venerdì 13 maggio 2016

Il mito. Il mito nell'epica e nella lirica. Apollonio Rodio. Parte II

Philippe-Laurent Roland, Omero

Non abbiamo bisogno di un Omero elogiatore
Tucidide, Storie, II, 41, 4. Siamo e saremo dai posteri senza avere bisogno né di un Omero elogiatore (oujde;n prosdeovmenoi ou[te JOmhvrou ejpainevtou) né di chiunque altro che diletterà con i versi sul momento ( ou[te o{stiς e[pesi me;n to; aujtivka tevryei).
Oggi il politico ha bisogno non di un Omero che lo celebri, ma della televisione che gli dia visibilità.
Alessandro avrebbe voluto essere cantato da Omero: “cum in Sigeo ad Achillis tumulum adstitisset, “o fortunate, inquit, adulescens, qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris! (Cicerone, Pro Archia, 24)

( Cfr. cfr to; mh; muqw'de" di I, 22, 4" e la mancanza del favoloso di questi fatti , verosimilmente, apparirà meno piacevole all'ascolto".-) e, subito dopo, “infatti come un possesso per l'eternità più che come declamazione da udire per il momento di una gara, essa è composta”.

Tutto il mondo è pervio agli Ateniesi
I, 40, 4: La verità metterà nudo il significato dei fatti e noi saremo ammirati per avere reso tutto il mare e la terra accessibile (ejsbatovn) alla nostra audacia (th̃/ hjmetevra/ tolmh/) avendo edificato ovunque monumenti eterni delle nostre imprese buone e cattive

 Il secondo coro (vv. 301-379)[1] della Medea di Seneca maledice la navigazione come attività troppo audace per l'uomo: “ Audax nimium, qui freta primus/rate tam fragili perfida rupit/terrasque suas post terga videns/animam levibus credidit auris/ dubioque secans aequora cursu,/potuit tenui fidere ligno,/inter vitae mortisque vias/nimium gracili limite ducto" (vv. 301-308), audace troppo chi per primo ruppe con la barca tanto fragile i perfidi flutti e vedendo alle spalle la sua terra affidò la vita ai venti incostanti/ e fendendo gli spazi marini con rotta infida, fu capace di affidarsi a un legno debole guidato sul confine troppo sottile tra le vie della vita e della morte
 Il primo a violare il mare è stato Giasone la cui audacia ha trovato degni antagonisti nei freta perfida. Audax nimium (v. 301) è ripreso da avidus nimium navita (v. 326), il marinaio che, troppo avido, vuole ormai tutti i venti. "L'avverbio è segnale esplicito e 'tecnico' del motivo della hybris dell'uomo che 'forza' la natura"[2]. Cfr. il primo stasimo dell’Antigone di Sofocle.

La bellezza nella morte (cfr. Aiace, Antigone di Sofocle;, Polissena nell’Ecuba di Euripide).
II, 41, 5
Per una tale città dunque, ritenendo giusto che non venisse loro tolta, i nostri concittadini morirono combattendo nobilmente gennaivwς ,

II, 42,1
Mi sono dilungato a parlare della nostra citrtà per insegnarvi –didaskalivan te poiouvmenoς- che il nostro agone per una tale città non è lo stesso che hanno altri.
Componente didascalica e agonistica dunque.

Nietzsche scrive: “Indizi di una natura aristocratica: non degradare mai i propri doveri, pensando che siano i doveri di tutti; non voler rinunciare mai alla propria responsabilità e non volere dividerla con nessuno"[3].

II, 42, 2
Il valore dei morti ha reso belle le mie parole. Il discorso corrisponde ai fatti.

Vizi privati e pubbliche virtù.
II, 42, 3
Quei morti possono avere compiuto anche azioni meno belle ma hanno fatto sparire il male con il bene e recarono pubblico vantaggio-koinw̃ς wjfevlhsan-più di quanto abbiano danneggiato con i loro vizi privati.
Un tocco di eleganza e di originalità: non segue il luogo comune del de mortuis nihil nisi bonum.

II, 42, 4
Nessuno di loro si rammollì (ejmalakivsqh) godendo della ricchezza, né rimandò il pericolo, ma stimò questo cimento il più nobile dei rischi (kinduvnon kavlliston) .
Preferirono soffrire (paqeĩn) che salvarsi cedendo (h] to; ejndovnteς sw/vzesqai) e nella brevissima occasione offerta dal destino se ne andarono al colmo della gloria.

Vediamo qui l’ideale eroico del non cedere (Achille nell’Iliade, Callino e Tirteo (VII secolo).
Il guerriero piantato in prima fila è xuno;n ejsqlovn, un bene comune per la città e il popolo. Muore combattendo in prima fila con i piedi ben fissati al suolo e mordendo il labbro con i denti ceĩloς ojdoũsi dakwvn (Tirteo, fr. 10 W. 32)
L’Achilleide di Stazio racconta l’educazione del Pelide da parte di Chitone che spingeva il ragazzo a battere nella corsa i cervi veloci e i cavalli dei Lapiti (II, 111-113)
L’eroe non cede (Achille in Iliade XIX, 423 ouj lhvxw, non cederò) e Pericle nel terzo discorso della fine estate del 430 dice che Atene ha grandissima rinomanza tra gli uomini dia; to; taĩς xumforaĩς mh; ei[kein, (II, 64, 3) per il fatto che non cede alle disgrazie.
Platone nel Fedro dice che hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche quelli che fanno prevalere la parte migliore dell’anima: l’auriga aiutato dal cavallo bianco.

