giovedì 16 gennaio 2025

Ifigenia 248. La sciata diurna e la passeggiata notturna

Il quattro marzo era un giorno ventoso, e così freddo da scorticare

le capre. Era una pena salire con la seggiovia e scendere con gli

sci, sempre agghiacciato dal vento che soffiava vortici duri di gelo

sulla mia povera faccia e sui visi cagnazzi6 degli altri sciatori,

lividi come le pietre dei monti.

 Mi sforzavo di cacciare  via i pensieri cattivi, di ripararmi dalle loro trafitture impietose. Ma quelli, sempre vivi 7,  continuavano a pungermi, senza concedermi un momento di tregua. Per contrastarli, mi domandavo:

" Cosa starà facendo adesso nella sua scuola per aspiranti attori la  zingara dionisiaca amata mihi quantum amabitur nulla? 8:  sarà interpellata , starà

seduta sul banco oppure appoggiata a una parete? Beati voi banchi

e pareti che reggete il peso soave di quella ragazza!” 9

Mi sforzavo di evocare sentimenti amorosi attingendo espressioni

dal repertorio di frasi belle imparate. Ciò nonostante i

pensieri malvagi non cessavano di pullulare, non smettevano di

brulicare nel  cervello, quale sciame di insetti molesti o groviglio

di vermi schifosi. Mormoravo:" Ifigenia non è la mia donna

ideale: non è luce per me10 , né io lo sono per lei. Di corpo è bella assai

ma il suo viso è poco espressivo. Ed è proprio l'intensità dello

sguardo che mantiene vivo a lungo l'interesse erotico e umano!".

Il pungiglione velenoso di quelle bestie immonde superava la

resistenza delle parole dei maggiori autori accrescitori dell’anima mia,

scendendo a fondo nella povera carne mia, trapanandola senza

pietà.

Il pomeriggio si fece vedere il sole che colorì il cielo, la terra e la

mia faccia, dandomi grande conforto. Pensavo:"Ifigenia è viva e

composita come questa natura. L'una e l'altra sono fatte di

splendidissimo sole e di nuvole fosche, di vento aspro e di

sorridente bonaccia. Del resto la pena e la gioia circolano dentro tutti

noi come i giri del cielo. Non rimane fissa per i

mortali né la notte stellata, né la sorte cattiva, né la salute, ma

rapidamente fuggono via ".

La sera  le riferii soltanto il meglio di ciò che avevo pensato.

Disse:"Tu sei intelligente gianni. Io ti amo".

"Anche io" conclusi.

In quel momento ero sincero. Se era capace di apprezzare la mia

intelligenza, non poteva che amarmi.

 

Quella notte il cielo era tutto sereno e le stelle brillavano con

speciale vigore sopra la valle di Fassa. Uscii e scesi verso Moena.

Arrivato in paese mi fermai qualche minuto per osservare l’acqua

del fiume Avisio. Sono cresciuto sul mare e l’acqua mi ha sempre attirato. E’ la forza della simpatia che mi attrae verso  non solo verso quella tremolante o liscia o infuriata della marina ma anche quella dei fiumi che mormora fluida e mi suggerisce parole. Siamo composti di acqua in non piccola parte e osservandola ritroviamo qualcosa di noi, di connaturato, di antico, forse addirittura di prenatale.   

Compiuto questo pensiero attraversai il paese e cominciai a risalire la china dall'altra parte lungo la via da dove il  pomeriggio del giorno prima

avevo osservato un cielo umido e sporco, quasi fangoso. Sotto il

firmamento pulito, la terra era diversa, e io mi sentivo un'altra

persona. Dopo il cimitero, il viottolo non era più illuminato da

lampadine, sicché, camminando, potevo contemplare le stelle

senza disturbo: erano splendidissime come la mia compagna

vivace.

Passato il paesino di Sorte, c'è un chilometro di buio solitario e

scosceso.  Dalle ultime baite si udivano ululati cupi e rauchi ringhi di cani feroci, le bestie che mi hanno sempre fatto paura per averne subito più volte gli assalti.

So che contraccambiano l’orrore e la paura che ho di loro ma questa coscienza non basta a pacificarmi con tali guardiani ostili alla mia umanità innocua nei confronti della roba da loro custodita con rabbia aizzata dai loro padroni contro chiunque si avvicini.

 Altre volte percorrendo quel sentiero ripido e tetro, avevo pensato con orrore

ai miei fallimenti sentimentali, all'isolamento affettivo e sociale in

cui mi trovavo, all'ora della mia morte senza conforto di

donna e di figli. E avevo avuto paura. Ero anche fuggito retrogrado. In quel momento invece non retrocedevo: non mi terrorizzavano i latrati frenetici, e non mi spiaceva punto la mia solitudine stabilita da sempre, a me congeniale, connaturata con me come l’acqua.

Oramai pensavo che la mia morte da solo magari steso nel letto di un ospizio era la più eroica di tutte le fini possibili, la più adatta a me, la più bella.

Sbranato dai cani però no: questo era  orribile assai.

Sicché procedetti avendo visto i loro covi serrati, la strada non imporporata dal sangue fatto scorrere da quelle perfide zanne,  e resomi sicuro del fatto  che pur latrando e raspando quei bruti non potevano uscire per uccidermi.

Sentivo una forza lietificante, una luce di amore e di

giustizia che mi consolava dei fallimenti parziali e mi rendeva

sicuro del bene che avrei fatto durante il resto della mia vita

mortale. E pure da morto. La questione della verginità e della condizione economica di Ifigenia, di qualsiasi donna, diventava ridicola e falsa.

Poteva riguardare i pregiudizi di un gente in vari modi depressa, malvissuta e  i ministri perversi di una religione capovolta, non me, non Dio, né Gesù Cristo e sua madre. Una splendida ragazza madre.

Dovevo usare il metro dell'intelligenza e dei sensi per misurare la

mia compagna, non i luoghi comuni.

Queste erano le riflessioni giuste, poiché mi davano forza e

coraggio. Gli ululati, che pure si facevano più rumorosi e

frequenti, non mi impaurivano. “Tacete maledetti lupi, chiusi a chiave nel vostro girone di assassini”, pensai.

 Vedevo le fiaccole vive del cielo, osservavo le montagne scure, slanciate e profumate, pensavo alla figura, alla pelle di Ifigenia. In me c'era un'anima viva che si sentiva armonizzata con la santa natura.

Pesaro 9 ottobre 2024 ore 17, 45 giovanni ghiselli

 

Note

6

Cfr. Dante, Inferno, XXXII, 70-72:"Poscia vid'io mille visi cagnazzi/fatti per

freddo; onde mi vien riprezzo,/e verrà sempre, de' gelati guazzi".

7

Cfr. Sofocle, Edipo re, vv.481-482:"

ta; d'& aijei;-zw'nta peripota'tai

", ma

quelli, sempre vivi, gli volano addosso.

8

Amata da me quanto nessuna mai lo sarà. Cfr. Catullo, 8, 5.

9

Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, I, 5:"O happy horse, to bear the weight

of Antony!", beato cavallo che porti il peso di Antonio!

10

Cfr. Iliade, XVIII, 102.

 

Bologna 16 gennaio 2024 ore 17, 35 giovanni ghiselli

 

p. s.

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