Antoni Stanislaw Brodowski, Oedipus and Antigone |
In effetti Dafni,
l'innamorato del romanzo di Longo Sofista nota che gli occhi di Cloe erano
"megavloi
kaqavper boov""[1],
grandi come quelli di una giovenca.
Il nesso tra lo
sguardo e la brama amorosa viene evidenziato da Teocrito[2]
quando, nell'Epitalamio di Elena, fa
lodare la bellezza della sposa di Menelao da un coro di fanciulle spartane le
quali mettono in rilievo che il desiderio è suscitato soprattutto dagli occhi
di lei: "wJ"
JElevna, ta'" pavnte" ejp j o[mmasin i{meroi ejntiv", come Elena nei cui occhi risiedono
tutte le seduzioni (XVIII, 37).
Anche la nostra
Medea aveva occhi particolari, come abbiamo visto nella tragedia di Euripide e
come si legge nelle Argonautiche.
Apollonio Rodio, raccontando l’incontro della fanciulla di Colchide e sua zia
Circe, nota che la stirpe del sole si riconosceva bene dal bagliore, che
arrivava lontano, degli occhi, i quali mandavano un fulgore simile a quello
dell’oro (4, 727-729). Nonostante questa somiglianza, la zia, dopo avere
ascoltato la nipote che del resto non le ha detto tutta la verità, la caccia
dicendole: “io non approvo le tue decisioni e la sconcia fuga-ajeikeva fuvxin” (4, 747-748).
Quale attrattiva di
Cinzia ha catturato Properzio[3]
per sempre se non gli occhi? La prima elegia dei quattro libri del "romano
Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis
" (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una
cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: / Cynthia prima
fuit, Cynthia finis erit " (I, 12, 19-20), io non posso amare un'altra
né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima.
Dagli occhi parte la
ricerca amorosa secondo Ovidio[4],
poeta tutt'altro che incline a suggerire la fedeltà eterna.
Il Sulmonese che
consiglia di usare l'argomento "tu
mihi sola places" come mezzo di seduzione, fa scattare l'operazione
erotica dallo sguardo scrutante dell'uomo il quale deve individuare, e mettere
nel mirino, la preda adatta, ossia non impossibile:"elige cui dicas " tu mihi sola places". / Haec tibi non
tenues veniet delapsa per auras; / quaerenda est oculis apta puella tuis"
(Ars amatoria [5],
vv. 42-44), scegli una cui dire: "tu sola a me piaci". Questa non ti
verrà incontro scendendo per i soffi leggeri dell'aria; con i tuoi occhi devi
cercare la ragazza adatta.
Nell'esordio poetico
degli Amores [6],
e con il tono del lusus ironico di
derivazione callimachea, lontano comunque dal pathos di Catullo e di Properzio,
Ovidio aveva scritto:"Non mihi mille
placent, non sum desultor amoris" ( I, 3, 15) a me non ne piacciono
mille, non sono un saltimbaco dell'amore.
L'ironia porta al lettore l'eco
rovesciata di questa affermazione.
Nella Vita Nuova di Dante[7]
si ritrovano gli occhi della donna mirabile che ingentilisce l'oggetto dei suoi
sguardi: "Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò
ch'ella mira/ (cap. XXI, sonetto Ne li
occhi porta, vv. 1-2).
" dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo
la nobilissima parte de li suoi occhi", commenta l'autore stesso.
La potenza dello sguardo di lei
del resto può anche avere effetti paralizzanti, non senza vaghe reminescenze
catulliane: "ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,/e cui saluta fa tremar
lo core,/sì che, bassando il viso, tutto smore,/…" (Ne li occhi porta, vv. 3-5. Gli
echi catulliani sono più evidenti nel sonetto Tanto gentile del XXVI capitolo:" Tanto gentile e tanto onesta
pare / la donna mia quand'ella altrui saluta, / ch'ogne lingua deven tremando
muta, / e li occhi no l'ardiscon di guardare… Mostrasi sì piacente a chi la
mira, / che dà per li occhi una dolcezza al core" (vv. 1-4, 9-10).
