La vita come recita Shakespeare,
Svetonio, Epitteto
Sentiamo Shakespeare:" All
the world's a stage-And all the men and women merely players"
(As you like it 1,
II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le
donne non sono che attori. Essi, continua il malinconico Jaques,
hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua
vita, rappresenta parecchie parti, poiché sette età costituiscono
gli atti della vita umana". Segue la descrizione dei sette atti.
Ci interessa il secondo: quello dello "scolaro piagnucoloso che,
con la sua cartella e col suo mattutino viso, si trascina come una
lumaca malvolentieri alla scuola"; poi il terzo quello dell'
innamorato "che sospira come una fornace, con una triste ballata
composta per le sopracciglia dell'amata". Infine "l'ultima
scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è seconda
fanciullezza e completo oblio, senza denti, senza vista, senza gusto,
senza nulla".
Nella Vita di Svetonio
troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die ,
fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò
agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode
transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato
bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli
applausi con la solita clausula delle commedie:" eij
de; ti-e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte",
se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite.
Epitteto: “ricorda che sei
uJpokrith;" dravmato"
ma non il regista. Tu devi recitare bene il ruolo assegnato e scelto
da un altro (Manuale, 17).
L’ingratitudine
L'ingratitudine dei vili viene
stigmatizzata da Teognide quando afferma che è del tutto insensato
il favore ( mataiotavth cavri")
di chi fa del bene ai deiloiv :"
i\son kai;
speivrein povnton aJlov" polih'" " (Silloge,
vv. 105-106), è come seminare l'abisso del mare canuto2.
Secondo Shakespeare fu
l'ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, a vincere la
resistenza del grande Cesare che allora cadde:"Ingratitude,
more strong than traitors' arms,/quite vanquished him: then…great
Caesar fell" (Giulio Cesare , III, 2).
Gli ingrati sono tanti, eppure
l’ingratitudine viene biasimata e detestata da quasi tutti.
Nel Tito Andronico,
l'imperatrice Tamora, ex regina dei Goti, suggerisce all'imperatore
Saturnino di prendere tempo prima di annientare la fazione di Tito
che lo ha appoggiato nell'ascesa al trono: rischierebbe di essere
soppiantato "for ingratitude,/Which Rome reputes to be a
heinous sin" (I, 1), che Roma considera essere un peccato
odioso.
L'ingratitudine è anche una forma
diffusa di disprezzo dell’ umanità, dell’altrui e della propria.
Seneca: “ Torquet se ingratus et macerat; odit quae
accipit quia redditurus sit ” Ep. 81, 23, l’ingrato si
tormenta e strugge; odia i benefici ricevuti perché pensa al momento
di contraccambiarli.
Lo nota pure il
"collaborazionista" Céline che non si faceva pagare le
visite mediche e subiva una gratitudine rovesciata:"Ero troppo
compiacente con tutti, lo sapevo. Nessuno mi pagava. L’ho poi
visitato gratis, soprattutto per curiosità. E' un torto. Le persone
si vendicano dei favori che loro fate"3.
La connessione organica tra il
capo, la sua terra e perfino il cielo.
Secondo questo principio
dell'unità del tutto, e, in particolare, per quello della
connessione organica tra il Capo e la sua gente, nel prologo
dell'Edipo re di Sofocle viene descritta la sterilità della
terra tebana sconciata e resa malata dai delitti di Edipo, vero
mivasma della sua povli"
(v. 353), e nell' Antigone Tiresia accusa Creonte di essere la
sorgente inquinata del male della città:" kai;
tau'ta th'" sh'" ejk freno;" nosei' poli""
(v. 1015) e la città è ammalata di questo per la tua disposizione
mentale. Creonte infatti ha ereditato da Edipo non solo il ruolo
regale ma anche la funzione di mivasma,
homo piacularis
che contamina la città.
Sappiamo anche da Omero4
e da Esiodo5,
che i costumi, virtù, vizi e perfino malattie del capo si
riverberano sulla sua terra per una sorta di responsabilità
collettiva.
Sofocle nel Filottete
rappresenta Neottolemo adirato con Odisseo che si è impadronito
delle armi di Achille, spettanti a lui, figlio di Deidamia e del
Pelide. Il ragazzo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni
“pro;~ tou' kakivstou kajk
kakw'n jOdusseuv~” (384), dal
peggiore di tutti, nato da malvagi, Odisseo. Eppure il giovane
biasima ancora più tou;~ ejn
tevlei (v. 385), quelli che sono al
potere, civile e militare: “povli~
ga;r e[sti pa'sa tw'n hJgoumevnwn-stratov~ te suvmpa~, oiJ d j
ajkosmou'nte~ brotw'n-didaskavlwn lovgoisi givgnontai kakoiv”
(386-388), la città infatti è tutta di coloro che la governano e
l’esercito pure, e quelli tra i mortali che si comportano male,
diventano malvagi per le parole di chi li ammaestra. Una concezione
pedagogica del potere.
Isocrate nell' Encomio di
Elena6
chiama i despoti che cercano di dominare i concittadini con la forza,
non capi ma pesti delle città (oujk
a[rconta" ajlla; noshvmata tw'n povlewn, 34).
Analogamente Cicerone nella prima
Catilinaria intima al suo nemico mortale di uscire da Roma portando
via la contaminazione da lui stesso costituita (purga urbem ,
1, 10); quindi ringrazia gli dèi e in particolare Giove Statore:
“quod hanc tam taetram, tam horribilem tamque infestam rei
publicae pestem totiens effugimus” (1, 11), poiché siamo
sfuggiti tante volte a questa peste tanto ripugnante, tanto
spaventosa e tanto minacciosa per lo Stato.
Anche Polibio7
fa dipendere il carattere della città da quello dei suoi capi: ai
tempi di Aristide e Pericle, Atene era generosa e meritava lode;
sotto il governo di Cleone8
e Carete9
era crudele e degna di biasimo: ne deriva che i costumi della povli"
cambiano con il variare di quelli dei governanti ("w{ste
kai; tw'n povlewn e[qh tai'" tw'n proestwvtwn diaforai'"
summetapivptein", Storie, IX, 23, 8).
Ricordo l'Oedipus senecano
dove il protagonista si accusa dicendo "fecimus coelum nocens
( v.36), abbiamo reso colpevole il cielo.
Nel Macbeth10,
un nobile scozzese, Lennox riferisce quanto si dice sia avvenuto
nella notte dell’assassinio del re:"some say the earth was
feverous, and did shake" (II, 3), la terra era febbricitante
e ha tremato.
La
città malata per antonomasia è Tebe: Dante chiama Pisa "vituperio
delle genti"11
e "novella Tebe"12
per la crudeltà della pena inflitta ai figli innocenti del conte
Ugolino.
Il
potere sfrondato dagli allori e grondante di lacrime e sangue
Riccardo III di Shakespeare è “un
principe che ha letto il principe”13.
Sentiamo le sue parole sulla necessaria ipocrisia dell’uomo di
potere: “But then I sigh, and, with a piece of Scripture,-Tell
them that God bids us do good for evil:-And thus i clothe my naked
villainy-With odd old ends stol’n forth of Holy Writ,-And seem a
saint, when most I play the devil” (Richard III, I, 3),
ma allora io sospiro, e, con una citazione della Scrittura, dico loro
che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così io rivesto la mia
nuda scelleratezza con occasionali vecchi ritagli sottratti alla
Sacra Scrittura, e sembro un santo quanto più faccio il diavolo.
Queste parole costituiscono il
codice dell’uomo di potere.
