giovedì 12 maggio 2016

Il mito. Il mito nell'epica e nella lirica. Apollonio Rodio


Un Leitmotiv del poema è la lotta tra divinità olimpiche e forze ctonie: cfr. Apollo che uccide il mostruoso (pelwvrion) Pitone sotto il giogo pietroso del Parnaso, II, 705-706.
Le Argonautiche di 5835 vv. in 4 libri è l'unico grande poema che resta di tutta la produzione epica compresa tra Omero e Nonno di Panopoli in Egitto (le Dionisiache, V sec. d. C., 25OOO mila versi, 48 libri).
 Apollonio visse tra il 290 e il 200. Fu prefetto della biblioteca di Alessandria fra Zenodoto ed Eratostene.
Fu educatore di Tolomeo III Evergete (246-221) ma ad un certo punto cadde in disgrazia e si trasferì a Rodi dove fece due edizioni del poema: una narrazione continuata di fatti eroici.
All'inizio c'è un ampio catalogo degli Argonauti, “Qe’ gloriosi che passaro al Colco”[1], che corrisponde al catalogo delle navi del II dell'Iliade, poi i primi due libri descrivono il viaggio in Colchide, il terzo l'amore di Medea e la conquista del vello d'oro, il quarto il ritorno.
Ci sono molti episodi, come quello dello sbarco a Lemno dove gli eroi si sollazzano con "l'ardite femmine spietate" (Inferno, XVIII, 89). Oppure quello dell'irrisione degli oracoli da parte dell'empio Ida (I, 465) il quale afferma che in battaglia con Ida si vince anche senza gli dèi, come e peggio dell'Aiace (vv.768-769) di Sofocle.
Motivo che torna nel III (560-561) libro dove Ida irride la forza seduttiva di Afrodite e gli auspici che "non badano più alla grande forza di Ares ma a colombe e sparvieri".
Per Ida cfr. la Nemea X di Pindaro, quella di Castore e Polluce.
 Ila invece viene rapito dalle ninfe: così Eracle (che incarnava l'eroismo arcaico con tanto di pederastia) abbandona la spedizione e Giasone diviene l'eroe principale.
 Nel II libro c'è il pugilato di Polluce contro Amico re dei Bebrici in Bitinia.
Secondo alcuni l'opera è arida e impoetica: il mito vivente di Omero è diventato mitologia.
L'imitazione omerica presenta variazioni costanti e meditate:"quando l'Aurora splendida vide con gli occhi lucenti le alte vette del Pelio"(I, 519-520). C'è largo spazio per le storie eziologiche. E' sulla linea euripidea quando descrive i sentimenti umani, soprattutto quelli erotici.
 Il meglio sta nei tormenti e nei dubbi di Medea e nelle descrizioni della natura: quando la nave parte, lunghi sentieri biancheggiavano come una via in mezzo alla verde pianura (I, 545-546).
 Quintiliano dice che Apollonio rese l'opera comunque non spregevole con una certa mediocrità ugualmente distribuita:"Apollonius...non tamen contemnendum reddidit opus aequali quadam mediocritate "(X, 1, 54).
Molto nota è la similitudine del cuore di Medea che si agita. Come guizza e vibra un raggio di sole nell'acqua appena versata in un vaso (III, 756 sgg.). Quando poi vede Giasone, egli sembra Sirio che si leva in alto sopra l'Oceano: sorge nitido e bello, eppure porta infinite sciagure alle greggi; così Giasone le portava il travaglio di una passione angosciosa (III, 957 e sgg.).
Subito dopo vengono descritti gli effetti d'amore in maniera saffiana: il cuore le cadde dal petto, le si annebbiarono gli occhi, un caldo rossore le invase le guance, non poté alzare le ginocchia né avanti né indietro, i piedi sotto erano come inchiodati (ejk d’ a[ra oiJ kradivh sthqevwn pevsenall j uJpevnerqe pavgh[2] povda~ III 963-965).
Giasone poi fa l'esempio di Arianna e Teseo (Argonautiche, III, 997 sgg.) e qui forse Apollonio è ironico, come Admeto di Euripide che vorrebbe avere la voce di Orfeo (Al cesti).
L'antieroe ellenistico non manifesta le sue migliori qualità nella pratica dell'agire, ma piuttosto nell'arte della parola, del persuadere e dell'ingannare.
La descrizione del mantello di Giasone che va ad incontrare Issipile contrasta con quella dello scudo di Achille (Iliade, XVIII): l’impresa di Giasone non è guerresca come quella del Pelide, ma erotica.