Sant' Agostino nel Secretum ricorda a Francesco Petrarca[8]
la pericolosità dello sguardo femminile: se contemplare un bel corpo infiamma
la lussuria, un leggero volger d'occhi risveglia l'amore che si era assopito:
"spectata corporis species, luxuriam
incendit; levis oculorum flexus,
amorem dormitantem excitat " (III, 50).
Il tovpo" dell'amore ispirato solo o soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene d'amore perdute di Shakespeare[9]
: Biron in preda a un amore "pazzo come Aiace" cerca di resistergli
per non finire ammazzato al pari di una pecora, ma nella donna che lo ha
stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile: "Oh, ma il suo
occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo occhio io non
l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io traggo questa
dottrina: essi scintillano senza posa di un vero fuoco prometeico (From women’s eyes this doctrine I derive:
they sparkle still the right Promethean fire), e rappresentano i libri, le
arti, le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo intiero;
senza di loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3).
Di nuovo Leopardi
situa la significazione massima e la parte più importante della bellezza negli
occhi: “Quanto sia vero che la bellezza delle fisionomie dipende dalla loro
significazione, osservate. L’occhio è la parte più espressiva del volto e della
persona; l’animo si dipinge sempre nell’occhio; una persona d’animo grande ec.
ec. non può mai avere occhi insignificanti…Ora l’occhio ch’è la parte più
significativa della forma umana, è anche la parte principale della bellezza” ( Zibaldone, 1576-1577).
Sicché
l'amore viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con
una una lettera di Guy de Maupassant (1850-1893): "Vorrei, soprattutto,
rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro primo pensiero è
sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci ossessionano, come ci
rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi chiari, impenetrabili e
profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi, che senza cambiare forma né
colore, esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e l'odio, la dolcezza
che placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole in eccesso e meglio
dei gesti più espressivi"[10].
Gli occhi
delle donne che ci attirano non sono
soltanto delle cose, pur molto belle insomma
non sono soltanto materia secondo
Proust: "Se pensassimo che
gli occhi di una ragazza come quella non sono che una brillante rotella di
mica, non saremmo così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma
sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto
unicamente alla sua composizione materiale; che sono, ignote a noi, le nere
ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle persone e dei luoghi
che conosce… Le ombre, anche, della casa in cui rientrerà, i progetti ch'essa fa
o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con i suoi desideri, le sue
simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante volontà"[11].
Anche Svevo ha capito che l'attrazione
più forte esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi:
"Quand'egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse
sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio
abbattuto…Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire
perché il bellissimo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e
fosse perciò un vero organo per guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[12].
T. Mann spiega, a ragione, che l'amore
è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in questo
degli occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C' era
stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di lei,
quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli
piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere...ciò
che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi
sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante, occhi
d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a volte,
con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano
oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[13]. Molto più avanti[14] si legge: " Quando il desiderio carnale...s'è fermato
sopra una persona con un determinato viso, allora si parla d'amore.Io non
desidero soltanto il suo corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso
qualche cosa anche piccola fosse diversamente conformata, probabilmente non
desidererei più neppure il suo corpo... Questo dimostra che amo l'anima sua e
l'amo con l'anima. Poiché l'amore per il viso è amore spirituale".
“Gli uomini di
sentimento sono pieni di espressione, perché l’espressione nasce dal bisogno
del sentimento di farsi valere, un bisogno che si mostra senza inibizioni,
apertamente…Rachele era bella e graziosa. Lo era in una maniera nello stesso
tempo mansueta e birichina, che veniva dall’anima, ma si vedeva-e anche
Giacobbe lo vedeva perché lei lo guardava-che spirito e volontà trasformati in
senno e coraggio muliebri, erano le segrete sorgenti che alimentavano quella
grazia; tanto espressiva era la sua persona, tanto aperta e pronta alla vita
nella fermezza dello sguardo…la cosa più bella e graziosa era il suo modo di
guardare, era lo sguardo dei suoi occhi neri, dal taglio lievemente obliquo,
uno sguardo che la miopia stranamente trasfigurava e addolciva, in cui, lo
diciamo senza esagerazione, la natura aveva raccolto tutte le attrattive che
essa può dare a uno sguardo umano: una notte profonda, liquida, mite,
dolcissima, una notte eloquente, piena di serietà e di ironia, uno sguardo che
Giacobbe non aveva o credeva di non avere ancora mai visto…Era giunto alla
meta, e la fanciulla con gli occhi pieni di dolce oscurità che pronunciava il
nome di suo padre lontano era la figlia del fratello[15]
di sua madre[16]…
Quanto a Lia, non appariva meno ben formata di Rachele, era anzi più alta e
imponente, ma offriva un esempio caratteristico di quel singolare deprezzamento
che una figura perfetta subisce quando si accompagna a un volto brutto. Aveva
bensì abbondantissimi capelli color cenere… Ma i suoi occhi di un verde-grigio
convergevano malinconicamente strabici in direzione del naso lungo e rosso, e
arossate erano anche le palpebre colpite da infezione, arrossate le mani che
cercava di nascondere, come pure lo sguardo strabico su cui abbassava
continuamente le ciglia con una specie di dignità pudica. ‘Ecco qua’, pensò Giacobbe
osservando le due sorelle, ‘la luna scema e la luna piena!’”[17].