Nell'
Edipo re
di Sofocle, Creonte mette in rilievo la paura che circonda il potere
assoluto che pertanto non dovrebbe essere desiderabile da parte di
una persona ragionevole:" Considera questo anzitutto, se ti
sembra che uno potrebbe/scegliere di comandare con paura
(a[rcein…xu;n
fovboisi) piuttosto che/riposando
tranquillo, se avrà proprio lo stesso potere. /Ed io dunque né per
mia natura desidero/ essere personalmente tiranno piuttosto che fare
le cose del tiranno/né chiunque altro sia in grado di ragionare"
(vv. 584-589).
Un doppio ruolo sintetizzato bene
da Creonte nell'Oedipus di Seneca:" Qui sceptra duro
saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem redit ".
(vv. 703-704), chi tiene crudelmente lo scettro con dura tirannide,
teme quelli che lo temono; la paura ricade su chi la incute chi lo
dice.
Per Seneca il potere è un nucleo
di male
In forma meno sintetica Cicerone
fa la stessa denuncia nel De officiis14:
“Qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi
necesse est” ( II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è
inevitabile che essi stessi temano quelli dai quali saranno temuti.
Sentiamo ora un pensiero (141)
tratto dai Ricordi
di Guicciardini "
la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita15:
“spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno
muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto
sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo
fa, quanto delle cose che fanno in India".
continua
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11599-1600.
2L'immagine
risale ad Alceo:"chi fa doni a una puttana è come se li
gettasse nelle onde del mare canuto" (fr. 117 Voigt).
3L.
F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 257.
4Un
re buono, afferma lo stesso Ulisse nel XIX canto dell'Odissea.
parlando con Penelope, porta il popolo alla prosperità:"Raggiunge
l'ampio cielo la tua fama,/ come quella di un re irreprensibile che
pio,/ regnando su molti uomini forti,/tenga alta la giustizia;
allora la nera terra produce/ grano e orzo, gli alberi si
appesantiscono di frutti,/figliano continuamente le greggi e il mare
offre i pesci,/per il suo buon governo, insomma prosperano le genti
sotto di lui" (vv. 108-114).
Il
ribaltamento di questa situazione è il re negativo, cattivo e
malato, che contamina la sua terra, rendendola sterile e
sconciandola quale mivasma.
Come si scopre essere il protagonista dell'Edipo
re che
perciò si allontana da Tebe.
5L'altro
lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di
un solo uomo ridondano in favore e in danno di una città intero lo
troviamo nel secondo archetipo della poesia greca, cioé in Esiodo
(Opere,
vv.240-244:"Pollavki kai;
xuvmpasa povli" kakou' ajndro;" ajphuvra-oJv" ti"
ajlitraivnh/ kai; ajtavsqala mhcanavatai.-Toi'sin
d j oujranovqen meg j ejpevgage ph'ma Kronivwn-limo;n oJmou' kai;
loimovn: ajpofqinuvqousi de; laoiv.-Oujde; gunai'ke"
tivktousin, minuvqousi de; oi\koi",
spesso anche un'intera città soffre per un uomo malvagio,/uno che
si rende colpevole e architetta scelleratezze./Su di loro dal cielo
il Cronide fa piombare grandi malanni,/fame e peste insieme,e le
genti vanno in rovina,/le donne non fanno figli e le case
diminuiscono". Infatti quando sbaglia solo Prometeo
tutti gli uomini pagano.
6Del
390 a. C.
7200
ca-118 ca a. C.
8Il
famigerato demagogo bersagliato da Aristofane ed esecrato,
probabilmente calunniato, da Tucidide. Fu il beniamino del popolo
dopo la morte di Pericle, fino al 422 quando morì combattendo ad
Anfipoli.
9Comandante
della flotta ateniese ai tempi di Demostene
101605-1606.
11Inferno,
XXXIII, 79.
1269
Inferno XXXIII, 89.
13Jan
Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
14Del
44 a. C.
15F.
De Sanctis, Storia della letteratura italiana , 2, p. 107
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