NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 26 settembre 2016

Jan Kott, "Arcadia amara. 'La Tempesta' e altri saggi Shakespeariani". Parte II

14 settembre 2016, Festa dell'Unità, Bologna
(il 2° da sinistra)

Poi iniziò la decadenza: l'età argentea presentò le stagioni: non più il ver aeternum (v. 107) ma una primavera abbreviata, quindi gli inverni gelati, le aride calure estive e gli autunni incostanti. Intanto la violenza cominciò ad esercitarsi sugli animali: i buoi gemettero oberati dal giogo (v. 124). L'età del bronzo non era ancora del tutto malvagia, comunque: "saevior ingeniis et ad horrida promptior arma" (v. 126), più crudele nei caratteri e più disposta alle armi raccapriccianti, non scelerata tamen (v. 127), però non criminale.
Segue l’ultima età prima del diluvio[1]: “de duro est ultima ferro” (v. 127), l’ultima è di duro ferro.
E' l' età non più redimibile, quella del male integrale, quando omne nefas , ogni empietà, irrompe nel genere umano:"fugitque pudor verumque fidesque[2];/in quorum subiere locum fraudesque[3] dolusque/insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi[4]/…effodiuntur opes, inritamenta malorum;/ iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum[5]/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma./ Vivitur ex rapto; non hospes ab hospite tutus,/non socer a genero, fratrum quoque gratia rara est./Imminet exitio vir coniugis, illa mariti;/lurida terribiles miscent aconita novercae;/filius ante diem patrios inquirit in annos./Victa iacet pietas, et Virgo caede madentis,/ultima caelestum, terras Astraea[6] reliquit" (I, 129 - 131 e 140 - 150) e fuggì il pudore la sincerità, la fiducia; e al posto di questi valori subentrarono le frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e l'amore criminale del possesso… si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[7] e, più funesto del ferro, l'oro[8] era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano. Si vive di rapina; l'ospite non è al riparo dall'ospite, non il suocero dal genero, anche l'accordo tra fratelli è poco frequente. Il marito minaccia di rovina la moglie, questa il marito; mescolano squallide pozioni velenose le terrificanti matrigne; il figlio scruta la morte anzi tempo negli anni del padre. Giace sconfitta la carità e la Vergine Astrèa, ultima dei celesti, ha lasciato le terre sporche di strage.


Altra età dell’oro in Ovidio: quella moderna
Ovidio nell'Ars amatoria[9] rovescia la concezione topica dell'età dell'oro. "La trattazione del libro dedicato alle donne", il terzo, "incomincia, dopo il lungo proemio, con una specie di inno al cultus (Ars III 101 - 128). Il passo è celebre...Senza cultus non avremmo i frutti della terra, il vino e le messi. La forma, la bellezza, è dono divino; è il cultus che dà la bellezza anche a chi non l'ha. Si obietta che le donne dei tempi antichissimi non ricorsero al cultus: è perché i mariti, duri soldati, erano rozzi, senza gusto. La rudis simplicitas caratterizzò la Roma arcaica; ma nunc aurea Roma est (v. 113), e alla splendida Roma di oggi, coi suoi superbi edifici, corrisponde meglio il cultus. Si colloca qui la più esplicita professione di modernità lanciata da Ovidio (121 sg.): Prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis "[10], le anticaglie piacciano agli altri, io mi compiaccio di essere nato solo ora: questa è l'età adatta ai miei gusti. Ovidio è il primo scrittore latino che osa negare apertamente il mito del buon tempo antico per affermare la superiorità della Roma moderna.
 E' un ribaltamento del mito dell'età dell'oro: il presunto "paese guasto" è più piacevole e gradito del "mondo casto"[11].