Ma Leopardi nello Zibaldone sostiene che “l’eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto” (471). Enea è meno bello di Achille.

II, 43, 1
Questi caduti furono tali da convenire alla città (proshkovntwς th̃/ povlei ejgevnonto)
Le hanno dato un vantaggio. I vivi devono seguire il loro esempio

La tomba come altare.
II, 43, 2
Dando la loro vita per il bene comune hanno ricevuto una lode che non invecchia (ajghvrwn e[painon ejlavmbanon) e una tomba dove la gloria rimane indimenticabile.
La loro tomba è un’ara, come quella dei caduti alle Termopili.
Simonide elogia Leonida e i suoi opliti morti per ritardare l'avanzata di Serse (fr.5 D.):
"dei morti alle Termopili
gloriosa è la sorte, bello il destino,
un altare è il sepolcro (bwmo;~ d j o tavfo~), e invece dei lamenti c'è il ricordo, e il compianto è un encomio (oi\kto~ e[paino~)
Un sudario del genere né ruggine
né il tempo che tutto doma (oJ pandamavtwr crovno~[4]) oscurerà.
Questo recinto sacro di uomini prodi si prese
come custode la gloria dell'Ellade: lo testimonia anche Leonida
re di Sparta che ha lasciato un grande ornamento
di valore, e fama perenne.

Nell’Eracle di Euripide, il Coro dei vecchi Tebani dice: il valore delle imprese nobili è l’ornamento dei morti (“gennaivwn d j ajretai; povnwn toĩς qanoũsin a[galma” (357-358).

In tempi moderni, oltre Leopardi che traduce letteralmente bwmo;~ d j o tavfo~ con "la vostra tomba è un'ara" (All'Italia , v.125), l'episodio torna diverse volte nella poesia.

 In quella ottocentesca italiana di spirito patriottico-risorgimentale: prima di Leopardi, Foscolo nel carme Dei Sepolcri (98) ricorda che le tombe erano "are a' figli".
“Testimonianze ai fasti eran le tombe
ed are a’ figli e uscian quindi i responsi
de’ domestici Lari e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento” (I Sepolcri, 97-100)

II, 43, 3
Ogni terra è tomba degli uomini insigni il cui ricordo aleggia ovunque.

II, 43, 4
Voi, emulando questi e considerando felicità la libertà (to; eu[daimon to; ejleuvqeron kribnante~), e la libertà coraggio (to; d’ ejleuvqeron to; eu[yucon), non considerate con timore i rischi della guerra.

Felicità invero è la coincidenza tra il nostro essere in potenza e il nostro essere in atto. E’ un buon rapporto con il daivmwn nostro. L’infelicità è lo squilibrio tra la potenza e l’atto.

II, 43, 5-6
Più dolorosa della morte è la sventura che sopravviene con la viltà.

II 44, 1
Morire può coincidere con essere felici. Quei morti hanno compiuto la vita felicemente.

 Cfr. La sapienza silenica

II, 44, 2-3-4
I genitori dei morti devono consolarsi pensando alla gloria. I più giovani possono avere la speranza di altri figli. La gloria non invecchia ed essere onorati è il guadagno più grande

II 45, 1-2
I morti hanno lasciato un grande esempio e una grande gara ai figli e ai fratelli (oJrw̃ mevgan to;n ajgw̃na). Cfr. la mentalità agonistica dei Greci
Il vanto delle donne sarà non essere inferiori alla loro natura, e buona sarà la reputazione di quella la cui rinomanza in lode o biasimo sarà minima tra gli uomini.

II, 46, 1-2
I sepolti sono stati onorati e i loro figli saranno mantenuti a spese pubbliche. Ora che avete pianto abbastanza, andate a casa.

II, 47, 1
Tale discorso cadde nell’inverno (431-430) e passato questo finiva il primo anno di guerra.


continua



[1] In dimetri anapestici (quattro piedi anapestici). Sono monometri (due piedi anapestici) i versi 317, 328, 379.
[2] G. B. Conte, op. cit., p. 346.
[3]Di là dal bene e dal male , Che cosa è aristocratico, 272. 1886
[4] Nella prima scena di Love’s Labour’ s lost (del 1595) Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora. In Pericle, principe di Tiro (1608) “Time ‘s the king of men;/He’s both their parent and he is their grave,/And gives them what he will, not what they crave” (II, 3), il Tempo è il re degli uomini, è insieme il loro padre e la loro tomba, e dà loro ciò che vuole, non quello che essi desiderano.

1 commento:

  1. Eroismo e perfezione,questo tema mi fa riflettere. Giovanna Tocco

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