martedì 30 ottobre 2018

Seneca, "Lettere a Lucilio", da 1 a 54. PARTE 2

Peter Paul Rubens, Busto di Seneca


12 I vantaggi della vecchiezza e la morte volontaria
Quocumque me verti, argumenta senectutis meae video. Segni della vecchiaia.
E’ andato in suburbanum meum e ha visto la villa cadente, i platani in cattivo stato. Era tutto vecchio e malandato.
Quod intra nos sit, ego illas (platanos) posueram, ego illarum primum videram folium.Poi vede un decrepitus merito ad ostium admotus, che a ragione hanno messo davanti alla porta come un cadavere.
Seneca domanda al vilicus, il fattore perché abbia portato in casa alienum mortuum un morto estraneo. Allora il decrepito si fa riconoscere come il figlio del fattore precedente, da bambino era stato l’amichetto di Seneca deliciŏlum tuum. Seneca prova a dire che il vecchio delira dentes illi cum maxime cadunt (3). Ma poi debeo hoc suburbano meo, quod mihi senectus mea quocumque verteram apparuit (5)
Ebbene complectamur illam (senectutem) et amemus; plena est voluptatis, si illa scias uti (4). Gratissima sunt poma cum fugiunt, deditos vino potio estrema delectat, iucundissima est aetas devexa iam, non tamen praeceps, inclinata verso il tramonto ma non a precipizio, e pure quella in extrema tegula stans ha le sue voluptates, o, se non le ha, non ne ha bisogno (5)
Unus autem dies gradus vitae est (12, 6) un solo giorno poi è come un gradino della vita.
Crastinum si adiecerit deus, laeti recipiamus ( 9)

13 La fortezza propria del saggio e l’inutile preoccupazione per l’avvenire
Non quid audias sed quid sentias coge (6), rifletti non su quello che senti dire, ma su quello che tu senti.
Cito accedimus opinioni, crediamo presto alla voce pubblica, soprattutto a quelle che vogliono metterci paura. Quid iuvat dolori suo occurrere? Satis cito dolebis cum venerit, interim tibi meliora promitte. Quid facies lucri? Tempus, ci guadagnerai del tempo.
Aliquis carnefici suo superstes fuit.
Habet etiam mala fortuna levitatem, volubilità. Fortasse erit, fortasse non erit : interim non est (11). Quotiens incerta erunt omnia, tibi fave. Crede quod mavis (13), propendi per ciò che preferisci
Può accadere che la morte onori la vita: cicuta magnum Socratem fecit (14)

14 La cura del corpo. Come il saggio sfugga ai pericoli
Multis serviet qui corpori servit (1).
Sapiens nocituram potentiam vitat (8) evita i potenti che possono nuocergli
Inoltre circuspiciendum nobis est quomodo a vulgo tuti esse possimus. Non dobbiamo desiderare le cose cui aspira la feccia. Inoltre bisogna evitare odium, invidia, contemptus.
Catone morì per non perdere la libertà ma iam non agitur de libertate: olim pessum data est (12) oramai non si tratta più di libertà, già da un pezzo è andata in malora.
Del resto già Catone quid aliud quam vociferatus est Cato et misit inrĭtas voces, frasi inutili.
Gli Stoici a re publica exclusi secesserunt ad colendam vitam et humano generi iura condenda sine ulla potentioris offensa (14) si ritirarono per vivere e dare leggi agli uomini
Non conturbabit sapiens publicos mores nec populum in se vitae novitate convertet, non attirerà l’attenzione con la stravaganza della vita.
Nunc ad cotidianam stipem manum porrigis (17) ora tendi la mano all’offerta giornaliera: is maxime divitiis fruitur qui minime divitiis indiget, chi non ne sente la mancanza
Una sentenza di Epicuro o del suo allievo Metrodoro o di un altro filosofo della stessa scuola: “et quid interest quis dixerit? Omnibus dixit” (18)

15 Gli esercizi fisici
Non bisogna mangiare troppo. La valetudo non magno tibi constabit, si volueris bene valere Non c’è bisogno della palestra: minime conveniens litterato viro occupatio exercendi lacertos et dilatandi cervicem ac latera firmandi. cum tibi tori creverint nec vires umquam opimi bovis nec pondus aequabis. Inoltre il corpo appesantito infiacchisce l’anima.
 Dunque poco cibo et exercitationes faciles et breves, quae corpus et sine mora lassent, che stancano presto il corpo et tempori parcant: cursus, et cum aliquo pondere manus motae et saltus vel ille qui corpus in altum levat vel ille qui in longum mittit, vel ille, ut ita dicam, saliaris aut, ut contumeliosus dicam, fullonius (4). Quidquid facies, cito redi a corpore ad animum; illum noctibus ac diebus exerce
 Neque ego te iubeo semper imminere libro aut pugillaribus (tavolette): dandum est aliquod intervallum animo, ita tamen non ut resolvatur, sed remittatur (15, 6), in modo però che non si infiacchisca ma si distragga.
Stulta vita ingrata est, trepida; tota in futurum fertur” (15, 9)
Si vis gratus esse adversus deos et adversus vitam tuam, cogita quam multos antecesseris. Quid tibi cum ceteris? Te ipse antecessisti (10), hai superato te stesso.
Ecce hic dies ultimus est; ut non sit, prope ab ultimo est (15, 11) posto che non sia, gli è molto vicino

16 L’utilità della filosofia
Excute te et varie scrutare et observa (16, 2)
Philosophia non in verbis sed in rebus est (16, 3)
Haec (philosophia) adhortabitur ut deo libenter pareamus, ut fortunae contumaciter sprezzantemente; haec docebit ut deum sequaris, feras casum. Istuc quoque ab Epicuro dictum est: si ad naturam vives, numquam eris pauper, si ad opiniones numquam eris dives. Exiguum natura desiderat, opinio immensum (16, 7-8).

