Il primo marzo del 1981, mentre sciavo sulle nevi del Lusia, pensavo a Ifigenia. Quella ragazza, più di ogni donna, mi aveva spinto ad agire per diventare migliore secondo il corpo e secondo la mente. Mi aveva indotto a scalare montagne impervie, a correre i 5000 metri in 18 minuti e venticinque secondi, mi aveva aiutato a vincere gare davvero olimpiche con gli altri e con me stesso, mi aveva reso un atleta del sesso con le sue magnifiche provocazioni. Perciò dovevo scrollarmi di dosso la rovinosa educazione della pretaglia sedicente cristiana che già aveva distrutto Ludwig II di Baviera, trasformando il suo ardente desiderio di baci in deleteri senso di colpa; e dovevo fidarmi dell'amore di lei che negli ultimi giorni oltretutto mi aveva teso una mano. La crisi che stavo attraversando non era una cosa solo cattiva, poiché mi faceva riflettere; però oramai era tempo di uscirne per vivere meglio. All'ora di cena le telefonai riferendo questi pensieri. Sembrava disposta bene anche lei. Il due marzo andai sull' alpe di Pampeago, sopra Predazzo. Il sole non c'era e tirava un vento gelato. Avevo cambiato disposizione mentale, e non in meglio. Quando non abbiamo affetti sicuri, né un forte autocompiacimento, né un equilibrio saldo, il tempo atmosferico influisce più che mai sulla mente povera di equilibrio. Sul mezzogiorno, non potendone più dell'aria fredda e scura, entrai in un rifugio di latta e di legno, riscaldato con una stufa. Quando mi fui seduto con una bottiglia di birra, una radio diffuse il canto antico di Helena biancovestita :"Summertime, when the living is easy ". Era facile e bella davvero allora la vita. Rividi il suo volto ridente nella notte d'estate sotto gli alberi strani tra le cui foglie biancheggiava la luna e comparivano or sì or no le stelle, vaghe e luminose come occhi di ragazze timide eppure contente di un avvenire lieto, ricco di eventi meravigliosi. Dalla memoria, nel cuore gocciava il ricordo di quei giorni lontani. Per converso pensai che Ifigenia era stanca di me, io ero nauseato di lei, e il nostro rapporto era malato di lebbra. Con Helena era una gioia vederci, andare a zonzo ogni giorno, era una scoperta parlare delle nostre vite e culture, lontane e diverse; ed era anche possibile lasciarsi andare, sia pure con garbo: giocare come bambini, senza sfiducia e sospetti. Poi era estate, i dì scivolavano lisci, dolci, senza dolore, verso tramonti purpurei, lunghe sere rosate, piene di voli; ogni notte la giornata felice terminava con un’apoteosi. Eravamo in vacanza, tra amici, l’ottimo Fulvio e altri pure buoni. Ci si voleva bene, ci godevamo la vita. Negli ultimi mesi invece, dovevo misurare ogni parola, siccome Ifigenia era pronta a criticarmi per sospetto che io volessi fare altrettanto con lei. Confrontando le due situazioni distanti tra loro quasi dieci anni nel tempo e ancor più nel mio cuore, piansi di nostalgia e mi chiesi quando sarebbe rinata una situazione ricca di affetti e di eventi pieni di gioia. Pensavo alla guerra perenne che avevo dovuto combattere contro avversità dolorose spinto dal desiderio della felicità che poteva essere completa solo con una donna degna di me. Avevo ottenuto qualche successo parziale, anche tre o quattro trionfi, ma la vittoria definitiva[1] mi era sfuggita sempre. Però non avevo fatto del male a nessuno, e i progressi c'erano stati comunque. Perciò non ero fallito del tutto, e non ero cattivo. Finita l'antica canzone, uscii dal rifugio un poco ebbro di birra. Il vento si era addolcito. Guardai il cielo che si rischiarava sopra le montagne, umide per il disgelo e luccicanti nelle piante in attesa di dare alla luce del sole i primi germogli. Rimasi fermo a osservare, finché provai un sentimento di riconoscenza per la natura, per tutte le creature che mi avevano accolto con simpatia, e per la vita stessa che non mi aveva mai rinnegato del tutto.
Bologna 15 gennaio 2025 ore 19, 54 giovanni ghiselli
p. s. Statistiche del bog
Sempre1662626 Oggi325 Ieri477 Questo mese5658 Il mese scorso10218
|
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
mercoledì 15 gennaio 2025
Ifigenia 245. Le sciate sull’Alpe di Lusia e quella di Pampeago. Il rimpianto dell’estate, bellissimo dono di Dio.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento