

Esce.
Secondo coro.
La classe al completo.
Invoco l'aiuto dei buoni
per tenere la testa

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sopra il flutto sanguigno
sollevato dal vento
che soffia la strage
su questo paese
da quando sapere,
vuol dire soltanto
sapere arraffare denaro.
Potere, vicario di banche e finanza,
con ferrea rete di truffa
estorce i cervelli,
farcisce le teste di gesso
che appare dagli occhi
trebbiati di luce
sui lividi volti sconciati
del gregge di Ades.
E te invoco, Paideia ,
tu accendi di splendida luce
la neve del colle
dritto sulla città
che vomita fumo venefico e miasmi
dall'anima guasta.
Tu guidi la danza
dei raggi di sole,
presagio d'estate felice,
su diafane acque montane
ridenti in un mattino di aprile.
Tu rendi armonioso il mio corpo,
equilibrata la mente,
e fai fiorire il mio sguardo di chiara coscienza.

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Concedimi aperta vittoria
contro potere l'ipocrita,
il mascherato di piombo
che senza grida, senza capestro,
mi aggira con lacci  contorti di noia,
per strangolare entusiasmo
e affidare il governo della mia mente
a impulso cattivo,
il consumatore vorace,
il nauseato di vita.
Contro potere il violento,
lo sporco di sangue,
macellatore di teste, di torsi, di arti,
dall'uomo bovinamente strappati e distorti,
quando risuona la strage dal ringhio metallico
nella banca, nella piazza,
nel treno, nella stazione;
contro il braccio omicida
del consapevole ipocrita,
Paideia, dammi la forza
di continuare la lotta per l'uomo.
Con te lotterò e con i buoni
finché possa vedere una vita migliore
spuntare da queste rovine.
Io voglio indicare con dito diritto
a tutti gli sguardi rialzati
il cuore puro, la mente lucida, le valide membra
quali modelli per l'uomo che intende formarsi potenziando la vita.
Voglio segnare con dito sprezzante
gli sconci esempi attuali
che servono a tasche voraci
e ingrossano il gregge di Ades:
tortuoso raggiro, violenza assassina,
luogo comune triviale,
sordido ventre vicino  a scoppiare,

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viscida bocca contorta, bieco sguardo abbassato,
mente confusa, buia parola insidiosa.
Io chiamo a raccolta le forze del bene
per volgere in fuga retrograda, precipitosa
la folla dei mostri bestiali
ostili alla vita.

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