lunedì 24 dicembre 2012

Contro i filmacci natalizi - di Giovanni Ghiselli

Un simbolo del degrado culturale in cui è caduta l’Italia può essere costituito dai filmacci natalizi interpretati  da furbetti che fanno gli idioti, veri ossimori viventi.
Queste pellicole sembrano contraddire la festa della nascita di Cristo, o il dies natalis solis invicti, la rinascita del dio Sole, come i pagani consideravano le prime avvisaglie dell’allungarsi del dì.
Era l’eterno ritorno della luce, la più rallegrante delle cose visibili, simbolo di salvezza e di vita eterna.
Questi orribili film annualmente ricorrenti, ora per fortuna al tramonto, significano  l’eterno ritorno del cattivo gusto, della volgarità meno e peggio che plebea. Anticipo la domanda e l’obiezione che mi si potrebbe fare: “ma tu, ne hai mai visto almeno uno?”. Devo ammettere che non ho mai avuto lo stomaco di vederne uno intero, poiché la ripugnanza istintiva è scattata come una molla alla vista degli spezzoni nauseabondi mostrati in qualche programma televisivo. Lo stile di tali sottoprodotti disgustosi è il rovescio del bello con semplicità, amato da chi ha un minimo di educazione estetica e mentale. Si rimane sbalorditi e schifati dalla mancanza totale di idee, di sentimenti, di parole che esprimano un pensiero. Parlare male fa male all’anima:. Lo afferma Socrate nel Fedone platonico (115 e): “ sappi bene, ottimo Critone, che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime”
Aggiungerei che parlare male è pure un sacrilegio poiché “in principio c’era la Parola, e la Parola era con
Dio e la Parola era Dio (Vangelo di Giovanni, 1, 1).
Il cattivo agire è la prassi del cattivo parlare che è dunque la teoria del malaffare. L’incapacità di parlare
prelude alla violenza. Si pensi alle parole, al tono, allo stile con cui gli sciacalli e le iene commentavano il terremoto dell’Aquila.
La cosa peggiore di tali filmacci è che tali porcate generano la cattiva educazione in gente indifesa dalla
cultura. 
Ci sono tuttavia tanti giovani e non giovani desiderosi di cultura, addirittura bramosi di imparare cose belle e buone, magari anche difficili, ma utili a potenziare l’identità umana dell’uomo.
Partecipo tutti gli anni, anche come relatore, al festival della filosofia di Modena, a quello bresciano dei filosofi lungo l’Oglio e ad altre iniziative di alta cultura come il festival del dramma antico di Siracusa e  quello rossiniano di Pesaro; ebbene in tali occasioni di crescita mentale convergono nelle città  che le offrono migliaia di persone entusiaste, motivate  a sapere.
Le persone un poco attrezzate  capiscono e sentono che la cultura è davvero potenziamento della natura. Non è tanto l’erudizione, il sapere neutro (tò sofón) che produce e incrementa la vita, quanto la sapienza (sofìafemminile) una vera e propria alma mater.
Il gusto di quanti desiderano la sapienza è sensibile a un’educazione che pone dei fini al di là degli slogan
pubblicitari e delle mode. Anche le scuole, tutte le scuole, dovrebbero dotarsi di tale forza educativa. “Amiamo il bello con semplicità e la cultura senza mollezza”, dice il Pericle di Tucidide. Gli Ateniesi della sua polis venivano educati a teatro, e nell’agorá, da oratori e da poeti a loro volta stimolati dalla prospettiva di un popolo avido di sapienza e di bellezza.
Ebbene, credo che anche in Italia ci sia una parte non minima di popolazione che cambierebbe volentieri la volgarità propinata da tali presunti film, e da tanta televisione spazzatura, con cicli di conferenze tenute da studiosi bravi, con rappresentazioni frequenti di drammi e melodrammi, con visioni di film d’ autore magari anche commentati da critici dotati di gusto e competenza. Un poco alla volta cambierebbero in meglio i gusti di tutti. E pure l’etica generale ne trarrebbe vantaggio. Poiché la cultura rende migliori le persone, mentre
l’ignoranza degrada la natura della gente, e la carenza di idee, argomenti, parole, produce violenza.

Chi non è in grado di parlare da persona educata, usa le mani e i piedi per colpire il prossimo.
In effetti Cnemone, il Dyskolos di Menandro, invece di colloquiare, tira pietre e zolle a chi gli si avvicina
P. P. Pasolini aveva capito che la povertà del linguaggio è una forma di impotenza che prelude alla violenza:
“Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività, ricordo che queste erano le forme tipiche delle SS: e vedo così stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce uncinata” (Scritti corsari, p. 187).
Le porcate filmiche e televisive, in conclusione, tendono a corromperre il pensiero la lingua, e siccome noi
siamo animali linguistici, animali pensanti, se ci tolgono la lingua e, con questa squisita facoltà umana, il pensiero, rimaniamo animali senz’altro.
Giovanni Ghiselli  g.ghiselli@tin.it

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