mercoledì 6 luglio 2016

Alcesti. VII parte

Frederic Leighton, Heracles wrestling with Death


Nell'Eracle, Megara protegge i figli suoi e dell'eroe, minacciati dall'usurpatore Lico: "come un uccello salvo i piccoli sotto le ali" (uJpo; pteroi`~ swvzw neossou; ~ o[rni~ w{~, vv. 71 - 72 72).
Questa attenzione per i bambini, come del resto per i vecchi, anch'essi latori di pathos, e per il mondo della natura si accentuerà con l'Ellenismo.

Il bambino Eumelo però non si esaurisce nell'aspetto naturalistico: egli, come ogni personaggio euripideo è anche un ragionatore:
"o padre 411
sono state vane vane le tue nozze e non sei giunto
al termine di vecchiaia con questa.
Infatti è morta prima, e andata via tu,
madre, la casa va in rovina". 415
Un altro ragionamento lo fa il corifèo, cercando di consolare il vedovo con l'argomento dell'hoc non tibi soli.
"Admeto, è necessario sopportare questa disgrazia: 416
infatti non sei certo il primo né l'ultimo dei mortali
ad avere perso una buona moglie; renditi conto del resto
che tutti noi dobbiamo morire". 419

Quindi Admeto dà disposizioni per il funerale della moglie, degna di onori eccezionali:
rimanete qui e intanto intonate
il peana all'inesorabile dio di laggiù (423 - 424).
Il peana di solito è un canto di vittoria (cfr. Agamennone di Eschilo, vv. 246) ma qui e in Edipo re (v. 5) è una preghiera funebre, forse del resto in previsione della vittoria finale.

Admeto continua a dare disposizioni per il funerale:
"A tutti i Tessali sui quali io comando (v. 426)
ordino di associarsi al lutto per questa donna
con la chioma recisa e l'abbigliamento dei pepli neri;
e voi che aggiogate cavalli alle quadrighe e curate
i corsieri da sella, recidete con il ferro la criniera dalle cervici.
Nella città non ci sia clamore di flauti
né di lira per dodici lune intere.
Infatti non seppellirò un altro morto più amico
né migliore verso di me: è degna di onore
da parte mia poiché lei sola morì per me. (v. 434)

L'ammirazione del marito dunque dipende in gran parte dall'enorme favore ricevuto dalla donna incensurabile; più disinteressata è quella del Coro che nella prima strofe del Secondo Stasimo (vv. 435 - 475) porta avanti il processo di beatificazione raccomandando Alcesti agli dèi infernali:
"Sappia Ades il dio (v. 438)
dalla negra chioma, e quello
che siede al remo e al timone,
 il vecchio conduttore dei morti
che è di gran lunga, sì di gran lunga la migliore delle donne quella che ha trasportato sulla palude acherontea
sulla barca a due remi. (v. 444)

Nella prima antistrofe il coro propone l'eroina all'attenzione delle Muse e dei poeti:
"Molte volte i servitori delle Muse (v. 445)
ti canteranno sulla montana lira
dalle sette corde e celebrandoti negli inni senza lira,
a Sparta quando con il volgere delle stagioni
torna la festa ciclica del mese Carneo,
quando è alta la luna per tutta la notte,
e nella splendida ricca Atene.
Tale materia di canto
lasciasti morendo ai poeti (v. 453).

Queste parole esprimono un'esigenza euripidea: che i poeti cantino non solo l'eroismo maschile ma anche quello femminile. Al tempo dell'Alcesti invero l'aveva già fatto Sofocle con l'Antigone, la fanciulla tanto eroica e sublime che il ricordo di lei ci impedisce di amare qualsiasi donna vivente, ebbe a dire Shelley.
Euripide canterà l'eroismo di altre ragazze: con particolare impegno quello di Ifigenia in Aulide; ma il coro di donne corinzie della Medea nel Primo Stasimo lamenta la malevolenza storica dei poeti verso le donne (basta pensare a Esiodo e Semonide):
"Le Muse dei poeti antichi smetteranno (v. 421)
di cantare la mia malafede.
Febo infatti, il signore dei canti, non accordò al nostro spirito la voce divina della lira,
poiché avrei elevato un canto di risposta
 alla stirpe dei maschi. Una lunga epoca ha
molte cose da dire sul nostro ruolo tra i maschi (v. 427).

Il coro dell'Alcesti invece non tralascia alcuna benedizione per la sua santa:
"Oh se mi fosse consentito (v. 455)
se potessi ricondurti
alla luce dalle dimore di Ades
e dalle correnti del Cocito
con un remo adatto al fiume sotterraneo.
Tu infatti, tu sola o cara tra le donne
osasti
liberare lo sposo dall'Ade a prezzo
della tua vita. Che la terra
cada leggera su di te, o donna (kouvfa soi - cqw; n ejpavnwqe pevsoi, v. 463)
Queste ultime parole corrispondono al latino sit tibi terra levis: "e ti sia lieve il suol "leggiamo nell'Ode Per l'inclita Nice del Parini (v. 120).