Il sublime (33) definisce Apollonio nelle Argonautiche "a[ptwto"", privo di cadute, ma poi aggiunge: ma non preferiresti essere Omero piuttosto che Apollonio?
L'incertezza impotente deriva dal fatto che questi eroi non hanno reali motivazioni.
Si tratta di una saga straniante e labirintica, più simile all'Ulisse di Joyce che all'Odissea di Omero.
Bonnard in La civiltà greca (1964) dice che sembra di leggere non un poema epico, ma una guida per turisti colti.
 Nel catalogo delle navi, Apollonio aggiunge notizie curiose che formano una specie di manuale geografico per le scuole, monotono e inutile poiché la maggior parte dei personaggi non conterà nulla.
Nell'isola di Lemno, Ipsipile che seduce Giasone è la copia di Circe e Calipso.
E' una poesia sensibile al fascino dei boschi e della carne giovane come quella di Ila accarezzato dalla luna e rapito dalla ninfa della sorgente dov'era andato ad attingere acqua (I, 1230 sgg).
Gli episodi si susseguono senza legame tra loro: non c'è un eroe che conferisca unità alle avventure. Giasone davanti alle difficoltà è colpito da ajmhcaniva (I, 460), impotenza. Il protagonista non ha la baldanza né gli entusiasmi dell'eroe, ma vive in un limbo di mediocrità e cautela, tormentato da indecisioni che quasi paralizzano l'azione.
 Lo attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Apollonio, come Erodoto, ama registrare le singolarità di un mondo altro, di culture diverse: i Colchi depongono sottoterra i cadaveri delle donne, ma appendono agli alberi quelli degli uomini; così l'aria ha parte uguale alla terra (III, 207-210).

Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica. Apollonio Rodio di Massimo Fusillo.
Nei confronti della tradizione letteraria c'è rottura e revival. Rottura nella produzione e ricezione della letteratura, la continuità si trova nel forte intellettualismo che caratterizza gli artisti alessandrini che volevano possedere e sistematizzare tutta la cultura precedente, mentre i Tolomei utilizzavano la tradizione greca quale elemento di coesione per il loro regno etnicamente composito. Apollonio ha scritto un poema epico rinunciando alla grandezza eroica per chiara scelta. E' dunque un epos che presenta procedimenti antiepici in quanto mette al centro l'eros.
 Fin dall'inizio il poeta mette in rilievo il suo io e colloca le Muse in posizione subordinata invocandole quali ministre del canto:"uJpofhvtore" ei\en ajoidh'""(22). In realtà le Argonautiche sono impregnate della poetica callimachea, rielaborata in chiave molto personale. Il viaggio di Apollonio infatti è costellato di episodi collaterali che sono come degli epilli autonomi. Callimaco rifiutava il poema unitario e continuo (e}n a[eisma dihnekev") e le Argonautiche vivono di una dialettica fra la poetica callimachea della discontinuità- e la tendenza epica al racconto unitario.
 La struttura aperta e innovativa ammette l'inserimento di una storia amorosa intima e privata e l'eros era uno dei temi prediletti della nuova poetica alessandrina.
C'è un'andata (libri I e II) con un lungo crescendo verso il meraviglioso e l'ignoto, ancora controllati però dalla ragione umana, poi c'è il contatto con l'eros, la magia, il potere (III), quindi c'è il ritorno (IV) che è un errare angoscioso e labirintico in cui l'iniziativa umana è quasi azzerata. Già l'episodio di Lemno racchiude alcuni temi chiave di tutto il poema: l'eros, il suo uso strumentale, l'inganno e la caratterizzazione di Giasone quale non eroe[3], capo poco responsabile e convinto di un'impresa dura e angosciosa, di cui si sarebbe dimenticato se Eracle non lo avesse richiamato al dovere.
Goethe nel Faust lo presenta in altro modo attraverso parole attribuite a Chirone: “Fra gli Argonauti, in quella schiera eletta,/ ognuno era prode a suo modo…Riflessivo, forte, savio, accorto nel consiglio,/ si imponeva così, caro alle donne (Frauen angenehm), Giasone”[4]
Il principale nucleo assiologico è l'opposizione amore/guerra.
A Cizico (nella Propontide) gli Argonauti per sbaglio uccidono i loro amici, i Dolioni, in una tragica battaglia notturna che sembra visualizzare la cecità degli uomini: questa è l'unica vera battaglia del poema, ed è svuotata di ogni senso positivo. Alla fine del I libro Eracle abbandona l'impresa in preda al delirio amoroso. Nel secondo libro Polluce sconfigge Amico re dei Bebrici nella gara di pugilato con una tecnica sapiente e controllata: la forza bruta viene svalutata. E' anche una contrapposizione tra forze olimpiche e forze ctonie. Una insulta, l'altro sorride senza rispondere. Polluce schiva i colpi dia; mh'tin (II, 75), grazie all'intelligenza.
 La barriera delle Simplegadi (II 549-608) è simbolica della divisione tra due mondi e il timoniere Tifi che le supera valorizza l'abilità e la tecnica umana.
Che non bastano più nel passaggio delle Plancte (IV 920-967) dove le Nereidi si palleggiano la nave sottolineando l'impotenza umana. Rupi erranti (plavzw) dello stretto di Messina.
Il III libro è quello dell'amore di Medea: infatti è invocata Erato quale musa della poesia amorosa.
La psiche di Medea è il centro semantico di tutto il libro. Apollonio è il primo epico a usare la focalizzazione ristretta, il punto di vista limitato di un personaggio. Medea si innamora a prima vista (III, 451-462) idealizzando la persona amata. Inoltre usa il monologo.
 Medea è combattuta tra le forze della repressione e quelle del represso: il primo monologo contiene un ejrrevtw mandato a Giasone (v.466), il terzo invece usa la stessa espressione riferita al pudore e alla fama (785-786). C'è anche un sogno (616-632) in cui il desiderio si vede nella sua trasparenza: senza l'intervento della condensazione e dello spostamento: Giasone era andato là per sposarla. Lei sconfiggeva i tori e seguiva lo straniero.
La teoria dei sogni risale al medico Erofilo vissuto al tempo di Tolomeo I.
Apollonio dunque ha recepito una novità della ricerca scientifica a lui contemporanea.
Erofilo 335-280, fondatore, con Erasistrato, della scuola medica di Alessandria, fu il primo anatomista
 Il terzo monologo (III, 770-801) è considerato il primo monologo interiore della storia letteraria ed è permeato da tendenze autodistruttive. Nel successivo colloquio con Giasone traspare il dislivello dell'investimento psichico da parte dei due personaggi che ancora di più si differenziano nella reazione successiva all'incontro.
All'inizio del IV libro Apollonio confessa che la sua mente ondeggia in uno sgomento senza parole (IV, 3): non sa se Medea lasciò la Colchide per amore o per terrore. Apollonio sceglie il dilemma per significare la compresenza di desiderio e paura nell'animo di Medea.
L'aggressività del IV libro è la stessa carica erotica rovesciata per via della frustrazione e il disinganno.


continua




[1] Dante, Paradiso I, 16.
[2] Aor. passivo di phvgnumi, “fisso”. Cfr. lat. pango, ficco, pianto
[3] Cfr. Oblomov, Emilio Brentani, Totò Merumeni
[4] Faust II, Notte di Valpurga classica.

1 commento:

  1. Mi continua a stupire la modernità di questi testi.Giovanna Tocco

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