lunedì 11 luglio 2016

Alcesti. IX parte

Alcesti al Teatro Greco di Siracusa, 2016

Tornando all'Alcesti, Ferete ritorce sul figlio l'accusa di pusillanimità:
"Poi parli della mia
Viltà (ajyucivan), o pessimo, vinto da una donna
che è morta per te, il bel giovanotto!
Hai trovato un modo ingegnoso per non morire mai
se persuaderai la moglie che hai di volta in volta
a morire al tuo posto: poi insulti dei tuoi
quelli che non vogliono fare questo, mentre tu sei un vigliacco? (kakov~)
Taci: considera che, se tu ami la vita
tua, tutti l'hanno cara! " (696 - 704).

Segue una sticomitia, dialogo serrato durante il quale i personaggi recitano un verso a testa, in maniera concitata (vv. 710 - 729).
Ferete non è pentito della sua scelta:
"avrei sbagliato di più se fossi morto al tuo posto" (710), mentre Admeto non si vergogna della richiesta fatta al padre, anzi continua a considerarla legittima:
"E' dunque la stessa cosa che muoia un uomo nel fiore degli anni e un vecchio? " (711). E il vecchio risponde che la vita è unica, per tutti:
"dobbiamo vivere una sola vita, non due" (712).

Nell’Eracle coro di vecchi tebani auspica più di una giovinezza e più di una vita per le persone buone.
 “Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi" - kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv. 661 - 669).
Marziale afferma che l’uomo buono, privo di rimorsi, gode del frutto del suo passato e accresce lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7 - 8).

Il figlio rimprovera di avidità e vigliaccheria il padre il quale però gli fa presente che Alcesti non è morta per salvare lui o sua moglie; quindi aggiunge con sarcasmo:
"cerca molte mogli perché ne muoiano di più!" (720).
Poi Ferete, per difendersi dall'accusa di impudenza, riduce l'eroismo di Alcesti a follia:
"questa non era impudente: questa l'hai trovata matta" ( ejfhu`re~ a[frona, v. 728).
In un mondo di opportunisti dunque l'eroismo è visto come pazzia. Infine Admeto manda via il padre in malo modo:
"Vattene e lascia che io seppellisca questo cadavere" (729).
Ferete si allontana accusando il figlio di essere il carnefice di Alcesti:
"me ne vado: la seppellirai tu che sei il suo assassino (foneuv~),
e ne renderai anche conto ai suoi familiari" (730 - 731).
Fa il nome del fratello Acasto che se è un uomo punirà l’assassino della sorella.
Admeto risponde imprecando contro il padre e la madre:
"Vai in malora tu e quella che vive in casa con te,
senza figli dovete invecchiare, come vi meritate,
pur avendone uno" (734 - 736).
Quindi esce di scena per andare a porre la salma sul rogo (740). Il coro saluta Alcesti ripetendo espressioni di stima e affetto, non senza una speranza di beatificazione:
"o nobile e di gran lunga la migliore,
addio! benigno ti accolga Ermes ctonio
e Ades. Se anche laggiù
c'è qualche vantaggio per i buoni, partecipandone
tu possa sedere accanto alla sposa di Ades" (742 - 746).

Questi versi, evocando la divinità minore che siede accanto a quella principale, come Attis a Cibele o Adone ad Afrodite, fa pensare che Alcesti in origine fosse una dea degli inferi subordinata a Persefone.

Quindi la scena si vuota ed entra un servo che recita un monologo (vv. 747 - 772) per informarci sullo strano comportamento dell'ospite nerboruto:
"molti ospiti e da ogni paese
ho già visto venire nella casa di Admeto,
e li ho serviti a tavola; ma non abbiamo mai accolto
a questo focolare un ospite peggiore di questo" (747 - 750).

Poi Eracle viene descritto con tratti buffi da commedia: si è comportato fin dal primo momento senza la delicatezza e la discrezione richieste dal lutto, e si è messo a bere vino puro di uva nera (v. 757), usanza considerata scitica o ciclopica, insomma barbarica dai Greci che erano soliti diluirlo con acqua. Perciò si è ubriacato e non ha più avuto freni:
"cinge il capo con ramoscelli di mirto
 e abbaia latrati senza musica (a[mous j uJlaktw`n); ed era possibile udire due tipi di canto: quello infatti cantava senza nessun riguardo per i mali
di Admeto, noi servi invece piangevamo
la padrona, ma non mostravamo all'ospite gli occhi
bagnati, poiché Admeto comandava così.
Ed io ora in casa servo a tavola
un ospite, un ladro capace di tutto e predone,
mentre lei è andata via dalla casa, né l'ho seguita
né le ho teso la mano levando lamenti
sulla mia padrona che per me e per tutti i servi era
madre (mhvthr): infatti ci proteggeva da infiniti mali
mitigando le ire del marito. Dunque non ho ragione
di odiare l'ospite giunto in mezzo ai mali? " (vv. 759 - 772).
Eracle è descritto come volgare, ma fra poco si rivelerà benefico, poiché non sempre la cattiva educazione formale corrisponde a una sostanza cattiva. Alcesti invece è sostanzialmente buona e fine: ha con i servi quel comportamento amichevole riservato loro dall'alta aristocrazia di tutti i tempi: da Seneca ai Guermantes di Proust.
Si ricordi la lettera 47 di Seneca. Gli schiavi sono chiamati humiles amici, contubernales, persone sulle quali la fortuna può tanto quanto può nei confronti di ogni uomo.
 Inoltre nella regina momentaneamente morta che stornava "infiniti mali" dalle teste dei servi devoti, ed era come una madre (v. 770), si possono trovare elementi superumani, forse residui di un culto dedicato a un' antica divinità, la magna mater.

Quindi Eracle entra ed espone la filosofia dell'attimo fuggente, una anticipazione del carpe diem oraziano e una specie di epicureismo prima di Epicuro:
"Tutti i mortali devono morire, (v. 782)
e non c'è nessuno degli uomini che sappia
se il giorno dopo sarà ancora in vita:
infatti non è chiaro verso dove procederà il cammino della sorte,
e non è possibile insegnarlo né si può apprendere con una tecnica (oujd j aJlivsketai tevcnh/ v. 786).

Si ricordi la confutazione delle tevcnai scoperte da Prometeo.

Nel Prometeo incatenato di Eschilo il Titano afferma di avere escogitato le tevcnai (v. 477), che fanno partire la civilizzazione, anzi: "pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo. Tutte invenzioni il cui beneficio viene confutato da diversi autori: da Eschilo stesso a Leopardi, a Mary Shelley, a Svevo.


continua 

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