NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 19 settembre 2016

Shakespeare e la letteratura antica. VIII parte

Antoni Stanislaw Brodowski,
Oedipus and Antigone

In effetti Dafni, l'innamorato del romanzo di Longo Sofista nota che gli occhi di Cloe erano "megavloi kaqavper boov""[1], grandi come quelli di una giovenca.
Il nesso tra lo sguardo e la brama amorosa viene evidenziato da Teocrito[2] quando, nell'Epitalamio di Elena, fa lodare la bellezza della sposa di Menelao da un coro di fanciulle spartane le quali mettono in rilievo che il desiderio è suscitato soprattutto dagli occhi di lei: "wJ" JElevna, ta'" pavnte" ejp j o[mmasin i{meroi ejntiv", come Elena nei cui occhi risiedono tutte le seduzioni (XVIII, 37).
Anche la nostra Medea aveva occhi particolari, come abbiamo visto nella tragedia di Euripide e come si legge nelle Argonautiche. Apollonio Rodio, raccontando l’incontro della fanciulla di Colchide e sua zia Circe, nota che la stirpe del sole si riconosceva bene dal bagliore, che arrivava lontano, degli occhi, i quali mandavano un fulgore simile a quello dell’oro (4, 727-729). Nonostante questa somiglianza, la zia, dopo avere ascoltato la nipote che del resto non le ha detto tutta la verità, la caccia dicendole: “io non approvo le tue decisioni e la sconcia fuga-ajeikeva fuvxin” (4, 747-748).
Quale attrattiva di Cinzia ha catturato Properzio[3] per sempre se non gli occhi? La prima elegia dei quattro libri del "romano Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis " (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: / Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit " (I, 12, 19-20), io non posso amare un'altra né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima.
Dagli occhi parte la ricerca amorosa secondo Ovidio[4], poeta tutt'altro che incline a suggerire la fedeltà eterna.
Il Sulmonese che consiglia di usare l'argomento "tu mihi sola places" come mezzo di seduzione, fa scattare l'operazione erotica dallo sguardo scrutante dell'uomo il quale deve individuare, e mettere nel mirino, la preda adatta, ossia non impossibile:"elige cui dicas " tu mihi sola places". / Haec tibi non tenues veniet delapsa per auras; / quaerenda est oculis apta puella tuis" (Ars amatoria [5], vv. 42-44), scegli una cui dire: "tu sola a me piaci". Questa non ti verrà incontro scendendo per i soffi leggeri dell'aria; con i tuoi occhi devi cercare la ragazza adatta.
Nell'esordio poetico degli Amores [6], e con il tono del lusus ironico di derivazione callimachea, lontano comunque dal pathos di Catullo e di Properzio, Ovidio aveva scritto:"Non mihi mille placent, non sum desultor amoris" ( I, 3, 15) a me non ne piacciono mille, non sono un saltimbaco dell'amore.
L'ironia porta al lettore l'eco rovesciata di questa affermazione.
Nella Vita Nuova di Dante[7] si ritrovano gli occhi della donna mirabile che ingentilisce l'oggetto dei suoi sguardi: "Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò ch'ella mira/ (cap. XXI, sonetto Ne li occhi porta, vv. 1-2).
" dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo la nobilissima parte de li suoi occhi", commenta l'autore stesso.
 La potenza dello sguardo di lei del resto può anche avere effetti paralizzanti, non senza vaghe reminescenze catulliane: "ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,/e cui saluta fa tremar lo core,/sì che, bassando il viso, tutto smore,/…" (Ne li occhi porta, vv. 3-5. Gli echi catulliani sono più evidenti nel sonetto Tanto gentile del XXVI capitolo:" Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand'ella altrui saluta, / ch'ogne lingua deven tremando muta, / e li occhi no l'ardiscon di guardare… Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per li occhi una dolcezza al core" (vv. 1-4, 9-10).
Sant' Agostino nel Secretum ricorda a Francesco Petrarca[8] la pericolosità dello sguardo femminile: se contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero volger d'occhi risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis species, luxuriam incendit; levis oculorum flexus, amorem dormitantem excitat " (III, 50).