Nella letteratura rinascimentale c’è pure una antiutopia che deriva anch’essa dalla tradizione classica.
Odisseo ha trovato un’Arcadia inospitale e montagnosa abitata dai Ciclopi nel IX dell’Odissea.
Odisseo dovrebbe essere il patrono degli antropologi moderni: spinto dalla curiosità, vuole imparare. Omero è certo che una società priva di leggi e di vita politica non è aurea. Platone lo ribadirà nel mito di Prometeo nel Protagora.
C’è la natura pura dell’Arcadia utopica e anche quella depravata dei cannibali: Ciclopi e Lestrigoni.
Gonzalo, conclusa l’utopia, si stende sull’erba lussureggiante (lusty grass) e green. Ma poco dopo, se non intervenisse Ariel, succederebbe un fratricidio. La storia dunque distrugge il mito.
Niente sovranità auspica Gonzalo, ma in questa isola ci sono un padrone e uno schiavo e sussistono il meum e il tuum.
Caliban chiama Prospero tyrant: “I am subject to a tyrant” (III, 2)
Il brave new world si rivela quale ripetizione dei crimini e delle follie del vecchio mondo. L’Utopia si è rivelata impossibile.
Nei masque rappresentati alla corte degli Stuart, in occasione dei matrimoni aristocratici, le dee scendevano dalle nubi a benedire gli sposi, mentre i cortigiani, vestiti da pastori arcadici, celebravano l’avvento dell’età dell’oro. Ma il masque per celebrare le nozze della Tempesta viene interrotto come succede per le nozze di Enea e Didone.
Il Rinascimento vedeva nel IV libro dell’Eneide la tragedia passionale della vedova Didone
Re Lear, Macbeth e Amleto sono più crudeli della Tempesta ma questo è il più amaro dei drammi shakespeariani e la sua amarezza riflette le speranze perdute del Rinascimento. Prospero vede le lacrimae rerum.
Prospero è pius come Enea se pietas è l’accettazione del destino.
Del resto non gli manca la spietatezza di Enea.
And my ending is despair, a meno di essere soccorso da una preghiera che muova la misericordia divina e le faccia perdonare le colpe (Epilogo)
Le tre ore del purgatorio
L’ora viene ricordata diverse volte, è importante.
Il tempo della Tempesta si svolge tra la terza e la sesta ora
I tempi: Sycorax era incinta di Caliban quando giunse nell’isola. Dodici anni dopo erano sbarcati Prospero e Miranda; altri dodici anni dopo c’è la tempesta. Lo zodiaco si compone di 12 segni e per i neoplatonici il 12 era il segno dell’ordine cosmico e della salvezza.
Due volte nella Tempesta viene rappresentata la scena del regicidio: la prima come un dramma pieno di orrore, la seconda come farsa beffarda: Calibano dice all’ubriaco e al buffone di fare in fretta ad ammazzare Prospero, altrimenti se si sveglia riempirà la nostra pelle di pizzichi he’d fill our skun with pinches (IV, 1) dalla punta dei piedi alla testa from toe to crown.
Alla fine tutto torna come era 12 anni prima: Calibano re dell’isola, Prospero duca di Milano, e Ariel tornerà a congiungersi con gli elementi. La clessidra misura il tempo ed è l’immagine del tempo che si ripete e ritorna.
Nell’Eneide, a Cartagine Enea vede raffigurate le battaglie di Troia e vede se stesso principibus permixtum achivis (I, 488).
E’ stato scoperto il principio del flashback come ritorno drammatico e spettacolare del passato. E un gran gemito gli scoppiò nel cuore. Nell’Eneide l’essenza della storia è nelle città distrutte; nella tragedia scespiriana sono i regicidi.
Nell’Ade dove è sceso (sic!) Ulisse non esistono castighi se non per quelli che hanno insultato gli dèi. Le teste svigorite dei morti vagano per questa prigione frigorifero.
 L’Ade di Omero è solo l’ombra del mondo (cfr. Platone il “non greco”).
 Nell’Ade virgiliano appaiono invece i giardini del paradiso, l’inferno dei tormenti e il purgatorio (cfr. Platone, Fedone)
Nell’Eneide, Anchise mostra i futuri eroi di Roma da Silvio, figlio di Enea, ad Augusto.
Nel Macbeth le tre sorelle profetiche fanno sfilare davanti a Macbeth otto futuri re (V, 1)
Il fatum che spinge Enea a lasciare Didone è inexorabile (Georgica II, 491) e ineluctabile (Eneide, VII, 434)
Nella Tempesta c’è il crudele fatum elisabettiano: Antonio, l’usurpatore, convince Sebastiano a ripetere la storia dei sovrani assassinati e dice che quello che è avvenuto, proviene by destiny, dal destino che li invita a recitare un dramma di cui il passato è il prologo e il futuro è a discrezione vostra e mia.
Ma nella Tempesta c’è pure un altro fatum: Miranda chiede: come approdammo a riva? E Prospero risponde: by Providence divine (I, 2)
Questa provvidenza è il matrimonio dinastico che riconcilierà tutti
Ferdinando dice di Miranda: “she is mortal, but by immortal Providence she is mine” (V, 1)
Si presentano a Miranda tre canaglie: Antonio, Alonso e Sebastiano. Ed ella dice: “O wonder!, How many goodly creatures are there here!
How beatous mankind is! O brave new world, that has such people in ‘t
E Prospero: “’Tis new to thee (V, 1)
Prospero seppellisce il suo libro di magia in fondo al mare più a fondo di quanto mai scandaglio sia giunto (deeper than did ever a plummet sound V, 1)
Le stesse parole aveva usato Alonso per dire che il corpo di Ferdinando era deeper than a plummet sound in III, 3.
Qui tutto si ripete ma niente si purifica.


