Il
sole vede tutto. Shakespeare, Omero, Eschilo, Sofocle, Ennio, Apuleio, Ovidio
L'onniveggenza del sole è riconosciuta da Shakespeare:"the all-seeing sun ne'er saw her match,
since first the world begun ", il sole che tutto vede non ha mai visto
una sua pari da quando il mondo è cominciato, giura Romeo[1].
L'elogio del sole,
il dio che vede, ode tutto, e nutre la vita, percorre parte della letteratura
greca e prosegue in quella europea. Voglio indicarne alcune espressioni. Già Omero, nell' Iliade, gli
attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto: " jHevliov" q j,
o{" pant j ejfora'/" kai; pavnt j ejpakouvei""[2]
(III, 277); una formula che torna un poco variata in Odissea (XI, 109)
:" jHelivou,
o{" pavnt jejfora'/ kai; pavnt j ejpakouvei"[3].
Nell'Inno
"omerico" a Demetra, quando Persefone venne rapita da Ade, solo Ecate
ed Elio signore, splendido figlio di Iperione (" jHevliov" te a[nax
JUperivono" ajglao;" uiJov"" v.26), udirono la fanciulla che
invocava il padre Cronide.
Nel Prometeo
incatenato di Eschilo il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon
hJlivou"(v. 91), il disco
del sole che tutto vede.
Nelle
Supplici di Eschilo il coro delle Danaidi chiede aiuto ai raggi del sole che danno salvezza (kalou'men aujga;"
hJlivou swthrivou", v.
213).
Nella
Parodo dell’Antigone di Sofocle, il coro dei Tebani esprime gratitudine
alla luce del Sole per la vittoria sugli Argivi:" raggio di sole, la luce/più bella apparsa su
Tebe dalle sette porte/tra quelle di prima" (vv. 100-102) e più avanti la protagonista
condannata a morte lo saluta e rimpiange quale "lampavdo"
iJero;n-o[mma"
(vv. 879-880), santo volto di luce.
Nell' Edipo re il sole è" pavntwn qew'n
provmo""
(660), il primo fra tutti gli dei, e "th;n..pavnta bovskousan flovga"(v. 1425), la
fiamma che nutre la vita.
Nell'
Edipo a Colono è, con una ripresa dell'idea omerica,"oJ pavnta leuvsswn {Hlio"" (v. 869),
Elio che vede tutto.
Nella Parodo delle Trachinie
il Coro di donne di Trachis prega Elio, perché annunzi dove si trova Eracle,
invocandolo come "kratisteuvwn kat j o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come
interpreta lo scoliaste:"w\ nikw'n pavnta" tou;" qeou;" kata; to;
ojptikovn", tu che vinci
tutti gli dèi nel potere visivo.
Sul sole
onniveggente torna Ennio nella Medea
(fr. 148, v. 1):"Iuppiter tuque adeo
summe Sol qui omnis res inspicis ", Giove e tu in particolare, sommo
sole che vedi tutto) poi, all'inizio dell'Asino
d'oro, Apuleio quando Aristomene giura che sta per raccontare la verità (I,
5):"sed tibi prius deierabo solem
istum omnividentem deum ".
Nelle
Metamorfosi di Ovidio, il sole identificato con Febo, vide per primo
l’adulterio di Venere con Marte[4].
Infatti videt hic deus omnia primus
(IV, 172). Ne ebbe dolore e denunciò la tresca a Vulcano che incatenò i due
amanti i quali si trovarono a giacere ligati-
turpiter (186-187) oscenamente legati. Allora Venere volle vendicarsi e
dice: “Nempe, tuis omnes qui terras
ignibus uris/ureris igne novo, quique omnia cernere debes,/Leucothoën spectas et virgine figis in una,/quos mundo debes,
oculos”
(194-197), certo, tu che con i tuoi fuochi bruci tutte le terre, sei infiammato
da insolito fuoco, e tu che devi vedere ogni cosa, Leucotoe[5]
contempli e fissi solo su quella ragazza gli occhi che devi puntare sul mondo.
Quindi
il Sole va a corteggiare la ragazza con queste parole: "ille ego
sum-dixit-qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt omnia
tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places !" (IV, 226-228), io sono
quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede tutto la
terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia, mi piaci!". La
fanciulla, vinta dallo splendore del dio si arrese senza lamentarsi
Le mani dell’assassino. Shakespeare, Seneca, Manzoni
Lady
Macbeth in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani
lordate dal misfatto: "A little water clears us of this deed "
(Macbeth, II, 2) leggiamo nella
tragedia di Shakespeare[6].
