NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 1 luglio 2016

Alcesti. V parte



Anche i "vortici celesti" del v. 245 (oujravniaiv te di'nai) meritano un qualche commento.
Essi ricordano il "vortice" di Anassagora, il movimento provocato dal Nou'". Una teoria cosmologica parodiata da Aristofane che nelle Nuvole (del 423) fa dire a Socrate che è un vortice d'aria (aijqevrio" di'no") a muovere le nuvole (v. 379).

Alcesti è assistita da Admeto che la supplica di non abbandonarlo:
"alzati, o infelice, non lasciarmi;
prega gli dèi potenti di avere pietà" (250 - 251), ma la donna oramai è giunta al delirio: si esprime con frasi brevi ed elementari che descrivono una visione estatica, acherontea:
"Vedo una navicella a due remi, la vedo nella
palude: il traghettatore dei morti
con una mano sulla pertica, Caronte,
già mi chiama: perché indugi? Tiv mevllei~;
affrettati. Tu mi fai perdere tempo (su; kateivrgei~). Così
adirato mi fa fretta. (252 - 257).

Caronte
E' un Caronte appena accennato: più simile a quello sbrigativo e imperioso di Dante ("batte col remo qualunque s'adagia" Inferno, III, 111) di quello descritto analiticamente da Virgilio in parecchi esametri (Eneide, VI, 298 - 316) dei quali diamo la traduzione letterale:
"sorveglia queste acque e i fiumi un traghettatore orrendo
di terrificante squallore, Caronte, cui una massa di pelo bianco
sta incolta sul mento, sono fissi gli occhi di fiamma, 300
lurido dalle spalle gli pende con un nodo un mantello.
Egli stesso spinge la zattera con una pertica e bada alle vele
e trasporta i corpi con una navicella di ferro,
già piuttosto vecchio ma cruda e verde è la vecchiezza del dio.
Iam senior, sed cruda deo viridisque senectus (v. 304)
Qua tutta la turba sparsa intorno alle rive si precipitava,
madri e uomini, cadaveri, compiuta la vita,
di magnanimi eroi, ragazzi e ragazze mai giunte alle nozze
e giovani posti sui roghi davanti agli occhi dei genitori:
tanti quanti nelle selve al primo freddo dell'autunno
cadono volteggiando le foglie, o quanti uccelli dall'abisso
profondo si radunano a terra, quando la fredda stagione
li fa migrare oltre il mare e li spinge verso regioni esposte ai raggi del sole. /
Stavano fermi pregando di passare per primi la corrente
e tendevano le mani per il desiderio della riva di là;
ma il nocchiero implacabile ora questi accoglie ora quelli315,
altri però li respinge cacciati lontano dal lido.

Ma Alcesti non vede solo il traghettatore dei morti:
"Mi trascina, mi trascina qualcuno, mi trascina qualcuno, non vedi?
verso la dimora dei morti,
fissandomi sotto il sopracciglio
fosco: è alato, è Ades.
Che cosa farai? lasciami. Per quale strada, disgraziatissima,
avanzo". (259 - 263).
Di Benedetto nel "procedere desultorio" di tale parlare concitato vede un predominio dell'elemento irrazionale che significa una perdita di controllo della realtà, mentre Kott per queste parole riconosce ad Alcesti la dimensione di figura tragica fra personaggi anche grotteschi come Thanatos del prologo.
La regina morente dunque vede una morte terrificante:
"lasciatemi lasciatemi oramai:
adagiatemi, non mi reggo sui piedi.
Ade è vicino, tenebrosa
una notte striscia sui miei occhi.
Figli, figli, vostra madre
non è più, non c'è più.
Addio, o figli, possiate vedere questa luce" (267 - 272).
Admeto invece è un personaggio da commedia, nel senso che sembra recitare la parte del vedovo inconsolabile di una moglie da lui stesso mandata in rovina:
"Ahimé: questa parola che ascolto è straziante
e peggiore di ogni morte per me.
No, per gli dèi, non sopportare di abbandonarmi,
no, per i figli che lascerai orfani,
ma alzati, abbi coraggio!
Infatti, morta te, io non esisterei più:
in te sta il mio vivere o no;
infatti veneriamo il tuo amore" (273 - 279).
Le parole di Admeto sfiorano il comico poiché non corrispondono ai fatti.
“Alcesti è un’eroina di tragedia, ma ha un marito che viene dalla commedia. Medea è in una posizione analoga”[1].