 Il tovpo" dell'amore ispirato solo o soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene d'amore perdute di Shakespeare[9] : Biron in preda a un amore "pazzo come Aiace" cerca di resistergli per non finire ammazzato al pari di una pecora, ma nella donna che lo ha stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile: "Oh, ma il suo occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo occhio io non l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io traggo questa dottrina: essi scintillano senza posa di un vero fuoco prometeico (From women’s eyes this doctrine I derive: they sparkle still the right Promethean fire), e rappresentano i libri, le arti, le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo intiero; senza di loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3).

Di nuovo Leopardi situa la significazione massima e la parte più importante della bellezza negli occhi: “Quanto sia vero che la bellezza delle fisionomie dipende dalla loro significazione, osservate. L’occhio è la parte più espressiva del volto e della persona; l’animo si dipinge sempre nell’occhio; una persona d’animo grande ec. ec. non può mai avere occhi insignificanti…Ora l’occhio ch’è la parte più significativa della forma umana, è anche la parte principale della bellezza” ( Zibaldone, 1576-1577).

Sicché l'amore viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy de Maupassant (1850-1893): "Vorrei, soprattutto, rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro primo pensiero è sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci ossessionano, come ci rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi chiari, impenetrabili e profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi, che senza cambiare forma né colore, esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e l'odio, la dolcezza che placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole in eccesso e meglio dei gesti più espressivi"[10].
Gli occhi delle donne che ci attirano non sono soltanto delle cose, pur molto belle insomma non sono soltanto materia secondo Proust: "Se pensassimo che gli occhi di una ragazza come quella non sono che una brillante rotella di mica, non saremmo così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto unicamente alla sua composizione materiale; che sono, ignote a noi, le nere ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle persone e dei luoghi che conosce… Le ombre, anche, della casa in cui rientrerà, i progetti ch'essa fa o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con i suoi desideri, le sue simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante volontà"[11].
Anche Svevo ha capito che l'attrazione più forte esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi: "Quand'egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio abbattuto…Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciò un vero organo per guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[12].
T. Mann spiega, a ragione, che l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in questo degli occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C' era stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di lei, quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere...ciò che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante, occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a volte, con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[13]. Molto più avanti[14] si legge: " Quando il desiderio carnale...s'è fermato sopra una persona con un determinato viso, allora si parla d'amore.Io non desidero soltanto il suo corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso qualche cosa anche piccola fosse diversamente conformata, probabilmente non desidererei più neppure il suo corpo... Questo dimostra che amo l'anima sua e l'amo con l'anima. Poiché l'amore per il viso è amore spirituale".
“Gli uomini di sentimento sono pieni di espressione, perché l’espressione nasce dal bisogno del sentimento di farsi valere, un bisogno che si mostra senza inibizioni, apertamente…Rachele era bella e graziosa. Lo era in una maniera nello stesso tempo mansueta e birichina, che veniva dall’anima, ma si vedeva-e anche Giacobbe lo vedeva perché lei lo guardava-che spirito e volontà trasformati in senno e coraggio muliebri, erano le segrete sorgenti che alimentavano quella grazia; tanto espressiva era la sua persona, tanto aperta e pronta alla vita nella fermezza dello sguardo…la cosa più bella e graziosa era il suo modo di guardare, era lo sguardo dei suoi occhi neri, dal taglio lievemente obliquo, uno sguardo che la miopia stranamente trasfigurava e addolciva, in cui, lo diciamo senza esagerazione, la natura aveva raccolto tutte le attrattive che essa può dare a uno sguardo umano: una notte profonda, liquida, mite, dolcissima, una notte eloquente, piena di serietà e di ironia, uno sguardo che Giacobbe non aveva o credeva di non avere ancora mai visto…Era giunto alla meta, e la fanciulla con gli occhi pieni di dolce oscurità che pronunciava il nome di suo padre lontano era la figlia del fratello[15] di sua madre[16]… Quanto a Lia, non appariva meno ben formata di Rachele, era anzi più alta e imponente, ma offriva un esempio caratteristico di quel singolare deprezzamento che una figura perfetta subisce quando si accompagna a un volto brutto. Aveva bensì abbondantissimi capelli color cenere… Ma i suoi occhi di un verde-grigio convergevano malinconicamente strabici in direzione del naso lungo e rosso, e arossate erano anche le palpebre colpite da infezione, arrossate le mani che cercava di nascondere, come pure lo sguardo strabico su cui abbassava continuamente le ciglia con una specie di dignità pudica. ‘Ecco qua’, pensò Giacobbe osservando le due sorelle, ‘la luna scema e la luna piena!’”[17].