Più avanti la stessa donna che, aizzando il marito al
tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa malata dal crimine
sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand ",
tutti i balsami d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1).
Il
protagonista eponimo, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all
great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'oceano
del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto
questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare
facendo del verde un unico rosso (II, 2).
Nell'ultima scena dell'Hercules furens l'eroe
che impazzito ha ucciso i suoi cari teme che le sue mani sporche di sangue non
potranno purificarsi mai:"Quis Tanais, aut quis Nilus, aut quis
Persica/violentus unda Tigris, aut Rhenus ferox,/Tagusve ibera turbidus gaza
fluens,/abluere dextram poterit? Arctoum licet/Maeotis in me gelida transfundat
mare,/et tota Thetys per meas currat manus:/haerebit altum facinus"
(vv. 1321-1329), quale Tanai o quale Nilo, o quale Tigri violento per l'onda
persiana o il Reno impetuoso, o il Tago che scorre torbido per l'oro di Spagna,
potrà purificarmi la destra? Anche se la gelida Meotide versasse in me il mare
del Nord e tutto l'Oceano corresse per le mie mani rimarrà profondamente
impresso il delitto.
Il
modello di questi passi si trova nella Fedra dove Ippolito, sentendosi
contaminato dalla matrigna, dice:"
quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico
incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o
silvae, o ferae! " (vv.715-718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide
che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre mio con
tutto l'Oceano potrebbe espiare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!
Un concetto espresso anche dal
Manzoni con parole sante che dovrebbero venire in mente ai tanti macellai di
carne umana di questi ultimi tempi:" il sangue d'un uomo solo, sparso per
mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni
sulla morale cattolica, VII).
Oculi sunt in
amore duces
Properzio. Apollonio Rodio. Seneca. Leopardi. Longo
Sofista. Teocrito. Ovidio. Dante. Petrarca. Shakespeare. Maupassant. Proust,
Svevo. T. Mann. Freud
La
significazione particolare degli occhi. Il legame dello sguardo con l'amore[7].
Gli occhi come simbolo dei genitali
Gli occhi di Medea
figlia di un figlio del sole, e quelli di Fedra, figlia di Pasife, figlia del
sole contengono un riflesso della luce solare: nel quarto libro del suo poema Apollonio
Rodio racconta della visita di Giasone e Medea fatta a Circe per purificarsi
dell’assassinio di Assirto: ebbene zia e nipote hanno qualcosa in comune nello
sguardo: tutta la stirpe del sole infatti era ben riconoscibile poiché con il
bagliore degli occhi lanciavano lontano come un raggio d’oro guardando di
fronte (Argonautiche, 4, vv. 727-729)
Gli
occhi della Fedra di Seneca hanno perso la luce del Sole a causa del male
d’amore: “et, qui ferebant signa Phoebeae
facis,/oculi nihil gentile nec patrium micant” ( Fedra, vv. 380-381), e gli occhi che portavani segni della luce
solare, non mandano più i bagliori nobili della stirpe. E’ una considerazione
che risale ad Apollonio.
Per
risalire verso gli archetipi di questa considerazione ci fornisce alcune
indicazioni Leopardi.
“Espressione
degli occhi. Perché si ha cura fino ab antico di chiudere gli occhi ai morti?
Perché con gli occhi aperti farebbero un certo orrore. E questo orrore da che
verrebbe? Non da altro che da un contrasto tra l’apparenza della vita, e
l’apparenza e la sostanza della morte. Dunque la significazione degli occhi è
tanta, ch’essi sono i rappresentanti della vita, e basterebbro a dare una
sembianza di vita agli estinti” (Zibaldone,
2102).
L'importanza
capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di
Recanati nello
Zibaldone: "Le Dee e
specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch'
ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha
riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci
intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode
delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come
titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una
bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è
bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono
molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di
questa grandezza... Dalle quali cose deducete
1°.
Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e
tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi
veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però
quanto più son grandi, tanto maggiore
apparisce realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né
quest'apparenza è vana). Per la qual
cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata,
indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(2546-2548).
continua
[2]
E’ Agamennone che prega nel sancire i patti prima del duello tra Menelao e
Paride.
[3]
Qui parla Tiresia dopo avere bevuto il sangue della vittime sgozzate da Odisseo
per evocare i morti. Gli dice che deve lascire intatte nell’isola di Trinachia
le floride greci del Sole che tutto vede e tutto ascolta.
[4]
Viene raccontato da Demodoco nell’VIII canto dell’Odissea (vv. 266 ss.)
[5]
Principessa persiana, figlia di Orcamo
[6] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma musicato da Verdi
diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e monde son" (Macbeth,
I atto).
giovanna tocco
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