mercoledì 7 settembre 2016

Shakespeare e la letteratura antica. IV parte

Otello e Jago

La nobiltà nella morte
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi. Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done?) , replica : "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Cfr. anche Antigone di Sofocle e Polissena nell'Ecuba di Euripide.


La delicatezza
La Cultura del lovgo" è volontà di cosmizzare il caos, tentativo di imporre l'ordine al disordine, addomesticare i mostri. Attraverso gli autori greci e latini i giovani capiranno "quanta delicatezza d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri"1, e forse la acquisiranno.
La prima delle Lezioni americane2 di Calvino si intitola Leggerezza e segnala un atto di delicatezza da parte di Perseo nelle Metamorfosi di Ovidio: il figlio di Danae, dopo avere ucciso la Gorgone anguicrinita, ne appoggia la testa al suolo ma, usandole un premuroso riguardo, ammorbidisce la terra con foglie e stende verghe nate nel mare:"anguiferumque caput durā ne laedat harenā " (IV, 741), per non sciupare con la sabbia scabra il capo che porta serpenti. "Qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri…Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l'eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell'essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile e fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla Medusa"3. Insomma la Gorgone non è svanita nel nulla, ma come canta Ariele in La tempesta a proposito del re Alonso :"Of his bones are coral made;/Those are pearls that were his eyes:/Nothing of him that doth fade,/But doth soffer a sea-change/Into something rich and strange " (The Tempest , I, 2), delle sue ossa si sono formati coralli, sono perle quelli che furono I suoi occhi, nulla in lui scompare ma subisce un cambiamento marino in qualche cosa di ricco e strano.

C'è grande bisogno di delicatezza: "e[gw de; fivlhmm' ajbrosuvnan"4, io amo la delicatezza.


Le colpe dei padri. Pasolini, Shakespeare e Plutarco
E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
Perché c’è-ed eccoci al punto-un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese 5.
Ma più probabilmente ha ragione un personaggio (senatore ateniese) del Timone d’Atene di Shakespeare: “Crimes like lands/are not inherited” (V, 4), i delitti non si ereditano, come la terra. Lo dice ad Alcibiade che vorrebbe punire gli Ateniesi per le pene subite da loro. Al. deve liberare il gregge dalle pecore rognose ma non uccidere tutti quanti
Intanto Timone, il misantropo è morto da Misantropo e Alcibiade ne onora la tomba. Plutarco nella Vita di Alcibiade (16) racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~ imbattutosi un giorno nel figlio di Clinia che tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così accresci di molto il male a tutti questi


Dio impone dure prove a chi ama. Giobbe, Cimbelino, Seneca
Il Libro di Giobbe "6. Questo libro dovrebbe risalire al V sec. a. C. Ne riporto una massima:"Felice l'uomo che è corretto da Dio"7.
Un’eco di questa teoria si trova nel Cimbelino8 di Shakespeare, quando Giove “nella teofania che lo vede discendere cavalcando l’aquila fra tuoni e fulmini (l’equivalente pagano del “turbine” dal quale Dio parla a Giobbe), disegna con fermezza il confine fra le competenze umane e quelle divine, formulando la legge che governa l’insondabile giustizia e la segreta caritas provvidenziale della divinità: “Non v’angustiate di pene mortali:/non è vostra, ma nostra la cura./Chi più amo più metto alla prova,/per far che i miei doni, più attesi,/siano ancor più graditi. Tranquilli,/la nostra grande divina potenza/solleverà vostro figlio umiliato”9. Questa non è più soltanto la comparsa in scena del tradizionale, risolutorio deus ex machina. Si tratta, invece, di una vera e propria teodicea. Le “pene mortali” sono preoccupazioni esclusive della divinità, e gli uomini non se ne devono angustiare. “Chi più amo, più metto in croce”, sembra dire Giove usando la parola “cross”, e offre la chiave teologica di tutto il dramma; la felicità si ottien soltanto dopo grandi, dolorose prove, ed è un dono gratuito di Dio, che lo ritarda perché gli uomini vi trovino ancor maggiore diletto”10.
Cimbelino è un re di Britannia, Imogene sua figlia, Cloten è il figlio di primo letto della regina. Notevole il canto funebre per la sua morte: “non devi temere più la vampa del sole, né gli aspri furori dell’inverno, hai assolto il tuo cpmpito nel mondo, sei andato a casa e hai avuto la paga.
Golden lads and girls all must/as chimney-sweepers, come to dust” (IV, 2).
Seneca offriva ai cristiani la prefigurazione del martire scrivendo: ecce par deo dignum: vir fortis cum fortuna mala compositus, utĭque si et provocavit (De providentia, 2, 89) E Minucio Felice: quam pulchrum spectaculum Deo, cum Christianus cum dolore congreditur (Octavius, 37, 1).


La gelosia di Otello e il suo “darsi animo” (cfr. T. S. Eliot)
Shakespeare, Sofocle, Seneca, Stendhal
Nell’Otello di Shakespeare la gelosia omicida stravolge l’aspetto del Moro: Some bloody passion shakes your very frame” (V, 2), una passione sanguinaria scuote la vostra stessa forma, gli dice Desdemona in procinto di essere assassinata. Ma Otello non rinnega la propria eccezionalità
In Shakespeare il Moro subito dopo avere ucciso Desdemona invoca il mutamento e Caos: "Methinks it should be now a huge eclipse-of sun and moon, and the affrighted globe-should yawn at alteration" (V, 2), Io penso che ora dovrebbe esserci un'enorme eclissi del sole e della luna e che Il globo atterrito dovrebbe spalancarsi mutando aspetto.
Si può attribuire a Oedipus quanto T. S. Eliot dice di Otello:"Quel che Otello mi sembra faccia nel tenere questo discorso è darsi animo. Egli tenta di sfuggire alla realtà, ha cessato di pensare a Dsdemona, e sta pensando a se stesso. L'umiltà è, di tutte le virtù, la più difficile a conseguire: nulla è più duro a morire del desiderio di pensar bene di se stessi. Otello riesce a mutarsi in personaggio patetico, adottando un'attitudine estetica piuttosto che morale, drammatizzandosi di contro all'ambiente. Egli seduce lo spettatore, ma il motivo umano è primariamente sedurre se stesso" 11.
Otello vuole essere ricordato come uno che servì lo Stato, uno che amò saviamente ma non troppo bene, uno non geloso ma divenuto dissennato per istigazione, uno che come l'indiano ignorante buttò via la perla più preziosa della tribù, uno che una volta ad Aleppo punì un cane circonciso il quale batteva un veneziano e calunniava la repubblica. (V, 2, 337-355).


continua

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1I. Calvino, Lezioni americane , p. 10.
2Tenute nel 1985-1986 e pubblicate postume nel 1988.
3I. Calvino, Lezioni americane, p. 10.
4Fa parte di un frammento di Saffo (58 Voigt) trasmesso dal Papiro di Ossirinco 1787.
5P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.
6A. Traina (a cura di) La provvidenza, p. 8.
7La Bibbia di Gerusalemme, Giobbe , 5.
81609-1610
9V iv 99-103: “Be not with mortal accidents opprest;/No care of yours it is; You know ‘tis ours./Whom best I love I cross; to make my gift,/The more delay’d, delighted. Be content;/Your low-laid son our godhead will uplift”.
10P. Boitani, Il Vangelo Secondo Shakespeare, p. 95.

11T. S. Eliot, Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot. Opere, p. 798.

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