Otello e Jago |
La nobiltà nella morte
La
bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla
degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo
capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il
cadavere della regina, le ha domandato : "kala;
tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, risponde con il suo
ultimo fiato: "kavllista me;n ou\n
kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn"
(Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà
a una donna che discende da re tanto grandi. Lo stesso personaggio
dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano
(First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica
(Charmian, is this well done?) , replica : "It is well
done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings.
Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana
discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Cfr.
anche Antigone di Sofocle e Polissena nell'Ecuba di Euripide.
La
delicatezza
La Cultura del lovgo"
è volontà di cosmizzare il caos, tentativo di imporre l'ordine al
disordine, addomesticare i mostri. Attraverso gli autori greci e
latini i giovani capiranno "quanta delicatezza d'animo sia
necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri"1,
e forse la acquisiranno.
La prima delle Lezioni
americane2
di Calvino si intitola Leggerezza e segnala un atto di
delicatezza da parte di Perseo nelle Metamorfosi di Ovidio: il
figlio di Danae, dopo avere ucciso la Gorgone anguicrinita, ne
appoggia la testa al suolo ma, usandole un premuroso riguardo,
ammorbidisce la terra con foglie e stende verghe nate nel
mare:"anguiferumque caput durā ne laedat harenā "
(IV, 741), per non sciupare con la sabbia scabra il capo che porta
serpenti. "Qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono
straordinari per spiegare quanta delicatezza d'animo sia necessaria
per essere un Perseo, vincitore di mostri…Mi sembra che la
leggerezza di cui Perseo è l'eroe non potrebbe essere meglio
rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso
quell'essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo
deteriorabile e fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo
che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si
trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono
e avvicinano ramoscelli e alghe alla Medusa"3.
Insomma la Gorgone non è svanita nel nulla, ma come canta Ariele in
La tempesta a proposito del re Alonso :"Of his
bones are coral made;/Those are pearls that were his eyes:/Nothing of
him that doth fade,/But doth soffer a sea-change/Into something rich
and strange " (The Tempest , I, 2), delle sue ossa si
sono formati coralli, sono perle quelli che furono I suoi occhi,
nulla in lui scompare ma subisce un cambiamento marino in qualche
cosa di ricco e strano.
C'è grande bisogno di
delicatezza: "e[gw de; fivlhmm'
ajbrosuvnan"4,
io amo la delicatezza.
Le
colpe dei padri. Pasolini, Shakespeare e Plutarco
E le
colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e
l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché
c’è-ed eccoci al punto-un’idea conduttrice sinceramente o
insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore
del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere
deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In
altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo:
credere
che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese”
5.
Ma più
probabilmente ha ragione un personaggio (senatore ateniese) del
Timone d’Atene
di Shakespeare: “Crimes like
lands/are not inherited” (V,
4), i delitti non si ereditano, come la terra. Lo dice ad Alcibiade
che vorrebbe punire gli Ateniesi per le pene subite da loro. Al. deve
liberare il gregge dalle pecore rognose ma non uccidere tutti quanti
Intanto
Timone, il misantropo è morto da Misantropo e Alcibiade ne onora la
tomba. Plutarco nella Vita di
Alcibiade (16) racconta che
Tivmwn oJ misavnqrwpo~
imbattutosi un giorno nel figlio di Clinia che tornava dall’assemblea
popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito
fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra
e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga
ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così
accresci di molto il male a tutti questi
Dio impone dure prove a chi ama.
Giobbe, Cimbelino, Seneca
Il Libro di Giobbe "6.
Questo libro dovrebbe risalire al V sec. a. C. Ne riporto una
massima:"Felice l'uomo che è corretto da Dio"7.
Un’eco di questa teoria si trova
nel Cimbelino8
di Shakespeare, quando Giove “nella teofania che lo vede discendere
cavalcando l’aquila fra tuoni e fulmini (l’equivalente pagano del
“turbine” dal quale Dio parla a Giobbe), disegna con fermezza il
confine fra le competenze umane e quelle divine, formulando la legge
che governa l’insondabile giustizia e la segreta caritas
provvidenziale della divinità: “Non v’angustiate di pene
mortali:/non è vostra, ma nostra la cura./Chi più amo più metto
alla prova,/per far che i miei doni, più attesi,/siano ancor più
graditi. Tranquilli,/la nostra grande divina potenza/solleverà
vostro figlio umiliato”9.
