Anche i "vortici celesti" del v. 245 (oujravniaiv te di'nai) meritano un qualche commento.
Essi ricordano il "vortice" di
Anassagora, il movimento provocato dal Nou'". Una teoria cosmologica parodiata da Aristofane che nelle Nuvole (del 423) fa dire a Socrate che è un vortice
d'aria (aijqevrio"
di'no") a muovere le
nuvole (v. 379).
Alcesti è assistita da Admeto che la
supplica di non abbandonarlo:
"alzati, o infelice, non lasciarmi;
prega gli dèi
potenti di avere pietà" (250
- 251), ma la donna oramai è giunta al delirio: si esprime con frasi brevi ed
elementari che descrivono una visione estatica, acherontea:
"Vedo una navicella a due remi, la vedo nella
palude: il
traghettatore dei morti
con una mano
sulla pertica, Caronte,
già mi chiama: perché
indugi? Tiv mevllei~;
affrettati. Tu mi
fai perdere tempo (su; kateivrgei~). Così
adirato mi fa
fretta. (252 - 257).
Caronte
E' un
Caronte appena accennato: più simile a quello sbrigativo e imperioso di Dante ("batte
col remo qualunque s'adagia" Inferno, III, 111) di quello descritto
analiticamente da Virgilio in parecchi esametri (Eneide, VI, 298 - 316)
dei quali diamo la traduzione letterale:
"sorveglia
queste acque e i fiumi un traghettatore orrendo
di
terrificante squallore, Caronte, cui una massa di pelo bianco
sta
incolta sul mento, sono fissi gli occhi di fiamma, 300
lurido
dalle spalle gli pende con un nodo un mantello.
Egli
stesso spinge la zattera con una pertica e bada alle vele
e
trasporta i corpi con una navicella di ferro,
già piuttosto vecchio ma cruda e verde è la
vecchiezza del dio.
Iam senior, sed cruda deo viridisque
senectus (v. 304)
Qua
tutta la turba sparsa intorno alle rive si precipitava,
madri
e uomini, cadaveri, compiuta la vita,
di
magnanimi eroi, ragazzi e ragazze mai giunte alle nozze
e
giovani posti sui roghi davanti agli occhi dei genitori:
tanti
quanti nelle selve al primo freddo dell'autunno
cadono
volteggiando le foglie, o quanti uccelli dall'abisso
profondo
si radunano a terra, quando la fredda stagione
li fa
migrare oltre il mare e li spinge verso regioni esposte ai raggi del sole. /
Stavano
fermi pregando di passare per primi la corrente
e
tendevano le mani per il desiderio della riva di là;
ma il
nocchiero implacabile ora questi accoglie ora quelli315,
altri
però li respinge cacciati lontano dal lido.
Ma
Alcesti non vede solo il traghettatore dei morti:
"Mi trascina, mi trascina qualcuno, mi
trascina qualcuno, non vedi?
verso la dimora dei morti,
fissandomi sotto il sopracciglio
fosco: è alato, è Ades.
Che cosa farai? lasciami. Per quale strada, disgraziatissima,
avanzo". (259 - 263).
Di
Benedetto nel "procedere desultorio" di tale parlare concitato vede
un predominio dell'elemento irrazionale che significa una perdita di controllo
della realtà, mentre Kott per queste parole riconosce ad Alcesti la dimensione
di figura tragica fra personaggi anche grotteschi come Thanatos del prologo.
La
regina morente dunque vede una morte terrificante:
"lasciatemi lasciatemi oramai:
adagiatemi, non mi reggo sui piedi.
Ade è vicino, tenebrosa
una notte striscia sui miei occhi.
Figli, figli, vostra madre
non è più, non c'è più.
Addio, o figli, possiate vedere questa luce"
(267 - 272).
Admeto
invece è un personaggio da commedia, nel senso che sembra recitare la parte del
vedovo inconsolabile di una moglie da lui stesso mandata in rovina:
"Ahimé: questa parola che ascolto è straziante
e peggiore di ogni morte per me.
No, per gli dèi, non sopportare di
abbandonarmi,
no, per i figli che lascerai orfani,
ma alzati, abbi coraggio!
Infatti, morta te, io non esisterei più:
in te sta il mio vivere o no;
infatti veneriamo il tuo amore" (273
- 279).
Le
parole di Admeto sfiorano il comico poiché non corrispondono ai fatti.
“Alcesti
è un’eroina di tragedia, ma ha un marito che viene dalla commedia. Medea è in
una posizione analoga”[1].
A
questo punto però Alcesti si riprende e diventa padrona di sé: non si esprime
più attraverso frasi strozzate ma in trimetri giambici, con un discorso
razionale che mette in luce tutta la grandezza del suo sacrificio per avere in
contraccambio l'impegno che Admeto non si risposerà:
"Admeto, tu vedi com'è il mio stato, 280
voglio dirti, prima di morire, quello che
desidero.