A questo punto però Alcesti si riprende e diventa padrona di sé: non si esprime più attraverso frasi strozzate ma in trimetri giambici, con un discorso razionale che mette in luce tutta la grandezza del suo sacrificio per avere in contraccambio l'impegno che Admeto non si risposerà:
"Admeto, tu vedi com'è il mio stato, 280
voglio dirti, prima di morire, quello che desidero.
Io muoio perché ti onoro e ho disposto
che tu vedessi questa luce a prezzo della mia vita
mentre mi era possibile non morire in tuo favore
ma avere come sposo chi volevo tra i Tessali
e abitare una casa piena di potenza.
Non volli vivere separata da te
con i bambini orfani, né risparmiai
 la giovinezza pur avendo di che prendere piacere, io.
Eppure ti tradirono chi ti diede la vita e la madre che ti partorì
pur quando era giunto per loro l'opportunità di morire nobilmente,
 salvare il figlio con eroismo e lasciare la vita nella gloria.
Infatti avevano solo te, e nessuna speranza,
morto te, di generare altri figli.
Ed io vivrei, e tu anche, per il resto della vita,
e ora non piangeresti, privato della tua sposa,
né alleveresti i figli orfani. Ma uno degli dèi
ha disposto questo in modo che andasse così. "298.

Alcesti dunque ha esposto i propri meriti e i demeriti dei genitori; quindi presenta il conto, non tanto nobilmente a dire il vero (cfr. Seneca che nel De beneficiis consiglia: "demus beneficia, non feneremus " (I, 9), facciamoli i benefici, non prestiamo ad interesse.

"E sia! Ma ora tu tieni in mente la riconoscenza di questo (tw`nde cavrin).
Ti chiederò infatti un contraccambio mai pari 300
 (infatti non c'è niente più prezioso della vita),
ma delle cose giuste, come tu stesso dirai: infatti ami
questi bambini non meno di me, se davvero hai senno.
Questi lasciali signori della mia casa
e non sposare in seconde nozze una matrigna (mhtruiavn) per i figli,
la quale, essendo una donna più cattiva di me, per invidia
alzerà le mani sulle creture tue e mie.

Ecco dunque che la vittima Alcesti prende atteggiamenti da supermoglie, supermamma, superdonna, e diventa meno simpatica che all'inizio, per un cambio di parte che si trova anche nelle Baccanti.
Ma vediamo come procede per escludere un'altra donna dal suo posto presto vacante:
"Dunque non fare questo, te lo chiedo io. 308
Nemica infatti ai figli di prima è la matrigna
che sopraggiunge, per niente più mite di una vipera.
E il figlio maschio ha nel padre un grande baluardo
segue un verso interpolato
ma tu, bambina, come potrai passare bene l'età verginale?
Quale donna troverai nella compagna di tuo padre?
Che non distrugga le tue nozze nel culmine della giovinezza gettandoti addosso una cattiva fama. 316
Non sarà mai una madre infatti a fidanzarti
né a incoraggiarti, o figlia, con la sua presenza,
nei parti dove niente è più benevolo di una madre. 319
Quest'ultima parte, e il v. 319 in particolare, può essere confrontato con le madri furenti che pure si trovano frequentemente nella tragedia greca: dalla Clitennestra di Eschilo alla Medea di Euripide, entrambe denominate "leonessa" per il loro agire distruttivo. Questa mamma morente del resto ha qualche cosa della matriarca autoritaria che impone ingenerosamente sacrifici innaturali sull'altare del proprio egoismo.
Il suo addio sta per concludersi:
"Bisogna infatti che io muoia: e questo male
 non domani né dopodomani arriva su di me
ma subito sarò contata tra quelli che non sono più.
Addio, siate felici. E tu, sposo,
puoi vantarti di avere preso la donna migliore,
e voi, figli, di essere nati dalla migliore delle madri". 325
Come si vede l'autobeatificazione procede fino a rendere antipatica "l'ottima donna moglie e madre".
Il corifèo dà una risposta affermativa interpretando i sentimenti di Admeto il quale infatti conferma:
"Sarà così, sarà così, non temere: poiché io ti 328
avevo viva, e morta sarai chiamata la mia
unica sposa, e mai nessuna donna tessala
al tuo posto chiamerà marito quest'uomo.
Non c'è donna da padre così nobile
né d'altra parte così eccellente di aspetto.
Di figli ne ho abbastanza: prego gli dèi che ci sia
il godimento di questi; di te infatti non ho potuto godere.
Porterò il lutto tuo non per un anno,
ma finché dura la mia vita, o donna 337
odiando colei che mi generò e detestando mio
padre: ché a parole e non a fatti erano amici. "

Vediamo in questi versi il ribaltamento della posizione di Antigone, e di Sofocle per il quale i legami di sangue sono i più forti sulla terra, mentre Euripide, privilegia le intese affettive e spirituali.
Vedi anche la moglie di Intaferne in Erodoto III 119.



[1] Kott, op. cit. p. 122. 

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