continua



[1] “L’età ferrea non siamo noi, data che questa umanità sarà poi cancellata dal diluvio (cfr. v. 188: diversamente Esiodo, Op. 175). L’effetto di romanizzazione è accompagnato dall’eco di un passo del carme 64 di Catullo (397 sgg.) sulla decadenza che segue all’età eroica e da echi più generici della tematica delle guerre civili e delle proscrizioni a Roma. I tempi narrativi accompagnano questa illusione di “presentizzazione” del mito, dato che a partire dal v. 140 una sequenza di perfetti e piuccheperfetti cede il passo a un blocco di verbi al presente; cfr. Landolfi 1996, pp. 84 e 88 sg. Nonostante tutti questi indizi concomitanti, il poeta non dice, come Esiodo, di vivere nell’età ferrea, mentre più tardi ammetterà di essere parte della razza “pietrosa”, iniziata dopo il diluvio (cfr. v. 414 sg.)”, Alessandro Barchiesi (a cura di) Ovidio Metamorfosi, volume I, p. 172.
[2] E’ l’ultima virtù che lascia la terra, ed è un valore di base della civiltà latina. Cicerone nel De officiis (del 44 a. C.) dà una definizione della fides " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti.
[3] E’ il primo vizio che subentra ed è l’antitesi della fides. Nel mondo rovesciato dei servi plautini al posto del valore forte della fides, fondamento della giustizia, troviamo quello della perfidia:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la Malafede, dicono due di loro.
[4] “Allude alla versione del mito in Virgilio, Aen. VIII 327 amor succesit habendi” (Alessandro Barchiesi, a cura di, Ovidio Metamorfosi, volume I, p. 173.
[5] “L’enfatica menzione dell’oro nell’aetas ferrea, opposta alla perduta aetas aurea, crea volutamente un certo disagio tra le forme tradizionali (vedi l’insistenza di Esiodo sul bronzo come unica e universale materia usata dagli uomini dell’età bronzea, Op. 144 - 151). Ovidio modernizza il mito delle età inserendo l’oro come motore della degenerazione morale: l’età del ferro, oltre che sulla guerra, ha un’economia basata sull’oro e sullo scambio. Nella società romana, il nesso fra guerra e ricchezza è particolarmente esplicito, per la sistematica pratica del saccheggio e per il rapporto fra economia monetaria e servizio militare: la moneta statale è, in primo luogo, paga del soldato” ” (Alessandro Barchiesi, a cura di, Ovidio Metamorfosi, volume I, p. 174.
[6] “Accenno al mito di Dike, la vergine Astrea, che salendo in cielo va a formare la costellazione della Vergine. La fonte principale è Arato, 96 sgg: la dea della Giustizia nell’età del bronzo prima si ritira sulle colline e poi, ultima divinità a lasciare la terra, si rifugia in cielo; ved. anche la versione di Cicerone, Aratea, frr. 17 - 9 Soubiran…. Virgilio, Geor. II 473 - 474. In Esiodo, Op. 197 sgg., nell’età ferrea la terra era abbandonata da Aijdwv~ e Nevmesi~ (Rispetto e Punizione), che scelievano di vivere presso gli dèi” (Alessandro Barchiesi, a cura di, Ovidio Metamorfosi, volume I, p. 175.
[7]Ho già citato l’episodio delle Storie di Erodoto, I, 68) che si conclude con la condanna della scoperta del ferro. Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672 - 673).
[8] Di nuovo un oro nero; noi anzi possiamo pensare addirittura al petrolio per il quale si è versato tanto sangue. Che il ferro e l'oro creino discordia tra gli uomini portando differenziazioni economiche e sociali lo afferma anche Platone nelle Leggi (679b).
[9] Il III libro risale allo stesso periodo (verso l'1 d. C.) dei Medicamina faciei cui Ovidio accenna ai vv. 205 e sgg.
[10]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana, p. 188.
[11]Cfr. Dante, Inferno, XIV, 94 e 96. 

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