Gli occhi sono comunque legati
all'amore e al sesso
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo
sono, secondo Freud, il simbolo
dei genitali:"l'accecamento con
cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che
testimoniano i sogni, un sostituto
simbolico dell'evirazione"[18].
Già in Totem e tabù si legge[19]:
“La castrazione, e il suo surrogato per mezzo dell’accecamento, sono le minacce
che provengono dal padre” (p. 186).
"Si deve tenere presente che,
nella mitologia classica, gli occhi presentano spesso un legame con l'amore e
con la sessualità, e in particolare con i genitali maschili: numerose sono le
rappresentazioni vascolari di falli con occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento
di Edipo racchiude anche un significato di simbolica castrazione, di
autopunizione per i delitti sessuali commessi. Infliggendo una punizione ai
suoi occhi, Edipo punisce la parte del suo corpo che si è macchiata di colpa
nei confronti della madre"[20].
FINE I PARTE
Giovanni ghiselli
[1]
Le
avventure pastorali di
Dafni e Cloe, I, 17. Romanzo
ellenistico, composto tra il II e il III secolo d. C.
[2]
Teocrito siracusano (310 ca-250 ca a. C.) visse tra Siracusa, Coo e Alessandria
alla corte di Tolomeo II filadelfo. Abbiamo un corpus di 30 idilli e 24
epigrammi.
[3]
Nato ad Assisi nel 49 a .
C. circa, morto a Roma intorno al 15a. C., ha scritto quattro libri di elegie.
Il primo fu pubblicato nel 28, il secondo e il terzo nel 22, il quarto nel 16 a . C. I primi tre cantano
l'amore per Cinzia, il IV, quello delle elegie romane, racconta per lo più
miti, riti della tradizione, episodi della storia di Roma e italica.
[4]
Nato a Sulmona nel 43 a .
C., morto a Tomi, sul mar Nero nel 17/18 d. C. Indicheremo le date delle sue
opere a mano a mano che le menzioneremo.
[5]
Tre libri, in distici elegiaci, di insegnamenti sull'amore: i primi due usciti
tra l'1 a .
C. e l'1 d. C.; il terzo poco dopo. Ci torneremo diverse volte durante il
percorso.
[6]
Raccolta di elegie in tre libri. La prima edizione è di poco posteriore al 20 a . C.; la seconda,
rielaborata, uscì quasi venti anni dopo, intorno all' 1 a . C.
[7] Firenze 1265-Ravenna 1321.
[8] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[9] Stratford on Avon 1564-Warwickshire
1616. Love's labour's lost è del
1594-1505.
[10]
Le plus belles lettres d'amour, tratto da Lunario dei giorni d'amore,
p. 502.
[11]
M. Proust (1871-1922), All'ombra delle fanciulle in
fiore, p. 397.
[12]Italo
Svevo (1861-1928), La coscienza di Zeno, p. 317 e p. 319.
[13] T.
Manno (1875-1955), La montagna incantata. vol., I,
p. 163.
[14]P. 304
del II vol.
[15]
Labano ndr
[16]
Rebecca ndr
[17]
T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, La
storia di Giacobbe, pp. 265 ss.
[18]
Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere 1930-1938, volume 11,
p. 617, n. 1.
[19]
Del 1913.
[20]
D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p. 199.
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