giovedì 15 settembre 2016

Shakespeare e la letteratura antica. VII parte


Il sole vede tutto. Shakespeare, Omero, Eschilo, Sofocle, Ennio, Apuleio, Ovidio

L'onniveggenza del sole è riconosciuta da Shakespeare:"the all-seeing sun ne'er saw her match, since first the world begun ", il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, giura Romeo[1].
L'elogio del sole, il dio che vede, ode tutto, e nutre la vita, percorre parte della letteratura greca e prosegue in quella europea. Voglio indicarne alcune espressioni. Già Omero, nell' Iliade, gli attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto: " jHevliov" q j, o{" pant j ejfora'/" kai; pavnt j ejpakouvei""[2] (III, 277); una formula che torna un poco variata in Odissea (XI, 109) :" jHelivou, o{" pavnt jejfora'/ kai; pavnt j ejpakouvei"[3].
Nell'Inno "omerico" a Demetra, quando Persefone venne rapita da Ade, solo Ecate ed Elio signore, splendido figlio di Iperione (" jHevliov" te a[nax JUperivono" ajglao;" uiJov"" v.26), udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide.

Nel Prometeo incatenato di Eschilo il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto vede.
Nelle Supplici di Eschilo il coro delle Danaidi chiede aiuto ai raggi del sole che danno salvezza (kalou'men aujga;" hJlivou swthrivou", v. 213).

Nella Parodo dell’Antigone di Sofocle, il coro dei Tebani esprime gratitudine alla luce del Sole per la vittoria sugli Argivi:" raggio di sole, la luce/più bella apparsa su Tebe dalle sette porte/tra quelle di prima" (vv. 100-102) e più avanti la protagonista condannata a morte lo saluta e rimpiange quale "lampavdo" iJero;n-o[mma" (vv. 879-880), santo volto di luce.
Nell' Edipo re il sole è" pavntwn qew'n provmo"" (660), il primo fra tutti gli dei, e "th;n..pavnta bovskousan flovga"(v. 1425), la fiamma che nutre la vita.
Nell' Edipo a Colono è, con una ripresa dell'idea omerica,"oJ pavnta leuvsswn {Hlio"" (v. 869), Elio che vede tutto.
Nella Parodo delle Trachinie il Coro di donne di Trachis prega Elio, perché annunzi dove si trova Eracle, invocandolo come "kratisteuvwn kat j o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come interpreta lo scoliaste:"w\ nikw'n pavnta" tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che vinci tutti gli dèi nel potere visivo.

Sul sole onniveggente torna Ennio nella Medea (fr. 148, v. 1):"Iuppiter tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis ", Giove e tu in particolare, sommo sole che vedi tutto) poi, all'inizio dell'Asino d'oro, Apuleio quando Aristomene giura che sta per raccontare la verità (I, 5):"sed tibi prius deierabo solem istum omnividentem deum ".
Nelle Metamorfosi di Ovidio, il sole identificato con Febo, vide per primo l’adulterio di Venere con Marte[4]. Infatti videt hic deus omnia primus (IV, 172). Ne ebbe dolore e denunciò la tresca a Vulcano che incatenò i due amanti i quali si trovarono a giacere ligati- turpiter (186-187) oscenamente legati. Allora Venere volle vendicarsi e dice: “Nempe, tuis omnes qui terras ignibus uris/ureris igne novo, quique omnia cernere debes,/Leucothoën spectas et virgine figis in una,/quos mundo debes, oculos” (194-197), certo, tu che con i tuoi fuochi bruci tutte le terre, sei infiammato da insolito fuoco, e tu che devi vedere ogni cosa, Leucotoe[5] contempli e fissi solo su quella ragazza gli occhi che devi puntare sul mondo.
Quindi il Sole va a corteggiare la ragazza con queste parole: "ille ego sum-dixit-qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places !" (IV, 226-228), io sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede tutto la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia, mi piaci!". La fanciulla, vinta dallo splendore del dio si arrese senza lamentarsi


Le mani dell’assassino. Shakespeare, Seneca, Manzoni

Lady Macbeth in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal misfatto: "A little water clears us of this deed " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia di Shakespeare[6].
Più avanti la stessa donna che, aizzando il marito al tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa malata dal crimine sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand ", tutti i balsami d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1).
Il protagonista eponimo, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'oceano del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare facendo del verde un unico rosso (II, 2).