Quindi il Coro minaccia Admeto di abomini se dovesse sposarsi di nuovo:
"Se lo sposo si prendesse un nuovo letto, certamente
verrebbe in odio a me e ai tuoi figli" (465).
Segue la seconda antistrofe (466 - 476) con altri elogi e benedizioni dell'impareggiabile Alcesti:
"mentre la madre non volle
per il figlio nascondere il corpo
sotto terra né il padre vecchio
quelli che lo generarono, non ebbero il coraggio di salvarlo,
gli sciagurati, pur avendo bianca la chioma.
Tu invece te ne vai
morendo nella giovinezza al posto di un giovane uomo.
Possa io incontrare una moglie
legata da simile amore, questo infatti
nella vita è un raro destino: certo con me starebbe
per tutta la vita senza dolore (a[lupo~).

Un altro elogio dell'ottima donna, fatto però dall'aspirante alle nozze con lei, Achille, pure lui un ottimo partito, si trova nell'Ifigenia in Aulide. La ragazza esprime il proposito eroico di morire per la Grecia:
"do il mio corpo per l'Ellade.
Sacrificatemi, distruggete Troia. Questo infatti è il mio monumento" (vv. 1397 - 1398).
 Il Pelide allora le fa la dichiarazione d'amore e la proposta di matrimonio
"O figlia di Agamennone, uno degli dei mi renderebbe
felice se ottenessi le tue nozze.
Invidio la Grecia per te e te per la Grecia.
Infatti hai parlato bene e in maniera degna della patria
e abbandonata la lotta con la divinità che su te prevale
hai considerato le cose buone e necessarie.
Il desiderio delle tue nozze mi invade ancora di più
considerando la tua natura: infatti sei nobile" (1404 - 1411).

 Lo stesso tipo di nobiltà manifesta Macaria negli Eraclidi, quando dice: "io vi annuncio
che sono pronta a morire per questi fratelli e per me stessa.
Infatti io non sono attaccata alla vita e ho fatto una
scoperta bellissima: lasciare la vita nella gloria" ( eujklew`~ lipei`n bivon, vv. 531 - 534).

Quindi comincia il Terzo Episodio. (476 - 567).
Entra in scena Eracle che, afferma Kott, si comporta come un soldato al bivacco. Passa di lì diretto in Tracia dove compirà l'ottava fatica:
"vado a prendere la muta dei destrieri del tracio Diomede" (483). Deve portare le cavalle antropofaghe a Euristeo il re di Tirinto (v. 491) che ha il potere di dargli ordini. Si tratta dell’VIII fatica.
 Eracle è l'eroe della razza dorica, colui che debella i mostri e porta la civiltà. In questo dramma, pur rimanendo una figura benefica, assume aspetti comici e grotteschi che forse nelle intenzioni del "maligno" Euripide, alludono alla rozzezza dei Peloponnesiaci, nemici no, poiché nell'anno della rappresentazione dell'Alcesti era ancora in vigore la pace del 446, ma incolti, maleducati sì e parecchio.
Del resto Eracle è un personaggio del mito che assume aspetti diversi: dal ragazzo giudizioso, al marito assenteista e donnaiolo, all’amico fedele.


G. B. Conte nota che ogni mito (con le sue varianti) possiede una pluralità di significati che si aggregano intorno a una funzione tematica fondamentale. Ma quando un poeta utilizza un mito o un carattere mitico, egli opera attraverso una selezione, riorientando la storia nella direzione del suo testo. Viene fatto l'esempio di Eracle che è stato impiegato dai poeti come eroe civilizzatore, come maschio esuberante nelle faccende sessuali (fino al punto di diventare lo schiavo di Onfale) ma è anche un insaziabile mangiatore e un intemperante bevitore di vino; una figura tragica che impazzisce poi ammazza i figli e la moglie; il mitico progenitore dei re spartani e così via. Lo studioso procede in quella che chiama enumeratio chaotica, poi chiede: vi sareste aspettato che il sofista Prodico (come Senofonte riferisce nei suoi Memorabili II. 1. 21 - 34) avrebbe un giorno inventato una favola il cui protagonista era Eracle, ma questa volta come esempio di saggezza e autocontrollo, come paradigma di virtù morale? Prodico evidentemente ha fatto una scelta tra i vari aspetti di Eracle. Così Virgilio ha attivato alcuni lineamenti del mito a spese di altri e li ha adattati al suo testo. Sentiamo alcune parole del testo inglese di Conte: "For poets, myth is like a word contained in a dictionary: when it leaves the dictionary and enters their text, it retains only one of its possible meanings ", per i poeti il mito è come una parola contenuta in un dizionario: quando essa lascia il dizionario ed entra nel testo, mantiene soltanto uno dei suoi possibili significati. Il Mito, continua il professore di Pisa, come una parola, deve essere modificato da declinazioni e coniugazioni per conformarsi al significato globale del discorso: la sua funzione è determinata dal contesto. Ogni poeta greco (e, a fortiori, ogni poeta latino, che inevitabilmente ha trovato se stesso confrontando una serie riccamente stratificata di varianti e adattamenti) si è sentito autorizzato a intervenire nella tradizione e ha "coniugato" liberamente il paradigma mitico.


continua 

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