Questa non è più soltanto la comparsa in scena del tradizionale,
risolutorio deus ex machina. Si tratta, invece, di una vera e
propria teodicea. Le “pene mortali” sono preoccupazioni esclusive
della divinità, e gli uomini non se ne devono angustiare. “Chi più
amo, più metto in croce”, sembra dire Giove usando la
parola “cross”, e offre la chiave teologica di tutto il dramma;
la felicità si ottien soltanto dopo grandi, dolorose prove, ed è un
dono gratuito di Dio, che lo ritarda perché gli uomini vi trovino
ancor maggiore diletto”10.
Cimbelino è un re di Britannia,
Imogene sua figlia, Cloten è il figlio di primo letto della regina.
Notevole il canto funebre per la sua morte: “non devi temere più
la vampa del sole, né gli aspri furori dell’inverno, hai assolto
il tuo cpmpito nel mondo, sei andato a casa e hai avuto la paga.
Golden
lads and girls all must/as
chimney-sweepers, come to dust” (IV,
2).
Seneca offriva ai cristiani la
prefigurazione del martire scrivendo: ecce par
deo dignum: vir fortis cum fortuna mala compositus, utĭque si et
provocavit (De providentia,
2, 89) E Minucio Felice: quam pulchrum
spectaculum Deo, cum Christianus cum dolore congreditur
(Octavius, 37, 1).
La gelosia di Otello e il suo
“darsi animo” (cfr. T. S. Eliot)
Shakespeare, Sofocle, Seneca,
Stendhal
Nell’Otello di
Shakespeare la gelosia omicida stravolge l’aspetto del Moro: Some
bloody passion shakes your very frame” (V, 2), una passione
sanguinaria scuote la vostra stessa forma, gli dice Desdemona in
procinto di essere assassinata. Ma Otello non rinnega la propria
eccezionalità
In
Shakespeare il Moro subito dopo avere ucciso Desdemona invoca il
mutamento e Caos: "Methinks it should be now a huge
eclipse-of sun and moon, and the affrighted globe-should yawn at
alteration" (V, 2), Io penso che ora dovrebbe esserci
un'enorme eclissi del sole e della luna e che Il globo atterrito
dovrebbe spalancarsi mutando aspetto.
Si
può attribuire a Oedipus
quanto T. S. Eliot dice di Otello:"Quel che Otello mi sembra
faccia nel tenere questo discorso è darsi animo. Egli tenta di
sfuggire alla realtà, ha cessato di pensare a Dsdemona, e sta
pensando a se stesso. L'umiltà è, di tutte le virtù, la più
difficile a conseguire: nulla è più duro a morire del desiderio di
pensar bene di se stessi. Otello riesce a mutarsi in personaggio
patetico, adottando un'attitudine estetica piuttosto che morale,
drammatizzandosi di contro all'ambiente. Egli seduce lo spettatore,
ma il motivo umano è primariamente sedurre se stesso" 11.
Otello
vuole essere ricordato come uno che servì lo Stato, uno che amò
saviamente ma non troppo bene, uno non geloso ma divenuto dissennato
per istigazione, uno che come l'indiano ignorante buttò via la perla
più preziosa della tribù, uno che una volta ad Aleppo punì un cane
circonciso il quale batteva un veneziano e calunniava la repubblica.
(V, 2, 337-355).
continua
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1I.
Calvino, Lezioni
americane
, p. 10.
2Tenute
nel 1985-1986 e pubblicate postume nel 1988.
3I.
Calvino, Lezioni americane, p. 10.
4Fa
parte di un frammento di Saffo (58 Voigt) trasmesso dal Papiro di
Ossirinco 1787.
5P.
P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.
6A.
Traina (a cura di) La
provvidenza, p. 8.
7La
Bibbia di Gerusalemme, Giobbe
, 5.
81609-1610
9V
iv 99-103: “Be not with mortal accidents opprest;/No care of yours
it is; You know ‘tis ours./Whom best
I love I cross; to make my gift,/The
more delay’d, delighted. Be content;/Your low-laid son our godhead
will uplift”.
10P.
Boitani, Il Vangelo Secondo Shakespeare, p. 95.
11T.
S. Eliot, Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S.
Eliot. Opere, p. 798.
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