Alcesti al Teatro Greco di Siracusa, 2016 |
Tornando
all'Alcesti, Ferete ritorce sul figlio l'accusa di pusillanimità:
"Poi parli della mia
Viltà (ajyucivan), o pessimo, vinto da una donna
che è morta per te, il bel giovanotto!
Hai trovato un modo ingegnoso per non morire
mai
se persuaderai la moglie che hai di volta in
volta
a morire al tuo posto: poi insulti dei tuoi
quelli che non vogliono fare questo, mentre
tu sei un vigliacco? (kakov~)
Taci: considera che, se tu ami la vita
tua, tutti l'hanno cara! " (696 -
704).
Segue
una sticomitia, dialogo serrato durante il quale i personaggi recitano un verso
a testa, in maniera concitata (vv. 710 - 729).
Ferete
non è pentito della sua scelta:
"avrei sbagliato di più se fossi morto al tuo
posto" (710), mentre Admeto non si vergogna della richiesta fatta
al padre, anzi continua a considerarla legittima:
"E' dunque la stessa cosa che muoia un uomo
nel fiore degli anni e un vecchio? " (711). E il vecchio risponde
che la vita è unica, per tutti:
"dobbiamo vivere una sola vita, non due"
(712).
Nell’Eracle il coro di vecchi tebani auspica più di una giovinezza e più di una vita per le
persone buone.
“Se
gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi" - kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una
doppia giovinezza (divdumon h{ban)
come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di
nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre
la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle,
vv. 661 - 669).
Marziale afferma che l’uomo buono, privo di
rimorsi, gode del frutto del suo passato e accresce lo spazio della propria
esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita
posse priore frui” (X 23, 7 - 8).
Il
figlio rimprovera di avidità e vigliaccheria il padre il quale però gli fa
presente che Alcesti non è morta per salvare lui o sua moglie; quindi aggiunge
con sarcasmo:
"cerca molte mogli perché ne muoiano di più!"
(720).
Poi
Ferete, per difendersi dall'accusa di impudenza, riduce l'eroismo di Alcesti a
follia:
"questa non era impudente: questa l'hai
trovata matta" ( ejfhu`re~ a[frona, v. 728).
In un
mondo di opportunisti dunque l'eroismo è visto come pazzia. Infine Admeto manda
via il padre in malo modo:
"Vattene e lascia che io seppellisca questo
cadavere" (729).
Ferete
si allontana accusando il figlio di essere il carnefice di Alcesti:
"me ne vado: la seppellirai tu che sei il suo
assassino (foneuv~),
e ne renderai anche conto ai suoi familiari"
(730 - 731).
Fa il
nome del fratello Acasto che se è un uomo punirà l’assassino della sorella.
Admeto
risponde imprecando contro il padre e la madre:
"Vai in malora tu e quella che vive in casa
con te,
senza figli dovete invecchiare, come vi
meritate,
pur avendone uno" (734 - 736).
Quindi
esce di scena per andare a porre la salma sul rogo (740). Il coro saluta
Alcesti ripetendo espressioni di stima e affetto, non senza una speranza di
beatificazione:
"o nobile e di gran lunga la migliore,
addio! benigno ti accolga Ermes ctonio
e Ades. Se anche laggiù
c'è qualche vantaggio per i buoni, partecipandone
tu possa sedere accanto alla sposa di Ades"
(742 - 746).
Questi
versi, evocando la divinità minore che siede accanto a quella principale, come
Attis a Cibele o Adone ad Afrodite, fa pensare che Alcesti in origine fosse una
dea degli inferi subordinata a Persefone.
Quindi
la scena si vuota ed entra un servo che recita un monologo (vv. 747 - 772) per
informarci sullo strano comportamento dell'ospite nerboruto:
"molti ospiti e da ogni paese
ho già visto venire nella casa di Admeto,
e li ho serviti a tavola; ma non abbiamo mai
accolto
a questo focolare un ospite peggiore di
questo" (747 - 750).
Poi
Eracle viene descritto con tratti buffi da commedia: si è comportato fin dal
primo momento senza la delicatezza e la discrezione richieste dal lutto, e si è
messo a bere vino puro di uva nera (v. 757), usanza considerata scitica o
ciclopica, insomma barbarica dai Greci che erano soliti diluirlo con acqua. Perciò
si è ubriacato e non ha più avuto freni:
"cinge il capo con ramoscelli di mirto
e
abbaia latrati senza musica (a[mous j uJlaktw`n); ed era possibile udire due tipi di canto: quello
infatti cantava senza nessun riguardo per i mali
di Admeto, noi servi invece piangevamo
la padrona, ma non mostravamo all'ospite gli
occhi
bagnati, poiché Admeto comandava così.
Ed io ora in casa servo a tavola
un ospite, un ladro capace di tutto e predone,
mentre lei è andata via dalla casa, né l'ho
seguita
né le ho teso la mano levando lamenti
sulla mia padrona che per me e per tutti i
servi era
madre (mhvthr): infatti ci proteggeva da infiniti mali
mitigando le ire del marito. Dunque non ho
ragione
di odiare l'ospite giunto in mezzo ai mali? "
(vv. 759 - 772).
Eracle
è descritto come volgare, ma fra poco si rivelerà benefico, poiché non sempre
la cattiva educazione formale corrisponde a una sostanza cattiva. Alcesti
invece è sostanzialmente buona e fine: ha con i servi quel comportamento
amichevole riservato loro dall'alta aristocrazia di tutti i tempi: da Seneca ai
Guermantes di Proust.
Si
ricordi la lettera 47 di Seneca. Gli schiavi sono chiamati humiles amici,
contubernales, persone sulle quali la fortuna può tanto quanto può nei
confronti di ogni uomo.
Inoltre nella regina momentaneamente morta che
stornava "infiniti mali" dalle teste dei servi devoti, ed era come
una madre (v. 770), si possono trovare elementi superumani, forse residui di un
culto dedicato a un' antica divinità, la magna mater.
continua
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