Io muoio perché ti onoro e ho disposto
che tu vedessi questa luce a prezzo della mia
vita
mentre mi era possibile non morire in tuo
favore
ma avere come sposo chi volevo tra i Tessali
e abitare una casa piena di potenza.
Non volli vivere separata da te
con i bambini orfani, né risparmiai
la
giovinezza pur avendo di che prendere piacere, io.
Eppure ti tradirono chi ti diede la vita e la
madre che ti partorì
pur quando era giunto per loro l'opportunità
di morire nobilmente,
salvare il figlio con eroismo e lasciare la
vita nella gloria.
Infatti avevano solo te, e nessuna speranza,
morto te, di generare altri figli.
Ed io vivrei, e tu anche, per il resto della
vita,
e ora non piangeresti, privato della tua
sposa,
né alleveresti i figli orfani. Ma uno degli
dèi
ha disposto questo in modo che andasse così. "298.
Alcesti
dunque ha esposto i propri meriti e i demeriti dei genitori; quindi presenta il
conto, non tanto nobilmente a dire il vero (cfr. Seneca che nel De
beneficiis consiglia: "demus beneficia, non feneremus " (I,
9), facciamoli i benefici, non prestiamo ad interesse.
"E sia! Ma ora tu tieni in mente la
riconoscenza di questo (tw`nde cavrin).
Ti chiederò infatti un contraccambio mai pari
300
(infatti
non c'è niente più prezioso della vita),
ma delle cose giuste, come tu stesso dirai: infatti
ami
questi bambini non meno di me, se davvero hai
senno.
Questi lasciali signori della mia casa
e non sposare in seconde nozze una matrigna (mhtruiavn) per i figli,
la quale, essendo una donna più cattiva di me,
per invidia
alzerà le mani sulle creture tue e mie.
Ecco
dunque che la vittima Alcesti prende atteggiamenti da supermoglie, supermamma, superdonna,
e diventa meno simpatica che all'inizio, per un cambio di parte che si trova
anche nelle Baccanti.
Ma
vediamo come procede per escludere un'altra donna dal suo posto presto vacante:
"Dunque non fare questo, te lo chiedo io. 308
Nemica infatti ai figli di prima è la
matrigna
che sopraggiunge, per niente più mite di una
vipera.
E il figlio maschio ha nel padre un grande
baluardo
segue
un verso interpolato
ma tu, bambina, come potrai passare bene
l'età verginale?
Quale donna troverai nella compagna di tuo
padre?
Che non distrugga le tue nozze nel culmine
della giovinezza gettandoti addosso una cattiva fama. 316
Non sarà mai una madre infatti a fidanzarti
né a incoraggiarti, o figlia, con la sua
presenza,
nei parti dove niente è più benevolo di una
madre. 319
Quest'ultima
parte, e il v. 319 in particolare, può essere confrontato con le madri furenti
che pure si trovano frequentemente nella tragedia greca: dalla Clitennestra di
Eschilo alla Medea di Euripide, entrambe denominate "leonessa" per il
loro agire distruttivo. Questa mamma morente del resto ha qualche cosa della
matriarca autoritaria che impone ingenerosamente sacrifici innaturali
sull'altare del proprio egoismo.
Il
suo addio sta per concludersi:
"Bisogna infatti che io muoia: e questo male
non
domani né dopodomani arriva su di me
ma subito sarò contata tra quelli che non
sono più.
Addio, siate felici. E tu, sposo,
puoi vantarti di avere preso la donna migliore,
e voi, figli, di essere nati dalla migliore
delle madri". 325
Come
si vede l'autobeatificazione procede fino a rendere antipatica "l'ottima
donna moglie e madre".
Il
corifèo dà una risposta affermativa interpretando i sentimenti di Admeto il
quale infatti conferma:
"Sarà così, sarà così, non temere: poiché io
ti 328
avevo viva, e morta sarai chiamata la mia
unica sposa, e mai nessuna donna tessala
al tuo posto chiamerà marito quest'uomo.
Non c'è donna da padre così nobile
né d'altra parte così eccellente di aspetto.
Di figli ne ho abbastanza: prego gli dèi che
ci sia
il godimento di questi; di te infatti non ho
potuto godere.
Porterò il lutto tuo non per un anno,
ma finché dura la mia vita, o donna 337
odiando colei che mi generò e detestando mio
padre: ché a parole e non a fatti erano amici.
"
Vediamo
in questi versi il ribaltamento della posizione di Antigone, e di Sofocle per
il quale i legami di sangue sono i più forti sulla terra, mentre Euripide, privilegia
le intese affettive e spirituali.
Vedi
anche la moglie di Intaferne in Erodoto III 119.
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