17 Bisogna senza indugio darsi alla filosofia. La povertà non è un male.
 Multis ad philosophiam obstitēre divitiae: paupertas expedita est, secura est (17, 3)
Frugalitas autem paupertas voluntaria est (17, 4)
Quod promittitur: perpetua libertas, nullius nec hominis nec dei timor (6)
Ab Epicuro mutuum sumam: “multis-per molti- parasse divitias non finis miseriarum fuit sed mutatio. Nec hoc miror; non est enim in rebus vitium sed in ipso animo”” (11)

18 I diletti del saggio
Dal 14 al 23 dicembre a Roma c’erano i Saturnali con allegria sfrenata e libertà per gli schiavi
Ius luxuriae publice datum est. Ma non c’è grande differenza inter Saturnalia et dies rerum agendarum, infatti uno disse che una volta dicembre era un mese, ora è un anno. Una volta la toga era smessa per il sagum il mantello militare. Saga sumere era segno di guerra.
Si deponeva la toga e si indossava un tessuto più fine
E’ un segno di forza ebrio ac vomitante populo siccum ac sobrium esse: licet enim sine luxuria agere festum diem (4)
Bisogna esercitarsi alla povertà per tre o quattro giorni o anche di più ut non lusus sit sed experimentum: grabattus ille verus sit et sagum et panis durus ac sordidus (7), deve essere non un gioco ma una prova ci sia un vero lettuccio, un saio e un pezzo di pane duro e grossolano.
Nemo alius est deo dignus quam qui opes contempsit (18, 13)
 Infine cita ancora una volta Epicuro: Immodica ira gignit insaniam (18, 14)

19 L’utilità del riposo
La quies non toglie niente allo splendore dell’uomo buono e capace.
I clientes sono persone quorum nemo te ipsum sequitur , sed aliquid ex te; amicitia olim petebatur, nunc praeda; mutabunt testamenta destituiti senes, migrabit ad aliud limen salutator (4) i vecchi senza prole cambieranno testamento, il visitatore migrerà verso un’altra soglia.
Qualem dicimus seriem esse causarum ex quibus nectitur fatum, talem cupiditatum: altera ex fine alterius nascitur (6)
Ipsa enim altitudo attǒnat summa (19, 9) la stessa altitudine espone la sommità al fulmine.
Epicuro consiglia di mangiare in buona compagnia: nam sine amico visceratio leonis ac lupi vita est (19, 10).
Cfr. Leopardi monofavgo~
Oppure la monofagia compiaciuta, ma non per questo sana, come quella di Leopardi che la difende dalla cattiva reputazione:"Il mangiar soli, to; monofagei'n, era infame presso i greci e i latini, e stimato inhumanum, e il titolo monofavgo" , si dava ad alcuno p. vituperio, come quello di toicwruvco" , cioè di ladro…Io avrei meritata quest'infamia presso gli antichi (Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della comessazione[1], ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più da uno spilluzzicare di qualche poco cibo p. destare la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io non posso mettermi nella testa che quell'unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esterni della favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell'uomo, e la digestione non può essere buona se non è ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforisma medico), abbia da esser quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacché molti si trovano, che dando allo studio o al ritiro p. qualunque causa tutto il resto del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés di trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell'ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che spesso divorano, e non fanno altro che imboccare e ingoiare!"[2].
Nel mangiare solo tuttavia c'è qualche cosa di poco umano. Leopardi, come tutti i frustrati sessuali, doveva avere un rapporto malsano con il cibo. Ce ne dà testimonianza il sodale Antonio Ranieri il quale racconta che i medici gli vietavano " le cose dolci, ed assolutamente, i gelati". Ma il poeta, "bramosissimo delle une e degli altri, lasciata dall'un dei lati ogni apprensione, perseverava i più incredibili eccessi: il caffè, sciroppo di caffè; la limonea, sciroppo di limone; il cioccolatte, sciroppo di cioccolatte (e non senza le vainiglie, rigorosamente vietategli); e così via. E quanto ai gelati, era un furore: forse che il morbo stesso lo spingeva! Più i medici minacciavano sputi sanguigni, bronchiti e vomiche, e più il furore cresceva…"[3]. Non c'è bisogno di andare oltre: si vede un mangiare solitario e malsano, quasi suicida.

Molti odiano chi li benefica: leve aes alienum debitorem facit, grave inimicum (11). Bisogna scegliere le persone da beneficare per non dare le perle ai porci. Cfr. Timone di Atene, Plutarco e Shakespeare.


CONTINUA



[1] Latinismo: comissatio significa propriamente "baldoria dopo il banchetto".
[2] G. Leopardi, Zibaldone, 4183-4184.
[3] A. Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, p. 69.

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