Nell'ultima scena dell'Hercules furens l'eroe che impazzito ha ucciso i suoi cari teme che le sue mani sporche di sangue non potranno purificarsi mai:"Quis Tanais, aut quis Nilus, aut quis Persica/violentus unda Tigris, aut Rhenus ferox,/Tagusve ibera turbidus gaza fluens,/abluere dextram poterit? Arctoum licet/Maeotis in me gelida transfundat mare,/et tota Thetys per meas currat manus:/haerebit altum facinus" (vv. 1321-1329), quale Tanai o quale Nilo, o quale Tigri violento per l'onda persiana o il Reno impetuoso, o il Tago che scorre torbido per l'oro di Spagna, potrà purificarmi la destra? Anche se la gelida Meotide versasse in me il mare del Nord e tutto l'Oceano corresse per le mie mani rimarrà profondamente impresso il delitto.
Il modello di questi passi si trova nella Fedra dove Ippolito, sentendosi contaminato dalla matrigna, dice:" quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o silvae, o ferae! " (vv.715-718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre mio con tutto l'Oceano potrebbe espiare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!
Un concetto espresso anche dal Manzoni con parole sante che dovrebbero venire in mente ai tanti macellai di carne umana di questi ultimi tempi:" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica, VII).


Oculi sunt in amore duces
Properzio. Apollonio Rodio. Seneca. Leopardi. Longo Sofista. Teocrito. Ovidio. Dante. Petrarca. Shakespeare. Maupassant. Proust, Svevo. T. Mann. Freud
La significazione particolare degli occhi. Il legame dello sguardo con l'amore[7]. Gli occhi come simbolo dei genitali

Gli occhi di Medea figlia di un figlio del sole, e quelli di Fedra, figlia di Pasife, figlia del sole contengono un riflesso della luce solare: nel quarto libro del suo poema Apollonio Rodio racconta della visita di Giasone e Medea fatta a Circe per purificarsi dell’assassinio di Assirto: ebbene zia e nipote hanno qualcosa in comune nello sguardo: tutta la stirpe del sole infatti era ben riconoscibile poiché con il bagliore degli occhi lanciavano lontano come un raggio d’oro guardando di fronte (Argonautiche, 4, vv. 727-729)
Gli occhi della Fedra di Seneca hanno perso la luce del Sole a causa del male d’amore: “et, qui ferebant signa Phoebeae facis,/oculi nihil gentile nec patrium micant” ( Fedra, vv. 380-381), e gli occhi che portavani segni della luce solare, non mandano più i bagliori nobili della stirpe. E’ una considerazione che risale ad Apollonio.

Per risalire verso gli archetipi di questa considerazione ci fornisce alcune indicazioni Leopardi.
“Espressione degli occhi. Perché si ha cura fino ab antico di chiudere gli occhi ai morti? Perché con gli occhi aperti farebbero un certo orrore. E questo orrore da che verrebbe? Non da altro che da un contrasto tra l’apparenza della vita, e l’apparenza e la sostanza della morte. Dunque la significazione degli occhi è tanta, ch’essi sono i rappresentanti della vita, e basterebbro a dare una sembianza di vita agli estinti” (Zibaldone, 2102).
L'importanza capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di Recanati nello Zibaldone: "Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete

1°. Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(2546-2548).


continua



[1]Romeo e Giulietta (I, 2)
[2] E’ Agamennone che prega nel sancire i patti prima del duello tra Menelao e Paride.
[3] Qui parla Tiresia dopo avere bevuto il sangue della vittime sgozzate da Odisseo per evocare i morti. Gli dice che deve lascire intatte nell’isola di Trinachia le floride greci del Sole che tutto vede e tutto ascolta.
[4] Viene raccontato da Demodoco nell’VIII canto dell’Odissea (vv. 266 ss.)
[5] Principessa persiana, figlia di Orcamo
[6] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma musicato da Verdi diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e monde son" (Macbeth, I atto).
[7] Ricorda: "si nescis, oculi sunt in amore duces " di Properzio (II, 15, 12).

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