Gli occhi sono comunque legati all'amore e al sesso
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione"[18]. Già in Totem e tabù si legge[19]: “La castrazione, e il suo surrogato per mezzo dell’accecamento, sono le minacce che provengono dal padre” (p. 186).
"Si deve tenere presente che, nella mitologia classica, gli occhi presentano spesso un legame con l'amore e con la sessualità, e in particolare con i genitali maschili: numerose sono le rappresentazioni vascolari di falli con occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un significato di simbolica castrazione, di autopunizione per i delitti sessuali commessi. Infliggendo una punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la parte del suo corpo che si è macchiata di colpa nei confronti della madre"[20].


FINE I PARTE

Giovanni ghiselli



[1] Le avventure pastorali di Dafni e Cloe, I, 17. Romanzo ellenistico, composto tra il II e il III secolo d. C.
[2] Teocrito siracusano (310 ca-250 ca a. C.) visse tra Siracusa, Coo e Alessandria alla corte di Tolomeo II filadelfo. Abbiamo un corpus di 30 idilli e 24 epigrammi.
[3] Nato ad Assisi nel 49 a. C. circa, morto a Roma intorno al 15a. C., ha scritto quattro libri di elegie. Il primo fu pubblicato nel 28, il secondo e il terzo nel 22, il quarto nel 16 a. C. I primi tre cantano l'amore per Cinzia, il IV, quello delle elegie romane, racconta per lo più miti, riti della tradizione, episodi della storia di Roma e italica.
[4] Nato a Sulmona nel 43 a. C., morto a Tomi, sul mar Nero nel 17/18 d. C. Indicheremo le date delle sue opere a mano a mano che le menzioneremo.
[5] Tre libri, in distici elegiaci, di insegnamenti sull'amore: i primi due usciti tra l'1 a. C. e l'1 d. C.; il terzo poco dopo. Ci torneremo diverse volte durante il percorso.
[6] Raccolta di elegie in tre libri. La prima edizione è di poco posteriore al 20 a. C.; la seconda, rielaborata, uscì quasi venti anni dopo, intorno all' 1 a. C.
[7] Firenze 1265-Ravenna 1321.
[8] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[9] Stratford on Avon 1564-Warwickshire 1616. Love's labour's lost è del 1594-1505.
[10] Le plus belles lettres d'amour, tratto da Lunario dei giorni d'amore, p. 502.
[11] M. Proust (1871-1922), All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[12]Italo Svevo (1861-1928), La coscienza di Zeno, p. 317 e p. 319.
[13] T. Manno (1875-1955), La montagna incantata. vol., I, p. 163.
[14]P. 304 del II vol.
[15] Labano ndr
[16] Rebecca ndr
[17] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, La storia di Giacobbe, pp. 265 ss.
[18] Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere 1930-1938, volume 11, p. 617, n. 1.
[19] Del 1913.
[20] D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p. 199.

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